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San Siro non si tira giù

In occasione dell'uscita di "Glitter Desert", Glitter Boy racconta a Paolo Cerruto il nuovo EP

quartiere Porta-Venezia

Written by Paolo Cerruto il 10 February 2022

Nel mare magnum della produzione in rima è diventato difficile orientarsi e sentire qualcosa di originale. Chi ha incrociato Glitter Boy sa che è una boccata d’aria in una scena “in gabbia”. Glitter non è un poser, non vede sbarre e per questo è libero; libero di fare uno spogliarello nei suoi live, libero di contorcersi per terra come un punk, libero di scrivere senza cliché né ansie “politically correct”. Riccardo, sconosciuto fuori dal giro dell’underground meneghino, si muove sfacciato tra i banconi della provincia e i bar di una Milano bevuta e (giustamente) sfottuta.

L’ho conosciuto la scorsa estate in una puntata di DPCM, il tour fra gli anfiteatri pubblici dove è diventato presenza fissa. Ogni volta presentava un breve show al fulmicotone, con una banda di supporter armati di fumogeni e trombette da stadio. Da lì in poi l’ho incontrato ovunque, dai bar di porta Venezia ai centri sociali, passando per le immancabili feste al Lambro che hanno costellato l’estate. Lo scorso dicembre ha chiuso in maniera graffiante il festival Slam X e la finale del premio Dubito al Cox18 e mi ha detto che stava per concludere il secondo ep che racconta qui, pezzo per pezzo, in esclusiva. In “Glitter Desert” troviamo riferimenti altissimi e di strada, e in questa vertigine si inseriscono le sue rime sferzanti e incisive, che parlano dell’abbattimento del Meazza e dell’umanità variopinta e disperata delle piazze urbane e provinciali. “Da adesso in poi, solo Glitter Boy”.

Ciao Riccardo, partiamo dal nome. Perché Glitter Boy?
È un nome che mi davano alle feste quando vivevo a Barcellona. Uscivo con una ragazza appena ventenne ed eravamo una di quelle coppie corazzata che non si faceva mancare nemmeno le serate al Moog il lunedì, al Macarena il martedì e così via, no stop. Glitter boy e Glitter Girl. All’ epoca tenere lo stesso posto di lavoro per venti minuti era già un successo.

Quando nasce il progetto Glitter Boy? Racconta il tuo primo show…
Avevo un paio di canzoni rap, nello specifico Milano Paradiso e Pessime Abitudini; siamo a maggio 2020, credo, quando i più lungimiranti avevano previsto che l’ultimo settore a liberarsi dalle restrizioni del primo lockdown sarebbe stato quello di cultura e spettacolo. Mentre il mondo della musica elettronica si riorganizzava autonomamente al di fuori della legalità tutti gli altri reagivano con esibizioni sul web e rivendicazioni minime, quasi mai di piazza.

Con alcuni ragazzi del mio collettivo abbiamo montato un sound system in macchina collegandolo all’accendisigari della macchina. Abbiamo avvisato un centinaio di persone che ci saremmo esibiti di fronte a un già affollato bar di porta Venezia. L’esibizione è durata cinque o sei minuti, con l’automobile parcheggiata di traverso. In quel pochissimo tempo il bar ha chiuso le serrande per paura di ripercussioni legali e la strada in questione è stata bloccata. Si scende, ci si prende la strada e si sparisce nel nulla. Come una rapina ma senza maglietta.

Perché suoni senza maglietta?
Per esibire il mio fisico da tubercolosi.

Il primo ep è stato Glitter Forest, ora esci con Glitter Desert. C’è una continuità o un cambiamento?
Ci trovo un inasprimento delle tematiche e dei modi ma non vedo nessun cambiamento. Il disco nuovo è più duro del precedente perché vivendo più da vicino l’assurdità del sistema musica ho molta meno voglia di Musica Leggerissima. Mentre in due anni di chiusure migliaia di musicisti, strumentisti e fonici hanno dovuto reinventarsi, la loro fetta di mercato è stata fottuta da youtubers e rapper analfabeti, possibilmente minorenni. Basti pensare al mondo delle “reazioni”… ti immagini se venti anni fa ti avessero detto che il video di un tuo brano avrebbe avuto meno visualizzazioni di quello di un coglione che interrompe la canzone ogni venti secondi per dire cosa ne pensa?

Glitter, purtroppo esisti e giri solo a Milano, come mai?
Perché al di fuori di Milano non ho senso di esistere.

In una nuova traccia (Milano inferno), canti “San Siro non si tira giù”. Perché?
Se domani comunicassero che il Duomo di Milano sarà abbattuto per ricostruirlo tecnologicamente più avanzato e con dei negozi e una caffetteria sai i cattolici che bordello farebbero?

TRACK BY TRACK by Glitter Boy

1) Overture (prod Cosmic Gumbo)
Overture è la presentazione delle mie ambizioni liriche, artistiche e rivoluzionarie. Una sorta di speech di presentazione a un colloquio di lavoro. Rispondo alle domande: chi è il Glitter? In che cosa è diverso dagli altri candidati?

2) Rigore per la Juve (prod Pierz)
È la mia canzone preferita e sento che incarna alla perfezione il mio odio viscerale per ogni vittimismo e per ogni qualunquismo. La sento come un manifesto di evasione, un sonorissimo “non me ne frega un cazzo” rispetto alla bislacca dialettica da bar, dialettica da social, dialettica politica a cui siamo assuefatti.

3) Milano inferno (prod Dani Bro)
Per continuare e riallacciarmi a Milano Paradiso, contenuta nel precedente ep Glitter Forest, ho immaginato che le dieci piaghe che colpirono l’antico Egitto prima dell’Esodo degli Ebrei si scatenassero contro Milano in seguito alla decisione di abbattere lo stadio Meazza. Mentre scrivevo le rime mi accorgevo di non riconoscere più se gli autori delle piaghe fossero gli ultras e i tifosi oppure una mano divina, e ugualmente che in fin dei conti non facesse nessuna differenza.

4) Largo degli Alpini (prod Peeza)
È una canzone che ho scritto per rappresentare i luoghi in cui sono cresciuto. Non ho sentito la tentazione di drammatizzare nessuno degli scorci che ho descritto. Piuttosto ho trovato questo grigiore multirazziale molto pacifico… al confine paradossalmente fino a diventare bucolico; una tranquillità scandita da ritmiche perturbanti e basse frequenze.