Dopo lo sgambetto dell’edizione settembrina l’anno scorso, rieccoci come quasi di consueto di fronte al Fuorisalone. Siamo a giugno invece che ad aprile, e il tempo si prospetta caldo e afoso con una risalita vertiginosa delle temperature tendente ai limiti poco gestibili in città di luglio e agosto. Parliamo di circa 28°, perciò il primo consiglio è: pantaloncini e sandali, canotte per i più esagitati ed eventualmente cappellini, perché ve la dovrete pensare come in vacanza, quando il sole finisce per bruciarvi la nuca, e di conseguenza è fondamentale ricordarsi l’acqua.
Il Fuorisalone 2022 s’aggancia serenamente a temi consueti, anche questa volta. Dalle “Forme dell’Abitare” del lontano settembre, a giugno è “Tra Spazio e Tempo”, perché non c’è mai limite alla durata di certe esplorazioni. Se chiedessimo a Rovelli, per esempio, sosterrebbe con voce nasale ed effervescenza bambinesca che il tempo non esiste, che è materia, che il fatto è che la gravità fa piegare un po’ tutto in ogni momento, concludendo che le conseguenze più drammatiche riguarderanno il rallentamento degli orologi in quella settimana di giugno, proprio tra il 6 e il 12, quando Milano è presa d’assalto dal peso delle temperature e dalla folla mondiale che anela al legno, alla sedia, al divano, alla lampada, all’olimpo del presenzialismo tra i milieu artistocratici dei progettisti. Il colmo della densità meneghina è questa. Anche se poi sappiamo che la gravità vera e propria, i luoghi dove saremo risucchiati come pianeti in un buco nero, saranno i gli spritz, i negroni, gli americani, le birre che bagnano da sempre le sponde del Fuorisalone.
Se tutta la concentrazione ruota tutta attorno alle avvisaglie ecologiche, la progettualità più in voga sarà il riparo dal caldo.
Insomma, benvenuti e bentornati in un tempo diverso: quello della calura del Fuorisalone. Per andare sul pratico, le esigenze tematiche dell’edizione di quest’anno si arroccano attorno ai temi del momento – un momento che dura da vent’anni – e che guarda alle categorie del titolo come indici, quasi cartesiani, con cui valutare l’impatto antropico sul pianeta, quella “impronta umana” su cui alcuni frangenti dell’ecologia profonda insistono da più di sessant’anni, speculando dalle altitudini fresche e nevose dei Galdhøpiggen in Norvegia. Che è esattamente dove vorremmo stare noi. Con un biscotto alla menta piperita sulla cima di un immenso ghiacciaio. Perché se tutta la concentrazione ruota tutta attorno alle avvisaglie ecologiche, la progettualità più in voga sarà il riparo dal caldo. Temi che hanno circa la stessa età del Salone del Mobile, che da ben sessanta anni mette in scena seggiole, tavoli, lampade, servizi e svariate follie. Per prepararvi alla settimana più hot di Milano, abbiamo pensato intanto di farvi un brevissimo sunto per decadi.
Negli anni Sessanta c’erano soltanto produttori di mobili, prettamente brianzoli. Falegnami e via dicendo.
La decade successiva Cassina annusa qualcosa di diverso, e allestisce il proprio showroom in centro con un’idea di convivialità informale. È la prima concezione del tran-tran.
Arriviamo agli anni Ottanta: la Milano da Bere che è la Milano da Pere che è la Milano delle festine e dei coloretti, in cui a fare da capofila sono ovviamente Alchimia e Memphis, la combriccola di progettisti che non smette mai di fare eco nella storia. Si comincia a chiamarlo “Fuorisalone” perché sta in città, e in pochi anni la folla si accalca: il design esce dagli argini specialistici, si tinge d’arancio Aperol e brulica di giovanissimi designer e sperimentatori.
Anni Novanta: il primo palinsesto al di fuori del Salone, coordinando eventi, mostre e presentazioni. È il momento strutturale, quello che sposta tutto in primavera, ad aprile, e configura il Fuorisalone per come ce lo siamo sempre ricordati (prima era a settembre, un po’ come l’anno scorso).
Dal Novanta ai Duemila esplode tutto. Distretti di qui e distretti di là, arriva Tortona, arriva Lambrate, Domus mette in piedi feste in stile superbowl allo stadio di San Siro (2005, e su DA ZERO ve l’avevamo raccontata qui) con gente tipo Matthew Barney – immaginiamo tutto ricoperto di sostanze lattiginose, mentre la folla andava letteralmente in delirio – con la compagnia di Jodorowsky che fa i tarocchi su un tavolino. Ma anche le feste di Esterni che occupavano i cantieri hanno una eco decisamente frizzante.
Passano gli anni Dieci, e le feste rimangono ma diventano un po’ meno eclatanti e un po’ meno pubbliche: sono gli anni delle cenette, degli aperitivi, delle folle immani che transitano per la città, degli affitti da Zar meneghini.
Un design sparpagliato e diffuso, pronto a saltarti alla gola quando meno te l’aspetti.
Siamo a oggi, e invece di andare al mare in Liguria o al Trebbia sul piacentino saremo a bagnarci i nasi negli aperitivini a Brera, a rinfrescarci negli showroom alle 5Vie, a sgomitare per una Tortona come sempre affollatissima. Magari qualcuno si avventurerà agli estremi di Certosa e qualcun altro scoprirà i segreti non ancora rivelati dei Magazzini Raccordati sotto la Stazione Centrale, e tutti vorremmo essere come sempre dio, ubiqui e capaci di trasformare l’acqua e il sudore in vino a buon mercato. Quindi, come di consueto, avremo l’infinito desiderio di vedere, vedere e incontrare tutto e tutti.
Saremo da Alcova, da Base e in tutta Tortona, a Certosa, in Brera, in Isola e in 5Vie, insomma: in tutta la Milano dei Distretti, e non soltanto: perché il design oggi si fa negli interstizi, e un carattere retorico del Fuorisalone è quello che vuole una non meglio specificata “avanguardia” (di idee, ricerche, utopie) infilata negli spazi di mezzo, nei luoghi dell’anomia e della smemoratezza urbana, nelle cattedrali della storia industriale, nei giardini interstiziali, perché sì: in fondo il design dovrebbe essere di tutti, sparpagliato e diffuso, e saltarti alla gola quando meno te l’aspetti. Così è, al di fuori dei distretti c’è una quantità soverchiante di ottime iniziative: i Baranzate Atelier, i progetti da DOPO?, da Ordet, da Spazio Maiocchi, da Nilufar o da Marsell fino alla solita DAE e quest’anno si chiude pure con il Concerto della Filarmonica in Piazza Duomo.
Per aiutarvi nella calura della design week, ZERO vi delizia con lo speciale cartaceo del Fuorisalone 2022.
Poi, può esistere il Fuorisalone senza il Basso che trabocca di designer e creativi di vario titolo che compiono l’eroico andirivieni col Caffè degli Artisti? La risposta è una: NO.
Oltretutto, se questi sono i più noti centri di smistamento-aperitivi della Milano del Design, la città intera si riempie ovunque di temporary bar – cosa che diventa una specie di prurito da astinenza, perché insomma: bisogna andare da tutti: al Marble Bar, al Very Simple Bellezza, fino al Caffè del Circolo Filologico. Arriviamo al dunque, al balsamo dello stress: le feste. Party su party su party, senza soluzione di continuità. È la notte della design week, quella che trasforma ogni progettista in una Bestia da Clubbing. Noi di ZERO consigliamo vivamente di procedere a ognuna di loro, è senza controindicazioni, un’ottima terapia per evitare l’esaurimento.
Vi abbiamo detto quasi tutto, perché sapendo quanto è difficile orientarsi, e giusto perché vi vogliamo bene, quest’anno abbiamo anche rifatto lo speciale cartaceo di ZERO per il Fuorisalone 2022. Trovate tutto quello di cui abbiamo parlato: il meglio del meglio del meglio di eventi, bar e feste, nonché le opinioni di emeriti cinici quali Yodo e viaggi antistanchezza di Carlotta Franco, con qualche immancabile sorpresa.
Buona fortuna a tutti.
Contenuto pubblicato su ZeroMilano - 2022-06-01