Raccontare la storia è una grandissima responsabilità: dare una voce e una forma al passato vuol dire influenzare il pensiero del presente. Creare delle derive di significato rispetto a quello che siamo e proviamo. Si posa il confine da cui nasce il progresso, i passi da fare in avanti e di lato. Per questo i processi e le azioni di storicizzazione sono tra i più esposti e criticati. Generano consapevolezza e dissenso in chi li fruisce e cristallizzano chi invece rientra nella narrazione. A Milano uno dei filoni creativi che porta un cuore pulsante di storia è sicuramente il design, di cui è stata ed è protagonista da sempre, fin dai suoi albori artigianali. Nel ventre meneghino sono nati o adottati alcuni dei designer più interessanti, figure capaci di spostare i concetti e affermare il pensiero. Innovatori e innovatrici che hanno trovato nelle vibrazioni potenti di questa città grande nutrimento e lavoro. Anche per questo Milano ha un luogo, da altrettanto tempo, che si fa portatore di questi percorsi: la Triennale di Milano. Alcova per eccellenza dell’ibridazione dei linguaggi e del design in specifico, della sua storia e del suo presente. Anche grazie al costante lavoro di tutti i curatori e curatrici, di cui negli ultimi anni abbiamo colto innumerevoli volte le sfumature anche grazie a Marco Sammicheli, attuale curatore per il settore design, moda e artigianato di Triennale Milano e direttore del Museo del Design Italiano.
Dietro le grandi porte di Triennale, in questo momento, si schiudono quattro mostre che alzano l‘asticella del modo di raccontare, storicizzare e rappresentare il design. Iniziamo da Io sono un drago. La vera storia di Alessandro Mendini, prodotta con Fondation Cartier pour l’art contemporain, e che letteralmente sfavilla. Un susseguirsi di estro creativo a colori il cui ingresso si affaccia di dirimpetto sul percorso dai toni tenui ma molto incisivi che ripercorrono la carriera e la vita di Roberto Sambonet. Altro creativo eclettico e dalla produzione immensa che la mostra, con un allestimento semplice ma efficace, restituisce in maniera esaustiva, tra le pieghe di un pensiero multiforme.
Al primo piano delle Triennale invece troviamo due mostre dedicate ad altrettante grandi professioniste: da un lato l’intramontabile Gae Aulenti e dall’altro la freschissima Inga Sempé con La casa imperfetta. Nel caso di Gae, che chiamiamo per nome perché il suo percorso di storicizzazione l’ha resa una figura quasi famigliare, che attraversa costantemente le bocche dei milanesi per piazze a lei intitolate e progetti impossibili da tralasciare come la stazione di Cadorna. La mostra di Gae Aulenti emana Gae Aulenti, ogni cosa parla la sua lingua, tutti gli allestimenti sono stati pensati da lei (per le occasioni più diverse, dagli show-room ai teatri), ricostruiti e declinati in percorso di mostra, accompagnati da un vero e proprio modo di lavorare che trasuda dalle sua tavole di progettazione.
E infine Inga Sempé, designer francese, portata in Triennale da Marco Sammicheli con un approccio che valorizza tutta l’efficace raffinatezza del suo lavoro, rendendo la mostra palpabile e vivibile. Una casa accogliente perché imperfetta. A differenza dei tre casi citati, la Sempé rappresenta il presente, in quanto assolutamente attiva nel suo settore, ma il suo lavoro è ormai un caposaldo, assimilato e compreso, attuale e generativo.
Riflessioni che restano molto legate al presente se non al futuro, anche quando parlano del passato.
Io il passato lo patisco, perché spesso viene usato per creare dei metri di paragone inarrivabili, creando delle narrazioni un po’ semplicistiche in cui “una volta erano più bravi” e al presente non resta che guardare e ispirarsi o riprendere o scopiazzare, perché tanto non ha e non avrà mai nulla di meglio di dire. Un muro insomma.
Ma quella che raccontiamo oggi è una vena un po’ nostalgica sì, come quella che porta avanti Triennale con tre mostre su quattro dedicate a figure del passato, ma il modo in cui lo fa non è statico, non immobilizza il fruitore ma lo stimola, apre porte su visioni con sensazioni di possibilità di evoluzione. È questo che piace di queste quattro mostre affermative che portano un po’ più in alto la qualità delle mostre di design in questa città e che sicuramente fanno sfoggio di anni di ricerca e riflessioni che restano molto legate al presente se non al futuro, anche quando parlano del passato.