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Dall’hub delle periferie a quello delle lotte: il nuovo inizio di ExCentrale

Written by Salvatore Papa il 6 June 2022

A guardare le foto dello spazio appena aperto dopo decenni di abbandono e l’ExCentrale di oggi in via di Corticella 129 quasi non ci si crede. Ci sono voluti due anni ininterrotti di lavori per rendere quella che era diventata una discarica ricoperta da una selva inestricabile un luogo nuovamente attraversabile e oggi una delle esperienze sociali e culturali più interessanti della città.
Come ci hanno raccontato Danilo e Federico, «ExCentrale è un punto importante della storia di Crash», ma c’è pure tanto di nuovo. Sia perché la concessione – la prima dopo 15 anni di occupazioni e sgomberi – consente di programmare con una visione di medio-lungo periodo, sia per la rinnovata e necessaria apertura verso l’esterno rappresentata bene dal progetto “Hub delle periferie“, dall’arrivo della redazione locale di Radio Onda d’Urto e nei prossimi giorni, dal 10 al 12 giugno, il primo Reload Festival, tre giorni di autogestione, musica, dj set, incontri e arte aperti a tutte le realtà che hanno già fatto e vorrebbero far parte di ExCentrale.

Ecco cosa ci hanno raccontato.

 

Partiamo dal principio: quali sono gli accordi col Comune?

Abbiamo un contratto di 4 anni più altri 4 a cui andranno aggiunti altri anni stabiliti in base a una conversione del computo dei lavori.

A quanto pensate ammonteranno le spese complessive per ristrutturare tutto?

Nel progetto avevamo calcolato circa 300mila euro e sicuramente ci avvicineremo a quella cifra, se non anche la sorpasseremo.

Rispetto all’esperienza del Crash cos’è rimasto e cosa c’è di nuovo?

Da una parte ExCentrale è chiaramente un punto importante della storia di Crash. Dopo quindici occupazioni e sgomberi, questo spazio è arrivato come un risultato positivo rispetto ai rapporti costruiti con le istituzioni locali. Il gruppo di persone è praticamente quello del Laboratorio Crash, ma ci piacerebbe allargare e includere tante altre persone e realtà. Per questo la scelta di un nome diverso. Qui dentro vogliamo avviare un altro tipo di progetto rispetto a quello che è stato Crash inteso come spazio fisico – perché come progetto politico non cambia -, ovvero cercare un radicamento di quartiere periferico e di apertura a chi in generale vuole partecipare al mondo dell’autogestione e si vuole sperimentare in questo campo.

Passare dalle occupazioni a un percorso legale è stato un punto di svolta per voi…

Nella nostra visione politica uno spazio occupato nasce per essere riconosciuto e per far riconoscere il proprio valore sociale. Partecipare a un bando per avere in concessione uno spazio non sarebbe stato sicuramente pertinente in altri periodi della nostra storia, ma abbiamo deciso di farlo in un momento che per noi era quello giusto. Ed è stata una grande scommessa quella di riuscire a ristrutturare e riaprire uno spazio abbandonato da 70 anni. È, quindi, una svolta che va contestualizzata alla luce dei quindici sgomberi che abbiamo subito negli anni. Per noi è un traguardo che non vuol dire fine, ma nuovo inizio di sperimentazioni.

E cosa ne pensate dei percorsi di altri che si pongono ancora in una maniera conflittuale rispetto all’assegnazione degli spazi?

Ovviamente li rispettiamo e siamo solidali con loro. Ci teniamo però a chiarire che se noi abbiamo scelto un altro percorso non significa che non rimaniamo critici rispetto ai criteri di assegnazione o alla gestione del patrimonio pubblico. La retorica della pacificazione attraverso l’assegnazione, e tutta la politica che Lepore ha fatto sia da Assessore e ora da Sindaco continua a non convincerci. Ma non crediamo che la differenza sia tra spazio occupato e spazio attribuito tramite bando, perché siamo convinti che l’elaborazione politica e critica possa partire dagli spazi in generale e avvenire ovunque, anche all’interno dell’Università o di una piazza. Quindi l’importante è avere una coerenza in questo tipo di approccio.

Dal 10 al 12 giugno ospiterete il festival Reload che rappresenta per voi un po’ la summa del lavoro svolto fin qui..

Esattamente. L’assemblea di lancio per il festival è stata fatta proprio per cercare di aprire la gestione dello spazio a chiunque condividesse i punti sintetizzati nel manifesto politico che abbiamo pubblicato sul nostro sito.
Chi si rispecchia in quelli può avere un confronto con questa nuova realtà a partire dall’autogestione del festival stesso, dalle proposte artistiche alla produzione fino all’allestimento. È un esperimento chiaramente, ma l’assemblea è andata molto bene, quindi le premesse sono positive.

Avete partecipato a Bologna Estate?

No. Abbiamo scelto di non farlo per evitare di entrare in un meccanismo che privilegia o deprivilegia. Non che giudichiamo negativamente gli eventi che l’hanno fatto, ma vorremmo avere un percorso parallelo con una composizione sociale a artistica varia che rispecchia i nostri interessi. Ci teniamo a distinguerci, insomma.

Quali erano gli obiettivi appena preso lo spazio e cosa è cambiato con la pandemia?

Quando abbiamo preso lo spazio, dopo tante assemblee, avevamo già bene in mente cosa volevamo farci. Quindi essere sì un centro sociale, ma soprattutto un punto di riferimento per il quartiere, un luogo che si fa attraversare e che accoglie proposte e idee. E l’assemblea pubblica che abbiamo fatto per il festival ci ha dimostrato che il lavoro fatto sta funzionando. Perché ci sono tante realtà che si sono messe a disposizione e tante altre che hanno iniziato a conoscerci. L’idea di base rimane però quella del Laboratorio, appunto, che prova a fare e sperimentare le cose in divenire, tra stimoli esterni e interni.
Ovviamente la pandemia ci ha coinvolto pesantemente, perché abbiamo aperto proprio in quel periodo. Durante il primo lockdown abbiamo iniziato a ragionare di salute, intessere relazioni con il quartiere sulla questione della chiusura del Cup del Centro Gorki e da lì abbiamo allargato il discorso alla salute di prossimità, anche a un livello più cittadino. È nata l’Assemblea della Salute per i Territori che ha visto anche qui a ExCentrale ospitare due convegni nazionali. Il tema ci interessava, ma mai prima della pandemia mai ci saremmo aspettati di interfacciarlo in una maniera così diretta.

Il progetto “hub delle periferie” in cosa consiste e a che punto è?

È un discorso che non si vuole limitare alla questione geografica, perché quando parliamo di periferie ci riferiamo a certe condizioni che si possono trovare anche in centro. Per il momento quello che abbiamo fatto è stato provare a risignificare un termine del panorama capitalista che è “hub” trasformandolo in un modo nuovo di intendere le reti e le relazioni. È iniziato, quindi, come un lancio evocativo perché avevamo bisogno di capire come avrebbero risposto la città e il quartiere. Abbiamo fatto un tour di presentazione in città, tra locali, palestre di quartiere, luoghi a noi affini e posti nuovi. Ma è un percorso in divenire e il Reload Festival stesso ne fa parte. Nel concreto partiranno poi una serie di progetti, tra cui quello di Radio Onda d’Urto che farà qui da noi una redazione locale. Il 10 avremo la presentazione del progetto e la prima assemblea pubblica con i bresciani che verranno a presentare la proposta.

Vi hanno contattati loro?

Da sempre con loro abbiamo avuto affinità politica. Durante gli anni scorsi abbiamo avuto dei momenti conviviali che ci hanno fatto confrontare e da lì è uscita questa proposta che anche per loro è una scommessa.

Come sono i rapporti col vicinato?

Buoni. Rispetto al Crash di via Cooperazione che era un po’ nel nulla, qui siamo in mezzo al quartiere e sappiamo che coi vicini bisogna venirsi incontro. La cosa che ci ha sorpresi è che molte persone e famiglie ci hanno quasi sin da subito riconosciuto come un luogo da attraversare o dove sostare e stare in pace. Ed è un fatto che riguarda tutte le fasce d’età.
L’abbiamo detto più volte: non abbiamo preso questo spazio perché ci interessa fare la discoteca – con tutto il rispetto per le discoteche e per la loro offerta culturale – ma vogliamo caratterizzarlo come un luogo che si distingue sia per l’offerta culturale che per i contenuti sociali.
Ci teniamo che venga letto in questo modo ExCentrale. Non vogliamo dissociarci, ma vogliamo far emergere la particolarità e specificità di questo progetto rispetto ad altri che si trovano in città.

Con la nuova giunta è nata anche la delega alla notte che ora fa capo alla Vicesindaca Clancy. Cosa ne pensate?

Non essendo nel cuore della movida, la nostra riflessione è ovviamente diversa. Noi sappiamo che se facciamo un certo tipo di proposta in questo spazio, dobbiamo gestirla perché possa svolgersi nei migliori modi possibili. Abbiamo, perciò, per le serate che finiscono dopo la mezzanotte dei presidi in strada per fare in modo che tutto fili liscio, facciamo la pulizia nel quartiere dopo gli eventi e sui volumi siamo sempre nei limiti sia legali che di buon senso nel rispetto di chi abita e di chi lavora.

Non solo Corticella però, ma anche Bolognina…

Sì, in Bolognina abbiamo il PLAT, un nostro progetto sociale che tratta di questione casa, sfratti, CAF, caro bollette e altro e ha la sede in via Nicolò dell’Arca 34/B.

Dove c’è stato l’incontro di Bolognina Boxe?

Esattamente. In quella corte popolare abbiamo messo un ring e si è svolto un incontro gratuito al quale hanno partecipato tantissimi abitanti del quartiere. C’era anche la gente affacciata dai balconi, è stato bellissimo. E ci altri match, anche a ExCentrale, sia a giugno che e a settembre, e non ci fermeremo a questo. Perché, come saprete, la palestra in questo momento deve cambiare sede ma tuttora non ci sono soluzioni e per questo vogliamo rimettere al centro insieme a loro la questione dello sport popolare.

Incontro di Bolognina Boxe a ExCentrale – settembre 2021

E che mi dite del campetto di calcio sotto la trilogia Navile?

Anche quell’idea è nata all’interno della corte di via Nicolò dell’Arca. Tanti ragazzi che la frequentano ci avevano spesso detto che non sapevano dove giocare a calcio perché tutti i campetti sono a pagamento. Quindi abbiamo individuato un campo d’erba dietro la Tettoia Nervi e con loro abbiamo piantato due porte, dove oggi possono giocare. Basta veramente poco per rendere un quartiere più vivibile.

Vi sentite minacciati dalla gentrificazione della Bolognina?

I cambiamenti sono potenti. In Corticella è però visibilmente diverso. Non che ci poniamo in maniera resistenziale rispetto a certe trasformazioni, perché pensiamo che la gentrificazione non sia solo un processo dall’alto verso il basso, ma che alle volte risponda alle esigenze di quartieri abbandonati (talvolta volutamente) dove grossi problemi creano per reazione certe esigenze. E non possiamo dire che la Bolognina non avesse i suoi problemi, ma ovviamente non crediamo che questi si risolvano com’è stato fatto. Quindi, ad esempio, sgomberando uno spazio come XM che fungeva da presidio sociale di una zona abbandonata. Oggi basta fare un giro lì attorno per capire che senza XM la situazione è peggiorata.
Anche ExCentrale era un luogo abbandonato, letteralmente una discarica a cielo aperto, ma è riaprendo alle persone posti come questo che si interviene positivamente sul tessuto sociale.

Infine la zona universitaria e i vostri rapporti col CUA…

Sì, col CUA abbiamo rapporti da molto tempo. Con il loro nuovo spazio SPLIT si è creata una circolarità virtuosa, soprattutto dopo la piacevole ondata di lotte studentesche nate nelle scuole superiori che ha poi dato vita a un nuovo collettivo che si chiama Scuole in Lotta. Il collettivo si riunisce da SPLIT, che come ExCentrale è un luogo dove sperimentare l’autogestione ma che funge anche da interfaccia con noi per chi, oltre alle questioni studentesche, è interessato anche alle lotte per la casa o quelle per la logistica.

Non solo hub delle periferie, quindi, ma anche hub delle lotte?

Lo speriamo.