Quante volte siamo partiti DA ZERO?
Quante volte eravamo lì, abbiamo visto cambiare tutto ma ce ne siamo resi conto solo dopo, come se fosse successo per magia? Qual è il segreto?
Zero riparte dalla città, in un viaggio avanti e indietro sulla linea del tempo. Dagli ultimi 30 anni del passato, da cui sembriamo lontanissimi e da cui prendere il meglio. Dal presente in cui è impossibile andare avanti, è impossibile tornare indietro, in cui siamo immobili e soffriamo. Dal futuro che pretende immaginazione.
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Bussano all’ingresso. «Chi è?». «Scusate, potete abbassare il volume? Il Presidente non riesce a dormire». Leggenda vuole che tra i primi ad accorgersi del nuovo spazio occupato in pieno centro, sopra il vecchio Cinema Rialto, fu il Quirinale. Messa da parte velocemente l’aneddotica, con la “presa” del cinema a due passi dalla centralissima Via IV Novembre – parliamo veramente di 4/500 metri in linea d’aria dal Vittoriano – a Roma cambiarono molte cose e nacque un nuovo paradigma che vide intrecciarsi sempre più la questione degli spazi, della produzione culturale e del bene comune, cercando di impedire l’erosione del patrimonio storico-culturale – e pubblico – a beneficio dell’interesse privato e amministrativo. Entrarono in gioco teatri, cinema ed edifici di valore architettonico dismessi; entrarono in gioco precari, attori, musicisti e artisti che si affiancarono all’attivismo “tradizionale”: “Il Rialto nasce nel 1999, un collettivo di artisti, operatori della cultura e musicisti che dà vita a un centro di produzione unico nella sua composizione, animando gli ambienti del Sant’Ambrogio, reso bene comune della cittadinanza”, recita ancora oggi la bio Facebook. Entrò quindi nella mappa delle realtà occupate di Roma anche il centro storico ed è qui che per quasi dieci anni ci saranno alcuni tra i sussulti cittadini più vividi.
Le realtà occupate di Roma avevano vissuto anni di lotta per il proprio riconoscimento in tutta la prima metà degli anni 90, culminati con la famosa delibera Rutelli del ’95 che, pur non essendo stata riconosciuta come una vittoria piena – tant’è che negli anni immediatamente successivi ci furono diverse iniziative e street parade per chiedere di velocizzare l’iter e allargare sia le tutele che l’elenco delle realtà da riconoscere – testimoniava la presa d’atto dell’esistenza del “mondo Csoa”, attestandone in un certo qual modo il diritto all’esistenza. Infatti, dopo solo pochi mesi l’occupazione degli spazi del Cinema Rialto, il Comune concordò l’assegnazione di un vecchio complesso storico e scolastico nel ghetto, in Via di Sant’Ambrogio – Rialto Sant’Ambrogio è quindi l’unione dei nomi delle due sedi. La natura del Rialto e i suoi obiettivi furono immediatamente chiari e definiti: essere un centro per la produzione di cultura contemporanea, libero e accessibile a tutti, così come libera e accessibile a tutti doveva essere la sua fruizione. Una cultura orizzontale e multidisciplinare, che si concentrava molto sulle teatro sperimentale e sulle arti performative, e che avrebbe dato vita a una nidiata di compagnie che tuttora calcano i palchi e sono protagoniste di programmazioni stagionali, festival e rassegne:
Fu una sensazione nuova e incredibile riprendere in mano il centro storico della propria città, viverlo dal pomeriggio alla notte, viverlo fruendo qualsiasi forma di contenuto artistico possibile, in maniera libera ed economicamente accessibile
“In questi spazi ora vuoti e (ri)sequestrati nascevano – in buona parte – e venivano presentati spesso per la prima volta al pubblico, i miei spettacolini cult “Dux in scatola”, “Ecce Robot”, “Risorgimento Pop”. Qui ho conosciuto Elvira Frosini, poi partner di lavoro e nella vita, che qui ha fatto un sacco dei suoi bei lavori, “Reperto#01”, “Collapse”, “Buffet”. Qui abbiamo fatto quattro edizioni (di sei) della nostra storica “UBUSETTETE – Fiera di alterità teatrali”, organizzata senza un soldo insieme a Marco Andreoli, Fabio Massimo Franceschelli, Gabriele Linari, Claudio Di Loreto, la stessa Elvira, Dario Aggioli, Francesca Guercio, con Vania Ygramul, Residui Teatro e tanti altri, ospitati negli anni, compreso il debutto del bel primo lavoro di Fibre Parallelee “Mangiami l’anima e poi sputala” (che poi era almeno il secondo, io vidi in video anche un loro “Cecov ma Licia” e “Riccardo non uccidetemi”: non lo dirò a nessuno!). Qui ho conosciuto o visto in scena o frequentato tanti colleghi della mia generazione, di cui mi sento un po’ fratello, unito loro nella buona e nella cattiva sorte: Gaetano Ventriglia, Silvia Garbuggino, Roberto Cockonteeth Corradino, Riccardo Goretti, Riccardo Frezza, Oscar De Summa, Daria Deflorian, Romina De Novellis (poi beata lei scappata in Francia e ora felice). Qui abbiamo fatto le prove con Massimiliano Civica del suo spettacolo #Grand Guignol” del 2004. Qui ho conosciuto e frequentato Attilio Scarpellini, Antonio Audino, Andrea Porcheddu, Maria Teresa Surianello, Graziano Graziani, Gian Maria Tosatti, Luigi Coluccio. Qui abbiamo presentato in anteprima – nemmeno un anno fa – alla festa per la riapertura il breve testo “#Alla città morta” che sarebbe poi entrato nel progetto maratona “Ritratto di una Capitale” di Fabrizio Arcuri e Antonio Calbi per il Teatro di Roma. Qui sono successe tante cose. Se ne sono viste tante. Qui c’è passato tutto il teatro dei miei anni, quello in eterna attesa, quello di chi solo con moltissima fatica si è conquistato una sua carrierina e un suo prestigio – e non grazie alle istituzioni di questa Roma Capitale che, più che divorato, ha ignorato i suoi figli”, scriveva Daniele Timpano sulla pagina Facebook del Rialto ancora lo scorso 24 febbraio.
E poi ancora Ascanio Celestini, Davide Enia, Accademia degli Artefatti, Fanny & Alexander, Santasangre – attivissimi negli stessi anni all’interno del Kollatino Underground, casa della rinascita a Roma del teatro performativo -, Pathosformel, Daniele Timpano, Babilonia Teatri, Lucia Calamaro, Muta Imago: la lista di chi è passato sul palco del Rialto o di chi ha creato qui i propri spettacoli è lunghissima. Così come è lunga la lista di chi ha portato musica nei weekend, con un clubbing plurale allargato a generi anche non elettronici: Condominio, Blueroom, 24Carat, Snob Night, Afrodisia, Anarchy in the Club, Amigdala, eccetera. Fu una sensazione nuova e incredibile riprendere in mano il centro storico della propria città, viverlo dal pomeriggio alla notte, viverlo fruendo qualsiasi forma di contenuto artistico possibile, in maniera libera ed economicamente accessibile e che permetteva finalmente di sentire nelle varie sale anche altre lingue, eliminando per qualche ora la barriera tra il resto della popolazione cittadina e un centro storico vissuto per lo più da turisti e da “inarrivabili”, con tutta una fascia di persone straniere interessate a captare quello che succedeva in città che diventava inevitabilmente preda di bar e localacci dai dubbi gusti musicali, non avendo alternative a disposizione.
Nel 2004 un altro rione del centro diventò protagonista inaspettato, ritrovandosi nel giro di pochi anni riscoperto e conosciuto da chiunque viva o passi per Roma: Monti. Lo spazio del primo Angelo Mai ricordava per certi aspetti quello del vicino Rialto: un vecchio edificio storico, da anni in disuso, che nel frattempo era stato riacquistato dal Comune che, a sua volta, aveva intavolato una discussione con la popolazione del quartiere circa il suo futuro e la sua destinazione d’uso. L’ex convitto fu occupato sul finire dell’anno, convogliando al suo interno sia la tematica dell’emergenza abitativa, con 25 famiglie che si trasferirono al suo interno, sia quella degli spazi culturali indipendenti, con un gruppo di artisti che diede man forte. Aule che divennero laboratori, cortili che divennero arena, una chiesa sconsacrata meravigliosa che divenne palco. Poi, ancora, musica e arte contemporanea. L’esperienza durò pochissimo: nel 2006 ci fu lo sgombero e passarono circa tre anni prima dell’approdo dell’Angelo Mai all’attuale sede a Caracalla, in un vecchio capannone rimesso a nuovo, dove trovano tuttora ampio spazio musica e soprattutto teatro, con il Premio Ubu Franco Quadri del 2016 a suggellarne l’importanza riconosciuta a qualsiasi livello, tranne quello istituzionale perché, ancora all’alba del 2020, la sopravvivenza dell’Angelo Mai è tutt’altro che scontata.
Per quanto abituata a ritrovarsi in spazi restituiti alla collettività, lo stupore della città nel ritrovarsi a camminare liberamente tra logge e platea fu grande: chi l’aveva mai visto un teatro del 1700 occupato?
Nel 2011 fu il turno del Teatro Valle: ancora pieno centro storico – il Teatro è esattamente equidistante da Largo Argentina, Pantheon e Piazza Navona – con la partita che diventò tutta interna al mondo della cultura e delle istituzioni: una serie di fattori che lo portarono al centro del dibatto nazionale e anche internazionale. Il Teatro Valle è uno dei più antichi di Roma, la sua storia parte nei primi anni del 1700 e nei secoli ha ospitato un’infinità di artisti e di prime, da Rossini a Donizetti, passando per Pirandello. Negli anni successivi è passato sotto il controllo dell’Eti, Ente Teatrale Italiano, che, oltre al Valle, si occupava anche del Quirino (sempre a Roma), del Pergola (Firenze) e del Duse (Bologna). Nel 2010 l’Ente fu soppresso dal Governo allora in carica e il Valle rimase in un limbo fino a quando, nel giugno 2011, fu occupato attivisti e da lavoratori e precari dello spettacolo. Per quanto abituata a ritrovarsi in spazi restituiti alla collettività, lo stupore della città nel poter camminare liberamente tra logge e platea fu grande: chi l’aveva mai visto un teatro del 1700 occupato? Il flusso di contenuti creativi e artistici nei tre anni di vita dell’occupazione è stato costante e anche copioso, ma non ha rappresentato l’eredità più interessante, che invece risiede nell’aver acceso a livelli ampi e generali il dibattito sui “commons”, sui beni comuni e sulla loro natura:
“Comune è diverso da pubblico. Non è attraverso il controllo dello Stato e delle amministrazioni che si generano democrazia reale e gestione partecipata: i beni comuni non si amministrano dall’alto, si autogovernano. Non sono una zona neutra né pacificata. Sono veri e propri campi di conflitto: conquistare e autogovernare beni comuni – dai saperi all’acqua al paesaggio, al Valle come in Val di Susa – è una risposta ai governi che svendono il patrimonio artistico e paesaggistico”, riporta ancora oggi il sito del Valle.
E questo dibattito sfociò nel tentativo di trasformare il Valle in una fondazione largamente partecipata – la la Fondazione Teatro Valle Bene Comune – con un inquadramento portato avanti da due giuristi quali Ugo Mattei e Stefano Rodotà. Parallelamente all’esperienza del Valle nacquero altre due realtà importanti sempre situate in quartieri centrali, il Volturno (Stazione Termini) e il Cinema America, ma era ormai evidente che il dialogo con le istituzioni portato avanti negli anni 90 e nei primi 2000 in maniera bene o male positiva si era interrotto e la mediazione politica delle amministrazioni aveva lasciato il campo al freddo compiersi degli iter burocratici di sgombero e di una riappropriazione fine a se stessa, destinata solo a impoverire la città, senza dare vantaggi neanche alla controparte privata/istituzionale.
Il Rialto ha subito negli anni prima la chiusura degli spazi al primo piano dello stabile, poi anche del cortile e della sala teatro (2009). La delibera comunale che gli assegnava una nuova sede in zona Portuense rimase lettera morta e ci fu un secondo nuovo sgombero nel 2015, a solo un anno dalla sentenza che aveva stabilito la restituzione degli spazi agli attivisti – che nel frattempo avevano trovato riparo sotto l’ombrello Arci. Il comune nel 2017 ha riacquistato lo spazio, ma ancora oggi è inutilizzato, mentre quattro membri dell’associazione “Rialtoccupato” sono coinvolti in un processo in cui si annulla l’intera esperienza culturale e si equipara lo spazio a un’attività commerciale, chiedendo ingenti arretrati fiscali (circa € 180.000). Ironia della sorte, il lockdown ha impedito lo svolgersi proprio di una serata di sostegno alla causa del Rialto, programmata per lo scorso 13 marzo. Dello stabile monticiano dell’Angelo Mai neppure si hanno notizie, mentre la nuova sede di Caracalla ha subito sgomberi e ancora non ha rassicurazioni circa il suo futuro. Stessa sorte per il Volturno e per il Cinema America, i cui spazi sono ancora così come sono stati sigillati al momento dello sgombero, ma, fortunatamente, con una piazza riconquistata per le proiezioni estive e con la ristrutturazione della Sala Troisi in corso. Il Valle ha terminato la sua avventura nell’agosto del 2014: la sua riapertura doveva essere una priorità dell’attuale giunta, ma, a un anno dalla scadenza del mandato, di programmazioni stagionali ancora nessuna traccia – e con tutta probabilità così sarebbe stato anche senza l’emergenza Covid. Il centro è ancora in attesa di essere ripopolato e “riconquistato”, mentre l’associazionismo che ha cercato di tutelare il Rialto e che tutela tutt’ora l’Angelo Mai ha trovato terreno fertile in un’altra parte della città, spostandosi a Est.