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Fiamme sulla Nomentana

Un viaggio nella storia e nella musica di Hellnation e Inferno, due store seminali di Roma che hanno condiviso negli anni la stessa sede a pochi passi da Porta Pia

quartiere MACRO

Written by Martini Enfer il 17 June 2022

Paradossi di Roma: per anni la scena punk ha avuto due riferimenti assoluti in un quartiere tra i più borghesi e impiegatizi della città. Stessa sede su via Nomentana, con un passaggio di testimone avvenuto poco meno di cinque anni fa. Parliamo di Hellnation, gestito per anni da Roberto Gagliardi (per tutti Robertò) e Inferno, gestito da Claudia Acciarino e Martina Ronca. Un anno fa Claudia ci ha lasciato in circostanze tragiche e Inferno dopo poche settimane ha chiuso. Abbiamo voluto però raccontare lo stesso la storia di queste mura, soprattutto per ricordare Claudia, la sua passione e la sua dedizione. Avevamo chiesto a Martina di raccontarci qualcosa degli anni passati dentro Inferno, ma quelli che dovevano essere degli spunti si sono trasformati in un testo bellissimo, intimo, toccante e sincero. E abbiamo deciso di riportarlo così come ci è stato dato.

«Ovviamente prima di Inferno c’era Hellnation. Rispetto a molti coetanei probabilmente l’ho frequentato un po’ meno, per i dischi andavo più spesso da Radiation per esempio, quando ancora stava solo su Circonvallazione Casilina. Con il mio gruppo di amici andavamo un po’ a periodi, mi ricordo un’estate di ormai 15 anni fa passata praticamente tutta lì – senza comprare praticamente mai un cazzo, ovviamente – quando Stevo dei Killtime aveva aperto un negozio di abbigliamento al civico accanto, lì dove poi hanno fatto l’agenzia immobiliare e il “compro oro”. Da Robertò andavo molto volentieri alle presentazioni dei libri, erano sempre una festa. Poi, una volta, nel 2017, mi contattò per chiedermi di suonare col mio gruppo di allora, i Majors, dentro al negozio. Neanche pensavo sapesse chi ero: Rob era un personaggio mitologico di cui tutti si dicevano essere grandi amici e sostenitori, ma io di persona non lo conoscevo per niente – piccola nota di colore: mi scrisse “Alora Marti’, ho ‘fittato le casse, ce stanno le Peroni, il pane co’ l’olio. Tutto pronto, dovete porta’ la batteria”. In quell’occasione mi è sembrato di entrare a far parte del suo mondo, fu bello.

Non riusciva proprio ad accettare che un posto per lei così caro chiudesse, un negozio di dischi per giunta.

A ottobre di quell’anno ricevetti una chiamata da Claudia. Il Dal Verme aveva definitivamente chiuso da qualche mese, io e lei lavoravamo insieme per Kick Agency e nel frattempo stavo pure in serigrafia da Straight to Hell. Avevamo stretto un’amicizia fortissima nei due o tre anni precedenti, naturalmente nata al Verme. Stavamo sempre insieme, ci sentivamo ogni giorno. Quel giorno mi chiamò e mi disse: ma se io mi prendessi Hellnation, tu ci staresti? Verresti a lavorare con me? Le risposi subito di sì, ma lo dico con onestà: fino all’ultimo non ci ho creduto mica tanto. Comunque, mi spiega che era stata da Robertò a comprare un po’ di dischi – aveva parecchia roba di hardcore romano anni Novanta che per Claudia era un feticcio. Le aveva detto che era sfumata una trattativa per la cessione dell’attività e che sembrava non riuscisse a chiudere “bottega” – come la chiamava lui – nemmeno stavolta. Robertò da anni diceva di voler chiudere perché si era rotto il cazzo di Roma, non voleva più avere il negozio, voleva trasferirsi. Tanto lo diceva che nessuno sembrava dargli tanto credito, anche se negli ultimi anni si stava dedicando molto di più all’etichetta e faceva meno iniziative in negozio – il nostro concerto era stato un evento da questo punto di vista. Claudia colse l’occasione perché ferma non ci sapeva stare, voleva riaprire un posto dove la gente potesse ritrovarsi e aggregarsi, per lei la socialità è stata sempre cruciale. Però voleva aprire un posto diurno, si era rotta il cazzo di fare sempre le mille della notte come al Verme – e si era pure un po’ rotta il cazzo del Pigneto, a dirla tutta… E poi non riusciva proprio ad accettare che un posto per lei così caro chiudesse, un negozio di dischi per giunta. Claudia era tanto romantica e legata ai ricordi, al passato. Lo stesso nome Inferno era un omaggio a Hellnation.

Penso volesse pure trovarmi una sorta di sistemazione: non le piaceva proprio l’idea di sapermi chiusa in una fabbrichetta nove ore al giorno dal lunedì al venerdì, a volte pure il sabato mattina. Ovviamente non c’era bisogno di convincermi. Anche se un po’ meno romantica, ero sulla sua stessa lunghezza d’onda: battagliera contro i grandi mulini a vento di Amazon. E poi mi ero rotta il cazzo delle magliette e dell’odore di colle e solventi vari. Inizialmente doveva esserci con noi anche Antonio Olivieri dell’etichetta Angst per cui Claudia usciva col progetto Cassandra. Si sarebbe dovuto occupare lui di tutto il fronte digitale: sito, shop, grafiche, comunicazione, delle spedizioni degli ordini e di stare in negozio la domenica pomeriggio; credo che Claudia volesse in qualche modo dare una possibilità anche a lui di emanciparsi e fare di mestiere quello che, d’altronde, già faceva per passione con l’etichetta. Purtroppo la cosa non funzionò e dopo un paio di mesi il rapporto lavorativo, ma pure di amicizia, finì. Fin dall’inizio ci siamo sempre state io e Claudia e così siamo rimaste, bestemmiando sempre perché la parte degli ordini online è sempre stata una rottura di cazzo, ma abbiamo imparato a fare pure quello.

Gli eventi da Inferno sono nati principalmente perché Claudia senza organizzare concerti non ci poteva stare, e perché toccava far venire la gente in negozio a spendere soldi! Bello tutto, ma noi dovevamo pur campare. O meglio, io – regolarmente assunta e stipendiata. Claudia non è mai rientrata delle spese sostenute per rilevare l’attività prima e comprare le mura poi, credo dopo l’estate del 2019. Inaugurammo nel weekend dell’Epifania 2018 con tre giorni di festa, abbiamo poi sempre festeggiato il nostro compleanno. Quelli sono stati senz’altro gli eventi più eclatanti. Se ve lo state chiedendo, sì, gli Inferno hanno suonato da Inferno, proprio in occasione del secondo compleanno nel gennaio 2020. Il loro live fu epico: il negozio scoppiava, il bassista Daniele e Valerio Hombre Lobo, chitarrista, suonarono sul marciapiede di via Nomentena. Chi non è venuto quella volta si è perso qualcosa di incredibile. In verità io ho amato tutti i concerti che abbiamo fatto, anche se qualcuno lo ricordo meno. Nell’autunno 2019, in occasione dell’inaugurazione di due mostre – di Manuel Cossu prima e Riccardo Bucchioni poi – suonarono rispettivamente Arabian Tower (il mio gruppo) e Twister. Furono concerti davvero azzeccati per le mostre esposte, entrambe curate da Rossana Calbi, che si è occupata di tutte le mostre che abbiamo ospitato ed è stata una nostra collaboratrice. C’era quasi sempre qualcosa alle pareti: lo avevamo pensato sin da subito perché, vabbè, io a tempo perso potrei pure essere curatrice d’arte, ho un progetto ancora in piedi che non ho mai fatto in tempo a esporre da Inferno. Si chiama WOODoo, e ha dato nome a quello che avremmo poi dovuto fare se il negozio fosse rimasto aperto – tra poco ci ritornerò su questa cosa. Poi ricordo bene gli IRA, per il compleanno 2020, che sono un gruppo hardcore vecchio stile tipo Indigesti/Negazione ai quali io e Cla abbiamo sempre voluto tanto bene. I Six Feet Tall di Perugia nel settembre 2020, con tutte le restrizioni covid del caso. Claudia ebbe la pensata di mettere il gruppo in vetrina: potevamo spalancarla tutta e far stare il pubblico in strada, all’aperto, dove ci si poteva comunque radunare purché con distanziamento e noi non occupavamo suolo pubblico. Genio del male! 

Tutti i concerti sono stati fantastici, perché erano tutte band in cui suonavano nostri amici.

Facemmo la stessa cosa sempre nello stesso periodo con i Max Carnage acustici. Tutti i concerti sono stati fantastici, perché erano tutte band in cui suonavano nostri amici. Abbiamo sempre scelto di dare spazio e voce a progetti e persone in cui credevamo. A una certa pure fregandocene dei soldi. Le presentazioni dei libri erano meno partecipate dei concerti in termini di numeri, ma molto sentite, come quella di “My Riot”, l’autobiografia di Roger Miret, o “Spirit of 69” di Shan Marshall, la bibbia skinhead, entrambi editi da Hellnation Libri/Red Star Press, alle quali furono presenti rispettivi traduttori: Letizia Lucangeli e Flavio Frezza. Nacquero delle belle discussioni tra i pochi che eravamo. Un altro evento gigante ci fu appena prima del covid, nel febbraio 2020, con la presentazione della photozine “SHV-SHP”, la mostra fotografica di Edoardo De Angelis e il dj set di Jumgal Fever (aka Pelilli). Celebravamo il compleanno di Bized Photozine, che aveva fatto uscire la zine di Edoardo e pure SHV SHP in collaborazione con noi – tra l’altro, di SHV SHP abbiamo fatto uscire proprio qualche settimana fa il terzo volume. Una cosa importante: con Inferno abbiamo prodotto e coprodotto diverse cose; questa photozine che racconta i concerti dal punto di vista del fotografo, principalmente concerti punk (ma non solo) e anche un sacco di dischi, cd, cassette. Quindi spesso gli eventi che facevamo erano dei release party, tipo la ristampa in vinile degli Inferno, il 7’’ degli IRA, la cassetta dei Six Feet Tall e dei xCARACOx, il gruppo di Claudia. Inferno era un contenitore in cui abbiamo messo tutto quello che eravamo io e lei.

Gli avremmo poi dato una forma più completa – e speravamo più redditizia, perché col covid le cose sono iniziate ad andare veramente male – allargando gli spazi e mettendoci un bar. Nel 2019 Claudia aveva comprato le mura, che comprendevano anche un piano sotterraneo totalmente da risistemare. Nel corso del 2020 abbiamo iniziato a pensare a come finanziare la ristrutturazione e a Claudia venne l’idea del crowdfunding. Lo dico in tutta onestà, con il senno di poi, il progetto e la richiesta economica erano abbastanza folli. Pur nella loro logica. Claudia pensava che proprio in un momento di chiusure e limitazioni alla socialità fosse necessario rilanciare con uno spazio aperto a tutti, il piano di sotto, che avrebbe ospitato l’associazione culturale WOODoo e le attività a questa legate: mostre, workshop, lezioni di musica, un piccolo bar a sottoscrizione per i soci e tutte le attività che i soci avrebbero voluto e potuto proporre. Era una romantica e idealista, ve l’ho detto. Aveva ragione, ma sto mondo fa schifo e lei aveva sparato un po’ troppo in alto con la cifra. Avrebbe dovuto coprire un sacco di spese, anche di mantenimento del negozio che, come detto, iniziava a zoppicare malamente. Quindi da una parte avevamo esagerato noi, dall’altra parte pure la gente è quella che è e secondo me non ha mai colto davvero lo spirito visionario di questo progetto.

Quando venivano i ragazzini e poi tornavano con gli amichetti era sempre fantastico, ci brillavano gli occhi. Anche quando ci chiedevano consigli.

Durante il lockdown non abbiamo mai chiesto soldi a nessuno, e anche con il crowdfunding abbiamo sempre dato delle “ricompense” per chi contribuiva: edizioni speciali di stampe, t-shirt e shopping bag realizzate da artisti amici. Il crowdfunding è partito a dicembre 2020 con Pira, quando Claudia è morta avevamo lanciato la grafica di Sicks, poi dovevamo fare pure ZeroCalcare con il quale speravamo di alzare qualche soldo in più, ma niente, è andata così. Mi rendo conto che parlo sempre di soldi, ma mi levo un sasso dalla scarpa perché il mondo è pieno di anime belle che giocano a fa gli anarchici col culo al caldo: per esistere un posto deve sostenersi, purtroppo i soldi servono. Noi non volevamo alzare chissà quali cifre, ma avere una vita normale e un posto bello e partecipato. Claudia, con Inferno come con il Dal Verme, non si è mai messa una lira in tasca per sé. Da Hellnation abbiamo ricevuto un’eredità piuttosto importante, ma stando con Robertò negli ultimi mesi di Hellnation e nei primi di Inferno, abbiamo capito meglio cosa rappresentasse la “bottega” per il quartiere. Io avevo sempre associato Hellnation agli skinhead, cosa senz’altro veritiera – l’ultimo giorno di apertura di Rob suonarono i Colonna Infame, per dire – ma non esaustiva. Diversi collezionisti e appassionati di vari generi sono poi diventati anche clienti di Inferno. Porta Pia è una zona particolare: abbastanza vicina al centro, quindi ai turisti, ma soprattutto alle ambasciate (gente coi soldi) e al Ministero dei Trasporti. Ci lavorano tipo 6.000 persone: non vorrei dire una cazzata, ma, insomma, comunque è una specie di paese. In pausa pranzo transitava veramente un sacco di gente piuttosto variegata. Le richieste peggiori erano per le terribili magliette che vendeva Robertò: quelle con Fantozzi, Monnezza e Don Buro. Una volta – avevamo aperto da due o tre mesi – venne uno che doveva cambiare sta maglietta, solo che ormai la gestione era diversa e le magliette non le avevamo più. Insomma, questo voleva indietro i soldi da me e io provavo a spiegargli con calma che non gli dovevo proprio niente – ancora me lo ricordo: ‘sta maglia gliel’avevano regalata a ottobre e Robertò aveva chiuso il 30 dicembre, di tempo ne aveva avuto. Poi arrivò Claudia, decisamente meno diplomatica di me certe volte, e gli fece una sfuriata colossale. Quando il tizio se ne andò, Claudia mi confessò che aveva dovuto sforzarsi parecchio per restare seria e non ridere davanti a ‘sto tipo distinto, tutto impettito, che agitava una maglietta della Sora Lella e rivoleva indietro € 10… Normalmente, rispetto ai clienti, riuscivamo a fare autoselezione all’ingresso con un solo sguardo.

C’è stato un periodo in cui avevamo pure una marea di VHS, residuato del contributo feticistico che avrebbe dovuto apportare Antonio. Un pischelletto – uguale a Toni Cutrone – veniva spesso da Acilia o Latina per comprarsele: costavano pochissimo, ne prendeva uno o magari due, poi tornava la settimana successiva. Quando venivano i ragazzini e poi tornavano con gli amichetti era sempre fantastico, ci brillavano gli occhi. Anche quando ci chiedevano consigli. Nell’ultimo periodo veniva settimanalmente un ragazzo: ascoltava qualche disco, ne comprava un paio, poi caricava una recensione sul suo account Instagram. Un grande! O una coppia, lui in ripresa da un ictus, lei che lo accompagnava sulla sedia a rotelle. Trovavano sempre me il sabato mattina e chiacchieravano parecchio, lui ordinava roba metal e hard rock in cd perché ancora non riusciva a far funzionare il giradischi; faceva riabilitazione e logopedia e mi chiedeva di dare un voto alla sua dizione. Qualche pischello giovane è pure venuto a chiedermi vinili di musica trap: glieli avrei pure ordinati, ma costavano veramente una cifra… Una volta un amico per farmi uno scherzo mi chiamò chiedendomi i dischi dei Civico88 e degli Hate for Breakfast, ma che ci chiedessero robe nazi non è mai successo davvero. È piuttosto su Discogs che si scatenano i maniaci e i fissati, dal vivo c’è più pudore e una sorta di intesa tacita e sottile, come quella tra clienti e commessi di un sexy shop: tu hai le tue fisse, io ho le mie, qui è zona franca e non ti giudicherò – o almeno a te cliente piace pensare così, poi giudicavamo eccome! Ci facevano incazzare erano quelli che commentavano tempistiche e prezzi confrontandoli con Amazon. Quelli che si spizzavano il negozio e poi facevano “tutto qui?”. Quelli che ci chiedevano di poter parlare con il titolare, che ci davano del tu a prescindere poiché ragazze giovani. Quelli che ci chiedevano i grandi classici o il jazz di merda: li mandavamo direttamente a Discoteca Laziale senza manco ordinargli il disco. Molta gente del quartiere si è accorta del negozio solo dopo che siamo subentrate noi. E ci credo! Eravamo le uniche under 50 a lavorare là, a parte i ragazzi dell’erba legale in via Reggio Emilia. Il quartiere è poco abitato e principalmente sono vecchi e vecchie, da noi simpaticamente definite “babbione”. Per loro mettevamo qualche ristampa acchiappona di Ella Fitzgerald e qualche gioiellino di bigiotteria in vetrina, le magliette più accattivanti. Funzionava. In generale eravamo ben viste e volute. Avevamo la sensazione che Porta Pia avesse negli anni perso lo smalto che doveva aver avuto nei decenni scorsi – comunque è vicina a via Veneto, Villa Borghese, Parioli – e che i negozianti patissero un po’ questo decadimento. Erano entusiasti che ci fosse linfa nuova. Oltre ai ragazzi dell’erba legale, avevamo stretto ottimi rapporti con i ragazzi del bar all’angolo, di una cortesia a tratti imbarazzante, e con Leonardo della gelateria al civico dopo il nostro. Quando, dopo mesi che era sfitto, hanno messo un “compro oro” nel locale vicino a noi è stata vista un po’ come una sconfitta del quartiere. Devo dire che a me tutto sommato piaceva lavorare là. Veramente ci sentivamo ben accolte anche dagli anziani, che ci salutavano dalla vetrina passandoci davanti. Quando Claudia è morta sono rimasti turbati tutti, credo diversi mazzi di fiori che ho trovato sulla serranda venissero anche dal quartiere.

Porta Pia è ben servita dai mezzi, ma parcheggiare è una croce, ci abita gente agiata, ma non interessata a quel che un negozio indipendente può offrire.

Credo che Robertò avesse scelto quel posto perché quando aprì, negli anni Novanta, era ancora un punto abbastanza centrale in città. È vicino alla stazione Termini e poi nei dintorni una volta c’erano diverse gallerie d’arte, come Mondo Bizzarro per esempio. Adesso via Nomentana è solo un passaggio a scorrimento veloce: è più nelle vie interne che c’è vita. A via Alessandria c’è anche il mercato e altre attività commerciali “normali”, oltre a quelle più da ricchi, tipo una specie di gioielleria del cibo confezionato che aveva aperto e che secondo me è durata meno di un anno. Sicuramente una grossa rivoluzione fu l’apertura del bangladino accanto a Hellnation, ormai diversi anni fa. Perfetto alleato nelle giornate degli eventi. In generale, è un quartiere che vive tanto di giorno, con gli impiegati. D’inverno, dopo il Covid, avevamo iniziato a chiudere alle 19:00 perché tanto non girava più nessuno. Bar e ristoranti si trovano più giù, intorno a viale Regina Margherita, piazza Buenos Aires. Sicuramente il Covid ha cambiato tanto il modo di vivere i quartieri e le aggregazioni. Noi abbiamo perso un sacco di clienti del ministero e degli uffici, buona parte di loro è rimasta in smart working fino a non so quando. Se già la gente aveva il culo pesante per spostarsi da Roma Est, figurati con le restrizioni. Tutti arroccati tra Casilina e Prenestina, mai superare i bastioni di Porta Maggiore! Questa cosa ci mandava fuori di testa, a me e a Claudia. Facevamo dei dj set il sabato e  li trasmettevamo in streaming, un po’ per animare la situazione, un po’ per  farci compagnia. Per noi era un modo per stare vicino alle persone, visto che non si potevano fare concerti e i bar chiudevano alle 18:00. Eppure la gente non si spostava. Quando ho immaginato di riaprire il negozio ho pensato subito a Torpignattara infatti. Porta Pia è ben servita dai mezzi, ma parcheggiare è una croce, ci abita gente agiata, ma non interessata a quel che un negozio indipendente può offrire, e per quanto ci sia volontà di fare rete con le altre attività commerciali, sono tutte un po’ “vecchia maniera” e borghesi per essere effettivamente utili. A proposito di borghesi, concludo dicendoti che ogni volta che abbiamo organizzato concerti Claudia faceva sempre questo scongiuro: “Speriamo che non chiamano le guardie, speriamo che non mi arrestano”. Alla fine le guardie le hanno chiamate veramente, quando lei non c’era più, al penultimo evento che ho fatto prima di chiudere aprile 2021. Porc… I vigili ci avevano puntato da un anno, per far rimuovere il cassone della tenda che avevamo all’esterno e la piccola bacheca tra le due vetrine, perché l’ombra che proiettavano occupava suolo pubblico (sic!). Coi due mesi di chiusura evidentemente non avevano fatto multe, quindi si rifacevano su questi cavilli. Le stesse vigilesse sono tornate anche quando è morta Claudia. Non gli risultava morta. Incredibili. Quindi, capirai, quando qualche vecchio fobico ha visto il cataclisma di gente che veniva agli eventi di chiusura, non gli sarà parso vero poter chiamare le guardie. Ecco com’è il quartiere: borghese e ora pure incattivito. Non ci torno da quasi un anno in negozio, ci sono passata davanti qualche mese fa e un po’ di magone m’è venuto. Non mi va di riandarci, del resto quel quartiere senza Inferno non ha più niente da dirmi. Ma la gelateria di Leonardo è sempre bona».