Gli ultimi due anni pandemici sono stati caratterizzati da dinamiche e movimenti agli antipodi: se da un lato la diffusione e la cura vaccinale del Covid hanno rimarcato una certa irreversibilità dei processi di globalizzazione, dall’altro il tempo di resilienza trascorso tra questi due momenti ha riportato tutti con forza a una dimensione iperlocale: quella dell’appartamento, delle strade attorno alla propria casa, dei quartieri, fino a riscoprire la città come una somma di unità e reti. Proprio su questo terreno ZERO ha incontrato nelle ultime settimane il lavoro di Scenario, realtà a cavallo tra Roma e Berlino che indaga il ruolo dell’immagine fotografica nella cultura e nella divulgazione architettonica e urbana, ampliandone la consapevolezza. Da questo incontro è nato Luci su Roma, un progetto editoriale che nei prossimi mesi vi porterà in giro per la città attraverso il racconto e le foto di alcuni dei protagonisti della progettazione, della creatività e dell’artigianato di Roma. Il nuovo appuntamento è con Punto Zero, studio di progettazione fondato da Giorgio Marchese e Arianna Nobile, con Silvia Firmani, centrato sulla progettazione di residenze, retail e uffici il cui nucleo è sempre la persona: il “punto zero” da cui tutto viene misurato, ideato e pensato.
“Via in Selci è il rione Monti ancora non assaltato dal turismo globalizzato, è ciò che ci ha fatto innamorare, tra meccanici e studi di architettura. Perché c’è qualcosa che torna, tra la riparazione e la creazione. Una cultura manuale che è rimasta sulla superficie dei muri e dei ciottoli della via, e che si manifesta ad esempio nel laboratorio POTS, una piccola bottega dove si tengono corsi di ceramica artigianale. E in quanto manuale costituita anche dalle sue naturali imperfezioni; come l’architettura che ci piace.
Una via, questa, che è una pausa, un luogo dove il passo rallenta; un invito a guardarsi intorno alla ricerca dei dettagli di una strada che sembra rubata ad un paese. Una via quasi nascosta, interclusa, in cui ogni tanto poche guide turistiche portano i propri ospiti con le cuffiette a perdersi e scoprire il tessuto originario lontano dal passaggio di auto e persone. Puntellata da vigne che crescono coraggiose tra i ciottoli romani e davanti i portoni lignei dei piani terra, via in Selci è una via stretta e chiusa tra via delle Sette Sale e la parallela via Lanza. Sbocca da un lato su piazza San Martino ai Monti, dove due torri medievali di mattoni fanno da passaggio tra i regni dell’Esquilino e quello di Monti/Colle Oppio.
Si affaccia sulla via anche una piccola antichissima chiesa, Santa Lucia in Selci, che conserva in facciata tutti i segni della sua storia: i pilastri in travertino, incassati nelle mura, i cinque archi di scarico, le piccole finestre rettangolari che si aprono su altrettante antiche finestre ad arco,
in seguito murate. Gli elementi si sovrappongono in un ordine apparentemente casuale e raccontano storie ed epoche diverse, e ogni volta sembra di scorgere un dettaglio diverso. Questo è poi un angolo di quartiere in salita, fatto di scale: quella di via di Monte Polacco che conduce a via delle Sette Sale e alla Facoltà di Ingegneria, o la Scalinata Borgia, che da via Cavour ci porta dritti alla Chiesa di San Pietro in Vincoli.
E dopo la fatica della salita, la meraviglia della vista: una piazza purtroppo usata come parcheggio ma dalla quale, alle primissime ore del mattino, quando è ancora vuota, si gode un’inedita alba su Roma. E poi, a proposito di scale, quelle della Chiesa alla Basilica Santi Silvestro e Martino, la cui prospettiva – per chi cammina veloce a piedi come noi – ricorda la scala di Casa Malaparte. Salendo per via Equizia, costeggiamo ancora il mattone con lo sguardo bloccato. Forse è questo uno dei fili conduttori della passeggiata. Alla fine di questa, il muro dei giardini di Palazzo Brancaccio fa da grande barriera da cui svettano rigogliose le piante di uno dei giardini più nascosti e più belli del quartiere, dove adesso è rinato Spazio FIELD.
Il baretto old style, Licenza 93, con l’insegna a lettere estruse di una volta, in color arancio anni Settanta, pochi tavolini in legno all’aperto e un ombrellone che fa da ombra allo spritz più genuino e informale del rione, oltre all’immancabile dose di tramezzini. Oppure il celebrato Drink Kong, aperto da pochi anni, che ha conquistato la capitale con la bontà (e la indecifrabilità) dei suoi cocktail. Altre chicche del quartiere, il negozio di dischi e vinili, Millerecords, un archivio ricchissimo di musica in cui Alessandro si orienta con una memoria sorprendente; o la biscotteria Cipriani, di cui adoriamo i biscotti e le e antiche latte: il divertimento per noi è pescare da ciascuna latta il proprio biscotto preferito e comporre su misura la merenda.