Stefano Cimato, conosciuto anche come Steno, mitico leader della band punk Nabat, ha la voce stanca: «stavolta non so se riusciamo ad andare avanti», dice. Dal 1998 porta avanti tra mille difficoltà il centro musicale Vecchio Son in zona San Donato all’ombra del Gasometro. Le sue sale prove hanno visto passare centinaia di band e sono un punto di riferimento per la scena musicale di Bologna.
La sera di sabato 19 ottobre tutto era pronto per un concerto quando all’improvviso ha iniziato a piovere fortissimo e l’acqua ha iniziato a venire giù dai muri, allagando i locali nel giro di un’ora.
«Per fortuna eravamo in tanti e abbiamo tirato via tutto – racconta -, ma c’erano circa 30 cm di acqua. Il giorno dopo è arrivata un sacco di gente ad aiutarci, ma i danni stanno venendo fuori ora perché c’è un umidità pazzesca che rischia di rovinare gli amplificatori e le pareti fono assorbenti, che costano un occhio della testa, sono ancora zuppe e stanno marcendo. Chiaramente è successo anche perché è piovuto moltissimo, ma qui c’è un problema di cura, perché gli spazi – che abbiamo in convenzione dal Comune – non sono mai stati completati: non c’è l’allacciamento alla fogna e al posto del tetto ci sono dei fogli di catrame con delle griglie che svuotano l’acqua direttamente nelle grondaie. Griglie che andrebbero pulite ogni anno, ma non l’avevano ancora fatto e questi sono i risultati. L’acqua veniva giù a fontanelle.»
Tuttavia questa è solo una goccia in un vaso già colmo. Come avevamo già raccontato nel 2020, il vero problema per la sopravvivenza del Vecchio Son riguarda un debito di 90 mila euro con il Comune accumulatosi per questioni sia burocratiche che politiche. Come Steno stesso ci aveva già spiegato: «Dopo aver ottenuto la concessione dei locali a fronte di un progetto decennale, il Quartiere ci consegnò l’attuale spazio che però non era finito. L’accordo consisteva nell’esenzione delle spese in cambio dei lavori che noi ci saremmo presi l’onere di portare a termine. Accordo disatteso poiché dopo qualche anno ci chiesero 15 mila euro da pagare in due tranche. Essendo una no-profit, ci toccò chiedere un prestito a una banca. Ma per pagare quel prestito non siamo più riusciti a star dietro alle utenze e il debito ha cominciato ad accumularsi. Il Comune ha così smesso di rinnovarci la convenzione, e questo ci ha creato grossissime difficoltà che si sono protratte nel tempo».
I piani di rientro attuali prevedono rate mensili di 1300 euro e da due anni l’associazione ha una nuova convenzione, ma i problemi non finiscono mai: «All’inizio di questo mese abbiamo ricevuto 7 mila euro di utenze relative alla fine del 2023 e l’inizio del 2024 da pagare entro il 10 di novembre, ma sono assolutamente gonfiatissime. Tra quelle, per fare un esempio, ci sono anche di 1.500 euro di acqua che non si capisce come avremmo mai potuto consumare avendo solo due bagni. O meglio: avendo il contatore in comune con i nostri vicini dello Zonarelli che hanno un orto, ci sembra chiaro chi è che consuma di più. Abbiamo chiesto un incontro con la direttrice del Quartiere per contestare questa cifra incredibile, ma non ci sta rispondendo e se entro il 10 di novembre non paghiamo ci mandano via, perché non ci rinnovano la convenzione. Peraltro luglio e agosto il centro è chiuso, quindi avevamo chiesto per quei mesi la sospensione delle rate del piano di rientro, ma sono stati inflessibili».
Al momento è stato lanciato un crowdfunding che ha già ricevuto la solidarietà di moltissime persone. Ma veder trattato così quello che è a tutti gli effetti un servizio pubblico fa molta rabbia.
«Noi siamo un no profit, lavoriamo sul territorio, e non possiamo reggere questa situazione, pagando cifre superiori a quelle del mercato privato in un luogo che ha anche degli enormi problemi strutturali. Ma ci pare che sia in atto una strategia per affamarci. Forse pago le mie scelte politiche (Steno si è candidato alle ultime elezioni con Potere al Popolo, ndi), ma qui dentro siamo schiacciati e non riusciamo più a fare investimenti da molti anni. Come se non bastasse, questa è una zona con molto disagio sociale, offriamo quindi un servizio prezioso per la comunità ed è la risposta forte dei cittadini e delle cittadine del quartiere che ci dimostra che lavoriamo bene. Ma in questa Bologna a quanto pare non basta più.»