In occasione di La terra trema, l’appuntamento dedicato a vini e vignaioli autentici e indipendenti, agricolture periurbane, cibo e poesia dalla terra che ci ha fatto conoscere e innamorare di tantissime bottiglie e storie, abbiamo fatto una chiacchierata con alcuni tra gli espositori, scelti con gli organizzatori dell’evento novembrino al Leoncavallo perché tra i più rappresentativi della manifestazione: dopo Emanuele Crudeli di Terre Apuane e Renato Buganza e Alfonso Soranzo, Paola Leonardi e Walter Loesch, è la volta di Marilena Barbera (Menfi, 1970)
ZERO – Hai un ricordo d’infanzia legato al vino?
Marilena Barbera – In una foto di quando sono molto piccola mio padre mi tiene in braccio mentre intinge il ciucciotto in un bicchiere di vino: ovviamente non me lo ricordo, ma sono sicura che il vino abbia fatto parte della mia vita fin da tempi non sospetti…
Ti sei sempre occupata di vini?
Quando ero all’università il mio sogno nel cassetto era di lavorare per un’organizzazione internazionale o di intraprendere la carriera diplomatica, poi la vita mi ha riportato in Sicilia dopo 15 anni da girellona. In realtà, credo che alla fine io abbia fatto proprio quello che desideravo, perché il vino è uno dei migliori ambasciatori dell’Italia nel mondo.
Quando ti sei appassionata al vino?
È stato un percorso lento: quando ho iniziato a lavorare in azienda mi occupavo prevalentemente di vendite e marketing, soprattutto all’estero. Con la morte di mio padre ho iniziato a mettere le mani nel vino: la prima volta che ho spremuto l’uva per un esperimento di fermentazione spontanea ho capito che da lì non sarei mai più tornata indietro. L’emozione che dà sentirsi parte di questo processo di trasformazione, a metà fra scienza e magia, è straordinaria e difficilmente spiegabile.
Puoi presentare la tua azienda? L’hai ereditata dai tuoi genitori?
Sì: mio nonno ha piantato le vigne negli anni 20 in quella che ancora oggi è l’azienda agricola a Belicello, a pochi passi dal mare di Menfi. Mio padre, dopo aver continuato per anni la coltivazione dei vigneti, conferendo le uve a una cooperativa del territorio, ha infine deciso di iniziare a produrre vino. Io sono arrivata in azienda l’anno che sono state prodotte le prime 500 bottiglie, e non me ne sono più andata.
Hai apportato delle modifiche sostanziali nel modo di fare il vino?
Penso proprio di sì. Abbiamo iniziato alla metà degli anni 90 a Menfi in un contesto in cui praticamente non esistevano produttori naturali e i punti di riferimento per i vini di qualità erano solo i grandi marchi molto conosciuti: la Sicilia è ancora oggi una terra in cui la maggior parte dei vini è prodotta da grandi aziende industriali, e nemmeno noi, all’inizio, facevamo eccezione, seppure con una dimensione molto ridotta. Dopo alcuni anni, semplicemente, i vini che facevamo non mi piacevano più, mentre mi piacevano molto i vini fatti da altri produttori, molto diversi da noi, e ho deciso di iniziare un percorso diverso. Quando nel 2006 ho avuto la piena responsabilità dell’azienda, davanti a me c’era un bivio e ho intrapreso la strada che sentivo più vicina al mio modo di essere: abbiamo iniziato la conversione dei vigneti al biologico, abbiamo abbandonato la vinificazione convenzionale, i lieviti selezionati, le chiarifiche, le filtrazioni. È stato un percorso lento ma irreversibile: oggi i miei vini mi piacciono, mi rappresentano, e la cosa più importante è che rappresentano il mare, il sole, la terra da cui provengono.
Che uve coltivate, che vini producete, in che quantità, quanto costano?
L’azienda è estesa quasi 15 ettari, piantata con molte diverse varietà. Alcune risalgono ai primi anni 90, al periodo in cui eravamo solo conferitori: quindi Chardonnay, Merlot, Cabernet, Sauvignon, che a quei tempi erano le varietà più richieste dalla cooperativa e (ovviamente) le più remunerative. Quando ho avuto la possibilità di intervenire nelle scelte d’impianto, le mie scelte sono andate decisamente verso gli autoctoni, che meglio di altri si adattano al clima ed alle particolari condizioni ambientali di Menfi: Inzolia, Nero d’Avola, Grillo, Catarratto, ma soprattutto Perricone e Zibibbo, che sono uve meravigliose. Oggi, dopo aver ridotto le quantità che facevamo alla metà degli anni 2000, produciamo circa 70.000 bottiglie: i prezzi variano dai 7 euro dei vini più semplici e beverini ai 15 dei vini che hanno subito un affinamento più lungo o una lavorazione a più alto contenuto di manodopera, che è la più costosa: per noi il prezzo rappresenta essenzialmente il costo di lavorazione in vigna e in cantina, non una presunta qualità basata su scelte di marketing.
Quante persone lavorano da voi? Accogliete richieste di giovani che vorrebbero lavorare in un’azienda vinicola? Ne ricevete molte?
In azienda a oggi siamo in 5, tranne nei periodi di vendemmia o di potatura, quando assumiamo a tempo determinato. Le richieste arrivano in continuazione, ma la redditività in agricoltura non ci lascia molto margine per un aumento dell’organico, almeno per ora.
Come descriveresti La terra trema?
Adoro La terra trema, è una festa dove si incontrano persone straordinarie e si bevono grandi vini. È esattamente come devono essere le manifestazioni legate al vino: informale, piena di contenuti e con lo spazio e il tempo necessari per permettere un incontro vero fra i produttori e chi il vino lo ama e lo rispetta.
Naturale, biologico, biodinamico, artigianale… Le definizioni sui vini si sprecano, e il consumatore è sempre più confuso. Voi come definireste il vostro vino?
Vino. E non perché c’è scritto sull’etichetta, ma perché (come da definizione ufficiale) «il vino è esclusivamente la bevanda risultante dalla fermentazione alcolica totale o parziale dell’uva fresca, pigiata o meno, o del mosto d’uva» e basta. Tutti i protocolli che prevedono manipolazioni intensive non portano al vino, ma a bevande che a volte gli somigliano, altre volte molto meno.
Il tuo vino contiene solfiti aggiunti? Se sì, perché?
Non tutti i vini ne contengono, ad esempio Ammàno (zibibbo) viene prodotto senza solfiti aggiunti. Utilizziamo i solfiti in due fasi: al momento della pigiatura solo se necessario a seconda dell’annata e delle caratteristiche dell’uva, e nel momento in cui, terminate tutte le fermentazioni, il vino è pronto o per l’imbottigliamento o per l’affinamento. Fino a quel momento, il vino è protetto dall’attività di lieviti e batteri, l’ossidazione (se si lavora bene) è quasi impossibile. Nel momento in cui viene chiuso dentro la bottiglia il vino è solo, e spoglio: una piccola quantità di sedimento che non viene più nutrito dall’ossigeno non è in grado di proteggerlo dal tempo, dalla conservazione approssimativa, dagli sbalzi di temperatura a cui la bottiglia viene sottoposta nelle varie fasi della distribuzione, dagli sballottamenti del trasporto. I solfiti, anche se in piccole dosi, lo aiutano a resistere a questi stress molto dannosi per la sua integrità.
Ma un vino artigianale è migliore a prescindere da uno industriale? O è solo più sano? E poi, sei sicura che zolfo e rame sono più sani per l’organismo?
Non ne faccio un problema di “sanità”: ogni giorno mangiamo tante di quelle stronzate che bere un bicchiere di vino industriale non fa certamente peggio di una scatola di bastoncini di pesce surgelato, che probabilmente contengono molti più solfiti, conservanti ed additivi di quella bottiglia. Per me è un problema soggettivo di gusto, e oggettivo di consapevolezza. Sostenere il lavoro dei piccoli agricoltori attraverso i propri acquisti (anche di vino) è una scelta politica ed etica: c’è chi la vuole fare, e di questo lo ringrazio ogni giorno, c’è chi non è interessato. Per quanto riguarda zolfo e rame, dipende da come vengono usati. A Menfi c’è il sale marino che protegge le nostre uve da muffe e altre infezioni, capitano anni che le vigne proprio non lo vedono il rame e dello zolfo ne sentono l’odore un paio di volte in primavera.
La maggior parte dei vini sul mercato sono prodotti con diserbanti, concimi di sintesi, pesticidi, ingredienti di originale animale… Sei favorevole a una normativa che costringa i vignaioli a scrivere tutto quello che c’è nelle bottiglie e come viene ottenuto il vino?
Sono favorevole, ma è una legislazione che non verrà mai promulgata. I produttori naturali oggi sono numericamente appena l’1% del mercato, e anche se fossero il 50% inciderebbero pochissimo su scelte che dipendono da accordi economici stipulati fuori dall’Italia o dall’Europa, con corporazioni e industrie chimiche e farmaceutiche molto più potenti di quanto immaginiamo.
3 bottiglie che porteresti sulla Luna.
Cigare Blanc Réserve en bonbonne di Randall Graham, un Vin jaune vecchio e un Vecchio Samperi degli anni 80.
Cosa bevi a parte il vino?
Tutto, ma preferisco le birre acide e i distillati, anche quelli molto vecchi.
Cosa significa per te bere responsabilmente? Bevi tutti i giorni?
Degusto tutti i giorni, bevo con gli amici.
E se ti è capitato di non bere responsabilmente, qual è il rimedio per una sbronza?
Dormire tanto e bere meglio il giorno dopo.
LEGGI LE ALTRE INTERVISTE PER LA TERRA TREMA 2015:
Gli organizatori
Emanuele Crudeli
Renato Buganza
Alfonso Soranzo
Paola Leonardi e Walter Loesch