Una serie di racconti che percorrono lo stivale, da Milano fino in Puglia, e solcano il binario dell’insofferenza per un mondo che non ricorda più come stare a tavola. Branzini fascisti, avocado e cappelle, trattorie scomparse e de-provincializzazione massiccia che fa diventare Polignano più simile a Disneyland che a un borgo pugliese. Tutto questo lo troviamo nel nuovo libro dell’artista e scrittore Fabrizio Bellomo, Guida socio-gastronomica d’Italia: un grande mosaico di storie per raccontare le epocali trasformazioni antropologiche, dovute alla messa a regime economico di un’altra abbondante parte delle nostre città.
Noi di ZERO abbiamo ospitato sulle nostre pagine alcuni di questi articoli: come questo sull’avocado, oppure sulla gloriosa storia della Trattoria I Valenza a Torino. Ma nel libro troverete di più, una raccolta di editoriali e piccoli racconti pubblicati (o rifiutati) da una serie di testate, fra il 2017 e il 2020. In questa intervista Fabrizio ci spiega la genesi del libro, cosa l’ha portato a scrivere, ci spiega meglio come la noia e l’indignazione, che vede come costante nella ditattura del greenwashing e dello storytelling, lo abbiamo spostato da nord verso sud in questo viaggio un po’ nostalgico e sempre lucido.
Facciamo finta di essere in una trattoria, di quelle vecchie, e mi dovessi spiegare il tuo libro. Cosa ci troviamo dentro?
Il menù della trattoria – se ti ci ho portato – sarebbe sicuramente più interessante del libro, quindi ti passerei il foglio del menù.
Guida socio-gastronomica d'Italia è formato da una serie di racconti, molti dei quali pubblicati su ZERO, scritti di "pancia". Dici che è giusta come definizione?
Si in parte è giusta. Poi quel genio di Salvini ha avuto la brillante idea di riuscire a rendere nuovamente questa espressione scivolosa da utilizzare, a causa degli appellativi che i ‘piddini progressisti’ hanno affibbiato alle sue performance: – «parla alla pancia del paese». L’analisi cerebrale, rimane comunque un momento fondamentale, che nel mio caso segue la pancia – nel senso che viene successivamente e potrebbe anche rimettere completamente in discussione tutto quello che la pancia ha inizialmente percepito.
La trattoria è uno dei tuoi cavalli di battaglia. Da "L'Albero fiorito" a "I Valenza": ultimi baluardi di autenticità. Cosa è successo alle trattorie oggi?
L’Albero Fiorito ha chiuso. La conduzione familiare è quasi sparita dai luoghi italiani e quando persiste, le nuove leve, sono comunque inclini all’internazionalizzazione. La conduzione familiare invece si riscontra più facilmente in alcuni ristoranti turchi di Berlino o in alcune trattorie cinesi di Milano o nelle raviolerie di Parigi, per esempio.
Quali sono, secondo te, gli ingredienti di una vera trattoria? E perché si sono persi?
La conduzione familiare, credo partisse tutto da lì. Dalla socialità al trattamento economico, credo che quello influisse in modo totalizzante sul risultato finale. I cambiamenti antropologici a cui la famiglia è andata incontro nelle ultime 5/6/7 decadi hanno influito sicuramente.
Nel libro tendenzialmente dici che l'autenticità è minata da alcuni fattori: retorica dell'estetica, marketing selvaggio, omologazione mediatica. Ce lo spieghi meglio cosa è successo?
Credo di non spiegarlo nemmeno nel libro, ma di trasmettere la mia percezione. Credo si tratti di una costante e perenne perdita di umanità, che va di pari passo con le conquiste culturali (tecnologiche, farmaceutiche ecc). Un contrappasso inevitabile forse, ma che comunque mal digerisco.
Città vs Provincia: chi fagocita chi? È più facile trovare un ristorante resistente in una metropoli o in provincia?
Paradossalmente la provincia, soprattutto la città di provincia, ne esce peggio. Se dovessi portarti a cena a Milano avrei ancora dei luoghi dove andare (con 15 euro di budget). A Bari sarebbe impossibile andare in trattoria a queste cifre, il turismo in Puglia ha spazzato via quasi tutto. Qualcheduna più periferica ancora persiste, ma sono davvero rare. A Bari non ne esistono più. Mentre città come Milano o Torino invece continuano a conservarle, vuoi perché hanno una storia diversa legata alla classe operaia che in quelle trattorie si è sfamata e in cui ancora oggi si ritrovano alcuni pensionati, vuoi per le centinaia di migliaia di studenti che abitano la città.
Quali sono per te le nuove Trattorie?
In molti storceranno il naso, ma in via Ponte Seveso a Milano per esempio c’è un ex bar italiano, rilevato da una famigliola di cinesi e lasciato lì pari pari, che fa dei buoni primi – fra cui dei maccheroni al ragù – a 3,50 a piatto. Prezzo simile a cui gli anziani gestori del Pippo Bar di Roma a Prati, offrono delle abbondanti porzioni di carbonara, gricia, cacio e pepe o matriciana. Per fare un possibile e veloce parallelismo.
Montanelli, Pasolini e il "branzino fascista": come entra tutto ciò nella tua guida?
Perché il cibo diviene, dalla mia prospettiva, un luogo da cui osservare il mondo, o quanto meno l’Italia, l’Europa e i cambiamenti di questi anni. Che in realtà hanno prodromi lontani, quello che viviamo oggi è iniziato altrove. In tutti quelli che criticano la modernità e l’evoluzione contemporanea di questa, ricordo quelle poche parole scandite da Pasolini sulle dune di Sabaudia. Sono rimaste su di noi come solchi indelebili.
Cacio e pepe, carbonara, avocado, blablabla mediatico e la volontà di far rientrare tutto in una narrazione. Perché?
Sia nell’estremizzazione della narrazione del locale (i milioni di video per fare la carbonara e la cacio e pepe perfetta hanno davvero portato a noia), sia nello storytelling instagrammabile dell’esotico fusion o internazionale che sia, sento – di nuovo – tanta noia.
Domanda marzulliana. Il futuro della gastronomia in Italia?
Mi interessa poco, mi interessava l’umanità dalla quale è scaturita un certo tipo di gastronomia.
Ma alla fine: dove ci porteresti a cena a Milano? A Roma?
Non vi porterei a cena perché in trattoria preferisco andarci a pranzo.