Si aggira per le vie del quartiere, su tacchi a spillo, abiti di pailletes, i lunghi capelli rossi che scendono sulla schiena. La Trape è una ragazza di Porta Venezia, ma in primis è Aurelio, un ragazzo che ha le idee ben chiare su molte cose, anche se dice di essere confuso dalla vita. La Trape è una Drag Queen del Toilet Club, prima circolo Arci poi serata eccentrica ed anticonformista, è una performer, un’artista, funambola in bilico tra contraddizioni, passioni e speranze.
In questa intervista ci porta a spasso nel quartiere, ci fa vedere con i suoi occhi i luoghi meno battuti di Porta Venezia, tra mense sgangherate ani 70 e bancarelle dell’usato. Ci porta per mano nel suo mondo e ci spiega cosa rappresenta Porta Venezia per la comunità LGBTQIA+ e in generale per tutti. Facciamo scendere il sole insieme a La Trape e andiamo alla scoperta dei locali eritrei dove far l’aperitivo, perdendoci tra margarita e long island. Quello che ne deriva è questo ritratto: appassionato, vero e molto local.
Chi è La Trape? Raccontaci come è nata.
La Trape è una rossa come tante, qualche problema di equilibrio, qualche problema di dizione, qualche altro problema, ma piena di amore verso persone, animali cose e città. È nata in una notte d’autunno in un locale malfamato della periferia sud-ovest di Milano: il Toilet Club, quello che oggi è un giga locale super bello in centro.
Chi sono le tue muse? A chi ti ispiri?
Mi ispiro a tutto quello che vedo. Il problema è sempre lo stesso: nella società dell’immagine siamo ininterrottamente bombardati e iperstimolati a livello visivo. Per questo col tempo sono diventato una via di mezzo tra Katy Perry, Maria Bamford e Margherita Buy. Un altro tossico frutto del postmoderno.
Cosa vuol dire trasgredire per te, e soprattutto, oggi, cos è la trasgressione?
Le trasgressioni, per me, sono quelle cose che ancora non sono state normalizzate a livello sociale, è questione di tempo, spero. Boh, io non vivo il fascino del trasgredire per il gusto di farlo. Eppure troppo spesso mi chiedo perché qualcosa che mi fa stare bene, che non fa male a me o ad altri, debba essere considerato una trasgressione rispetto a una presunta regola morale (o in alcuni casi giuridica). E non parlo solo del DRAG purtroppo.
E invece essere Drag Queen? Cosa vuol dire?
Mettere una maschera e rivelare se stessi. Il drag è strettamente legato ai club perchè questi sono storicamente un luogo dove poter essere se stessi più facilmente. Una forma di libertà. Per me ha confini molto larghi e labili. MYSS KETA è drag, in questo senso. In secondo luogo significa questionare il genere. Cos’è questo genere? Cos’è questo binarismo? Cioè ve lo chiedo davvero perché non mi è chiaro.
Vediamo che per essere una drag queen bisogna brillare di luce propria, e avere, in senso buono, un ego gigantesco. Qual è il tuo rapporto con le tue colleghe? É un mondo di rivalità o di inclusività quello delle drag?
Quando dicevo di rivelare se stessi mi riferivo a questo. Molto spesso persone timide e introverse rivelano un’essenza e una sicurezza diversi quando si mettono in drag, è mega terapeutico. Giga terapeutico.
Poi avere un grande ego o autostima non significa per forza fare la stronza, anzi!
Purtroppo è un mondo competitivo perché la scena è sempre più grande e popolata ma le opportunità lavorative restano ancora scarse. Per fortuna quasi tutte sanno che il successo di una non ha ripercussioni negative sul tuo, anzi. Questo il motivo per cui ho un ottimo rapporto con praticamente tutte le drag che conosco, e molte sono persone mega speciali splendide.
Parliamo di Porta Venezia: è secondo te il quartiere LBTQIA+ per eccellenza? O manca qualcosa?
A Porta Venezia manca essere la sede del Parlamento Europeo, quella è una cosa su cui dobbiamo lavorare. Però abbiamo delle ragazze di Porta Venezia in costante contatto con la Von der Leyen e posso dire che ci siamo quasi. Di lavoro da fare ce n’è sempre tanto, nelle città e non solo. Dobbiamo continuamente pretendere diritti che ci spettano, a tutte, in quanto esseri umani, e anche controllare che non ci levino quel poco che acquisiamo. Detto ciò, un luogo così pieno di vita, di diversità di voglia di stare insieme è un caso raro, che va tutelato, difeso e amato, nonostante le imperfezioni.
La Trape a Porta Venezia dove va? Quali luoghi che ti piace frequentare di giorno?
Di giorno vado al mercato di Benedetto Marcello, dove trovi di tutto, compresi dei maglioncini in poliestere di colori improponibili che amo follemente.
Vado al Vivà, dove regnano la cucina e l’arredamento anni 70 e i prezzi bassi. A mangiare i pasticciotti del pugliese di via Castaldi, alla libreria di via Tadino o da Antigone, la libreria LGBTQIA+.
E invece di notte? Come si trasforma la tua Porta Venezia?
Di notte diventa il luogo degli incontri, delle chiacchiere, dei drink. Girovago tra via Tadino (POP e Rainbow), via Lecco, via Melzo (il LOVE resta un’istituzione), o a fumare il narghilè in uno dei tanti posti che lo hanno.
Sappiamo che ti diletti a fare buonissimi cocktail, oltre che a berli. Se la Trape fosse un cocktail, quale sarebbe?
Se io fossi un cocktail sarei un Margarita bevuto a gennaio. Un mix di speranza e nostalgia. Presa bene e spleen.
E se Porta Venezia fosse un cocktail?
Porta Venezia sarebbe un Long Island fatto bene. Un mix di mille cose che sorprende anche i più scettici e alla fine piace a tutte!
Cosa scriveranno sull'epitaffio della Trape tra 100 anni?
È morta come ha vissuto: confusa dalla vita.