Mentre la pandemia silenzia tutti gli strati più o meno emersi della cultura in presenza e la dimensione sociale digitale esaspera un’ossessione sempre più vacua per l’immagine e per l’esserci sempre e comunque, è negli interstizi della cultura dal basso che si portano avanti nuove-vecchie forme di resistenza. Roma conosce bene questa dinamica ribaltata a prescindere dall’emergenza Covid. Una dinamica in cui è il sottosuolo a inventare soluzioni e dare relativa continuità a un discorso artistico e culturale: facendo leva su esperienze di condivisione e di radicamento in un territorio, sperimentando modalità spesso opposte e contrarie ai meccanismi commerciali, intuizioni apparentemente folli che, sulla media distanza, si sono mostrate linfe vitali preziose e precorritrici dei tempi. Se il BABA Festival è l’esempio perfetto di questo processo spontaneo, disallineato e visionario di sopravvivenza, Poesia Carnosa ne è un parente stretto. Altrettanto allergico ai pattern tradizionali, imprevedibile ma propositivo, altrettanto complesso e insieme primordiale da riuscire sempre a offrire un punto di vista altro: pure quando è tutto fermo, pure quando scegliere di agire può rivelarsi un’arma a doppio taglio, pure dopo una serie di “mazzate” collettive e personali che scuoterebbero fino a immobilizzarlo anche il più robusto e paffuto dei festival.
L’idea era di non avere più gente seduta a sentire educatamente la poesia, e soprattutto di fare determinate cose in contesti non di nicchia
Poesia Carnosa, mini festival di poesia sonora e multimediale a cura di Jonida Prifti e Stefano Di Trapani e attivo dal 2010, torna anche quest’anno con un’edizione inevitabilmente speciale. Ce la siamo fatta raccontare dai due ideatori, cominciando dalla vocazione originale dell’appuntamento. «Questo percorso è cominciato nel 2010 con il desiderio di svecchiare l’ambiente poetico che ci sembrava piuttosto anacronistico, fatto di un circoletto che comunicava solo con se stesso, che a volte anche tendeva a “stigmatizzare” chi magari non masticava poesia. In realtà sono proprio questi ultimi soggetti la linfa vitale della poesia stessa, perché essa deve arrivare all’uomo – non al suo simulacro. E visto che anche la poesia sonora, che non è nata per stare nei musei, era considerata spesso uno scherzo, invece di aspettare qualcuno che tirasse su un festival come ci sarebbe piaciuto fosse, lo abbiamo fatto noi. Con l’idea di non avere più gente seduta a sentire educatamente la poesia, e soprattutto di fare determinate cose in contesti non di nicchia. Ecco perché le mura di Fanfulla, Trenta Formiche e DalVerme ci hanno ospitato in tutte queste edizioni: lì entrava anche la qualunque, poi si incuriosiva, rimaneva in ascolto, partecipava. E ogni edizione ha visto un bel numero di spettatori difficilmente riscontrabile in manifestazioni che si basano sulle “bolle”, solo perché non si intravede un diverso orizzonte. Altra caratteristica è che mescoliamo un po’ le carte, invitando anche chi fa poesia in maniera classica a sbottonarsi e talvolta chi è abituato al contrario ad abbottonarsi. La questione è che la comfort zone non può essere un alibi per fare roba già di partenza stanca: bisogna stare sempre con le antenne dritte se si vuole recepire la poesia che ci circonda. Negli ultimi tempi infatti abbiamo portato avanti una “relazione” diretta con l’etichetta My Dance The Skull, che ha portato linfa e anche del pepe, allargando le prospettive. Noi ci auguriamo un giorno di poter far questo festival in uno stadio, con enormi muri di Marshall: sarebbe finalmente il ritorno della tragedia greca in cui tutta la polis si riconosceva, non solo quattro critici in croce».
L’edizione di quest’anno è speciale sotto numerosi punti di vista, collettivi e personali. In primo luogo la decisione di non fermarsi, di non “restare in silenzio” (ehm), di dare un segnale. «Volevamo parlare meno e agire di più: che non vuol dire “fare” tanto per. Visto che oramai nei social è solo un grande ciarlare e i social nella loro multimedialità coatta sono lo specchio “culturale” del nostro mondo, ce ne stiamo zitti e portiamo la poesia verso un’attitudine che potrebbe essere un antidoto alla censura. Come il grasso combatte il grasso dello sporco, rispondiamo al bavaglio con la stessa moneta. Durante il lockdown ci è esploso il cervello a forza di vedere gente che postava video, trasmissioni radio, playlist a caso, qualsiasi cosa tanto per dire “IO CI SONO”: ma il problema è proprio l’ESSERCI. Il segnale che vorremmo dare è invece che dovremmo resettarci su un piano dilatato, su una economia diversa che non sia il ricatto capitalista: anzi esistiamo in quanto possiamo rifiutarci di esistere, di assumere un ruolo e quindi riuscire a essere meno tracciati. In questo caso il silenzio è paradossalmente l’unico modo per non stare in silenzio. Siamo una categoria trattata come invisibile? Bene, saremo ancora più spettrali, più carbonari, e gli rovineremo il sonno. Perché se con il nostro esserci dobbiamo essere gli inconsapevoli amplificatori del terrore, del potere e dei padroni della cultura – che tengono aperte le librerie per far vendere i libri dei nostri deputati… – nonché cavie comportamentali e politiche, allora meglio sfruttare le crepe del nulla, dell’assoluta mancanza di controllo spacciata per “grande fratello” che alla fine è la cifra di chi ci comanda. I potenti sono allo sbaraglio, fanno i duri come draghi di cartone; siamo noi che avalliamo il loro bluff».
Siamo una categoria trattata come invisibile? Bene, saremo ancora più spettrali, più carbonari, e gli rovineremo il sonno
Il contesto pandemico e la crisi pregressa della cultura tutta è come se amplificassero la portata provocatoria e ribaltata di Poesia Carnosa, la necessità che manifestazioni del genere continuino a far circolare idee e provocazioni, a mettere in discussione meccanismi che ormai hanno permeato la produzione artistica e la comunicazione quasi in ogni suo strato. La scelta di un’edizione “muta” – o meglio, che cerca di reinterpretare in maniera contemporanea e a suo modo pragmatica un limite dell’attualità – non è chiaramente slegata da una riflessione sul ruolo dell’immagine oggi. «L’immagine ha saturato i nostri occhi, crediamo sia arrivato tutto al limite da quel punto di vista. O quasi, perché il video non viene concepito oggi se non in relazione all’audio. Entrambi i campi stanno esagerando: la libera espressione viene confusa con il dire quello che si vuole quando si vuole senza collegare la mente alla bocca. Non diciamo che sia tutto uno schifo, chiaro, ma per una buona percentuale c’è qualcosa che non va. Questo è un grosso problema che si trova anche nell’arte concettuale, nella video arte, figuriamoci nella poesia: in media è roba che va di pari passo alla velocità del monetizzabile. Poiché in assenza di un reale scambio dovuto a questo periodo pandemico, si tende a dire virtualmente troppo, noi vorremmo stimolare alla distrazione: togliamo l’audio al video e il video all’audio, mettiamoli in mutande. Per vedere se poi è vero che siamo in grado di percepire la cultura, se riusciamo a concentrarci o se non siamo proprio noi ad averla affossata per la superficialità del “consumo artistico”. Si dà sempre la colpa a un esterno, ma mai al fatto che il disastro culturale lo hanno preparato proprio i cosiddetti “artisti” molto a monte della pandemia, avallando determinati vizi di forma, a volte addirittura pretendendo di fare cultura quando forse era solo pura vanità e sete di potere. Nessuno è al sicuro, neanche noi: quindi è ora di scrollarsi di dosso determinate scorie radioattive».
Un altro motivo per cui si tratta di un’edizione speciale è il ricordo dell’amica e figura chiave dell’underground romano Claudia Acciarino: una figura che artisticamente e umanamente attraversa nel profondo lo spirito ancora più carbonaro e testardo di questa edizione, anche attraverso una coincidenza che ha poi indirizzato Poesia Carnosa verso l’appuntamento intitolato “M”. «Dopo la scomparsa di Claudia ci siamo bloccati completamente. Abbiamo ritardato tutto, abbiamo congelato il festival a data da destinarsi perché non ce la sentivamo più. Poi abbiamo ritrovato un video mai diffuso della performance di Claudia come Cassandra all’ultimo Poesia Carnosa del 2019, ripreso da Michele Manfellotto e a un certo punto ci siamo detti che avremmo dedicato tutto a lei e saremmo andati avanti, perché non si è mai arresa di fronte a nessuna difficoltà e non si capisce perché noi dovremmo farlo. Faremmo un torto a una grande performer, una stupenda amica, bellissima, con cui abbiamo vissuto tante conquiste e momenti di gioia. Onestamente ci ricordiamo solo questi ultimi con Claudia, anche nei momenti bui. Lei e Jonida stavano per mettere su una cosa dedicata alla figura di Cassandra, è stato come se qualcuno avesse reciso un fiore in maniera gratuita. E quindi adesso lo ripiantiamo, come è giusto che sia. E sappiamo per certo che molte altre manifestazioni in giro saranno dedicate alla sua memoria, perché è ancora una presenza che ci dà benzina per dare fuoco a quello che ci vuole impedire di vivere».
L’edizione di quest’anno si svolgerà online il 4 aprile dalle 21. Molti gli artisti internazionali e nazionali coinvolti. «Abbiamo scelto la line up pensando a un’ideale unione tra alcune delle realtà che fanno ricerca nella poesia sonora, nella vocalità, soprattutto tra le etichette. Quindi possiamo dire che questo festival è patrocinato da realtà come ERRATUM, Canti Magnetici, My Dance The Skull, Commando Vanessa e con un aiuto fondamentale da Ram RadioArteMobile. Sono loro che lo fanno, in fondo. Tra gli artisti internazionali abbiamo i grandissimi Steve Piccolo, Bromp Treb, Papal Bull e tra gli italiani personaggi di culto come Terra Di Benedetto, Lello Voce, Alessandra Eramo. Ognuno dei partecipanti ha avuto e restituito una visione personalissima, noi abbiamo dato solo dei piccoli suggerimenti di durata consigliando di usare il volto prima di tutto e far durare i video massimo 5 minuti, perché il tutto si svolgerà neanche in streaming ma direttamente su Youtube. Ovviamente poi sono saltati gli schemi: il corpo però è sempre presente, perché è quello che di questi tempi soffre di più. E un corpo in video è comunque qualcosa di caldo, che comunica a prescindere: non a caso i porno sono i più visti durante la pandemia e non credo solo per motivi di libido». QUI la line up completa.