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Il consiglio comunale vota contro lo sgombero di Macao

E ora che succede? Qual è il futuro di Macao? Come procedono le trattative?

Written by Lucia Tozzi il 5 December 2018
Aggiornato il 10 December 2018

Per fortuna è cambiata la linea. Il consiglio comunale di Milano ha votato contro lo sgombero di Macao, e la destra reazionaria scornata può apertamente blaterare di un’alleanza tra la giunta Sala e gli antagonisti, i delinquenti, gli spacciatori dei centri sociali. Dopo avere riso a crepapelle, e dopo avere gioito perché si è evitato il peggio, almeno per ora, viene la domanda: e ora? Quali scenari si aprono? Che cosa ne sarà di Macao? Quali trattative sono in corso tra Macao e il Comune, che hanno portato a questo buon risultato?

Teoricamente potrebbero succedere tre cose, pensando in positivo: 1) il Comune resta proprietario dell’edificio (che ora è proprietà di SOGEMI, ma sta passando nel fondo immobiliare del Comune), ma trova un modo per affidare a Macao (che dovrebbe diventare un’associazione culturale o qualcosa del genere) la gestione della palazzina di viale Molise, sul modello di uno dei tanti spazi pubblici come Les Grands Voisins a Parigi, il Matador a Madrid, il Vooruit di Ghent o tanti altri centri culturali, di accoglienza, di produzione dal basso che fioriscono in tutta Europa. 2) Il Comune trova un altro spazio per Macao, e vende la palazzina come gli pare, a prezzo di mercato. 3) Il Comune vende a Macao, a un prezzo considerevolmente più basso di quello di mercato, la palazzina, con il modello del Mietshäuser Syndikats (MhS), un’organizzazione che per statuto ha l’obbiettivo di «sostenere la genesi di progetti auto-organizzati per la casa – uno spazio vitale umano e un tetto sopra la testa per ognuno – e di creare consenso politico intorno ad essi», attraverso l’acquisto collettivo di proprietà immobiliari e il vincolo alla loro inalienabilità.

A quanto pare è questa terza opzione la più caldeggiata dal sindaco Sala, che ha dichiarato più volte di volere trovare una soluzione concordata con Macao e d’altra parte desidera a tutti i costi vendere l’immobile. È anche la preferita di Macao, sulla cui pagina FB si legge: «Un voto contro lo sgombero di MACAO è un fatto concreto, non possiamo che rendere atto al Comune di Milano di essere tornato sui suoi passi. Possiamo però dire che abbiamo vinto insieme una battaglia, ma ne abbiamo ancora davanti. Ora, infatti, dobbiamo andare fino in fondo e rilanciare. Come sapete, la nostra sfida è quella di sempre: MACAO si compra MACAO con l’aiuto di tutt*, rendendolo uno spazio invendibile per #sempre e un bene comune per la città».

Questo significa che la palazzina verrebbe privatizzata, e che i proprietari sarebbero i membri dell’associazione di Macao: non la città, o la collettività. Teoricamente l’associazione potrebbe essere costituita da 100, 1000, 1 milione di cittadini, ma qualunque sia il numero degli associati-acquirenti la palazzina sarà loro, e non degli altri.

Tuttavia questa soluzione è più problematica di come Macao la presenta: infatti l’acquisto con la formula del Mietshäuser Syndikats non renderebbe affatto la palazzina un bene comune, attraverso un “azionariato popolare”, ma la trasformerebbe in una vera e propria proprietà privata. Il Comune dovrebbe vendere a una LLC (Limited Liability Company), ibrido tra una Società di persone e una Società a responsabilità limitata (S.r.l.), formata da due soci: un’Associazione di membri di Macao e lo stesso Mietshäuser Syndikats, che ha il ruolo fondamentale di impedire che l’immobile venga poi rivenduto, cioè reimmesso sul mercato. Questo significa che la palazzina verrebbe privatizzata, e che i proprietari sarebbero i membri dell’associazione di Macao: non la città, o la collettività. Teoricamente l’associazione potrebbe essere costituita da 10, 100, 1000, 1 milione di cittadini, ma qualunque sia il numero degli associati-acquirenti la palazzina sarà loro, e non degli altri. Non a caso il Mietshäuser Syndikats è nato, come dice la parola stessa, per la casa, che per quanto possa avere spazi condivisi e aperti richiede una qualche dimensione privata, e per lo più tratta acquisti da privati. La proprietà privata è esclusiva, cioè esclude chi non è proprietario. Certo, non potranno rivenderla e sicuramente la destineranno a progetti culturali, sociali, di intrattenimento come è stato fino a oggi. Ma sarà proprietà privata intestata a loro, non un bene comune.

Ora, Macao è nato sulla scia del movimento dei Beni Comuni. Quando fu occupata la Torre Galfa contribuì a diffondere il concetto che bisognava opporsi alla privatizzazione della città, che gli spazi pubblici e gli immobili pubblici non dovevano essere trattati come proprietà privata dello stato (o della regione, o del Comune), ma dovevano diventare per l’appunto Beni Comuni, vale a dire beni più pubblici, appartenere a tutti ed essere fruibili da tutti. Ebbene, trasformare uno di questi beni in proprietà privata, seppure inalienabile, non è una mossa che va in quella direzione, ma è una vera e propria inversione di rotta. E proprio per la grande importanza e il valore paradigmatico che Macao ha assunto in questi anni a livello nazionale e anche internazionale, avanzare una proposta di privatizzazione rappresentandola come una restituzione alla città è doppiamente dannoso, perché vuole e può effettivamente diventare un modello.

Proprio per la grande importanza e il valore paradigmatico che Macao ha assunto in questi anni a livello nazionale e anche internazionale, avanzare una proposta di privatizzazione rappresentandola come una restituzione alla città è doppiamente dannoso, perché vuole e può effettivamente diventare un modello.

Ma è un modello che non è realmente antagonista rispetto al sistema del Real Estate contemporaneo: le istituzioni neoliberali gongolano di fronte a una prospettiva di questo genere, che prevede non solo la formalizzazione di un centro “irregolare” che ha profuso energie potenti e giovani in una città come Milano che ha bisogno come il pane di aumentare il proprio grado di coolness, ma anche lo sdoganamento della privatizzazione, sebbene a un prezzo scontato. Un piccolo prezzo di qualche centinaio di migliaia di euro che conviene pagare per alimentare la propria immagine di città aperta, giovane, pioniera nel settore dell’Innovazione culturale (ovvero nella delega al Terzo Settore delle politiche culturali), regina delle Smart City. Una piccola generosità, la cessione di un frammento – non paragonabile comunque alla generosità delle politiche di De Magistris a Napoli nei confronti dell’Asilo Filangieri e degli altri spazi – che consente alla città di Milano e ai politici che la governano di apparire attenta ai beni comuni e al riuso dei luoghi abbandonati, mentre continuano indisturbati a svendere a grande scala piazze, spazi pubblici, immobili di pregio, caserme, scali ferroviari, Città Studi, Piazza D’Armi.

Quello che non è chiaro è invece perché Macao prediliga ossessivamente questa soluzione rispetto alle altre due. Perché osteggia un progetto di gestione, in una delle tante forme che hanno prodotto bellissimi spazi nel resto d’Europa? E soprattutto perché rifiuta a priori di discutere sull’assegnazione di un altro spazio, come è storicamente successo a mille altri centri sociali? In fondo il vero “luogo” di Macao era la torre Galfa, mentre questa palazzina, pur bellissima, è sostituibile. Il cuore di Macao sono le persone, non i mattoni, non QUEI mattoni. Macao sarebbe bellissimo in Duomo come a sud, a nord o a ovest della città.
Perché produrre un paradigma contraddittorio e pericoloso pur di attaccarsi a un simbolo?