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Mirco e la sua Vâgh íñ ufézzí, l’osteria più amata del “quartierino”

quartiere Santo Stefano

Written by Salvatore Papa il 10 April 2021
Aggiornato il 14 April 2021

Place of birth

Bologna

Place of residence

Bologna

Attività

Chef

Nel cosiddetto “quartierino”, quella triade di strade formata da Rialto, Coltelli e Orfeo, presenza fissa dal 2005 sono Mirco Carati e Antonella De Sanctis con il loro Vâgh íñ ufézzí. Da sempre luogo simbolo della zona, durante la pandemia sono diventati un caso nazionale per via della loro matta idea di trasformarsi nella prima osteria a tempo d’Italia. Per farlo hanno guardato indietro, alla Bologna gastronomica dei primi del ‘900 e in particolare all’osteria Ghiton di via del Pratello in cui si mangiavano fagioli a ore con i cucchiai incatenati al tavolo per paura che li rubassero. Oggi un’ora di osteria costa 18 euro, due ore 26. E da poco c’è anche la colazione a tempo.

Nonostante i servizi dei tg nazionali, Vâgh íñ ufézzí rimane però l’osteria di quartiere di sempre. Il perché ce lo siamo fatto raccontare da Mirco.

 

Da quant'è che fai il cuoco?

Da quando avevo 13 anni, è l’unica cosa che so fare.

In via de' Coltelli quando ci sei arrivato?

Per molto tempo questo posto si è chiamato Sale e Pepe, dall’84 al 2000. Io ci ho lavorato da ragazzo fino a quando il proprietario, che era anche un mio caro amico, è morto. Dal 2000 al 2005 ha cambiato varie volte nome e gestione, poi sono arrivato io. Ci tenevo molto a restare qui.

E con Antonella da quanto vi conoscete?

Mia moglie è laureata in statistica economica. Ci siamo conosciuti negli anni 90, in un periodo in cui non c’era più l’entusiasmo e il benessere degli anni 80. Lei non riusciva a trovare un lavoro che la soddisfaceva, quindi abbiamo deciso di aprire insieme Vagh in Ufezz e dal 2005 siamo sempre insieme qui.

Com'era in principio?

All’inizio ho aperto come ristorante, poi nel 2013 ho capito che non funzionava più e ho pensato di trasformalo in osteria. Volevo puntare sui giovani perché sono quelli che escono più spesso. Ma sapendo anche che non hanno molti soldi da spendere ho calibrato la proposta cercando di far mangiare al giusto prezzo. Quasi tutta la clientela di prima l’ho persa, oggi l’80% sono praticamente ragazzi (non solo studenti) e moltissimi vivono qui nei dintorni.

Perché Vâgh íñ ufézzí?

È un vecchio modo di dire che era in uso a Bologna. Quando la moglie rompeva le scatole perché il marito voleva andare in osteria, le si rispondeva “Vâgh íñ ufézzí” ossia “vado in ufficio”.

Il tuo menu come nasce?

Ogni mattina vado a fare la spesa al Quadrilatero e in base a quello che trovo nasce il menu, un po’ come fanno le mamme a casa.

Poi è arrivata la pandemia...

Sì, un brutto colpo. All’inizio abbiamo provato con l’asporto. È andato anche abbastanza bene nella prima fase, ma poi tutto è scemato e non è stato più sostenibile.

Quindi vi siete inventati l'osteria a tempo...

Sì, ho dovuto fare di necessità virtù. Prima lavoravo a turni, uno alle 20 e uno alle 22 e mettevo a tavola 30 persone a turno. Con il Covid mi sono trovato a metterne 10 e non potevo andare avanti così. Quindi abbiamo trovato questa soluzione e finché il fisico mi aiuta proverò a portarla avanti. Insomma, è un po’ più faticoso, perché ora devo far girare i tavoli più velocemente, ma ci ha aiutato molto.
Perciò abbiamo deciso di fare anche la colazione a tempo per sfruttare – quando possibile – l’unico spazio di apertura disponibile.

Come funziona?

È una colazione intercontinentale. Potremmo chiamarla brunch ma è un termine che odio. Diciamo una colazione molto sostanziosa. Mezz’ora 10 euro. La domenica invece vorremmo farla diventare un lunghissimo pranzo, provando a stare aperti dalle 9 alle 16.

Come ti trovi in questo quartiere?

Benissimo. Oltre a lavorarci viviamo qui dal 2013. Questo è un quartiere prima di tutto molto tranquillo. Ci sono gli studenti, ma non sono tantissimi. E gli abitanti sono quasi sempre gli stessi cosa rende la zona una sorta di piccolo paese. Parlo in particolare di quella che chiamano ROC (Rialto, Orfeo, Coltelli).

Qual è secondo te il simbolo del tuo "paese"?

L’incrocio Orfeo/Coltelli. Perché il movimento è soprattutto lì. Ma anche Miki e Max, nonostante sia cambiato molto. Una volta era una babele di umanità, ci trovavi dall’avvocato al magistrato al punkabestia e, nonostante tutti i problemi che portava quella varietà, era comunque un bel mondo.

Cosa non dovremmo mai chiedere a Mirco?

Ti racconto una cosa antipatica che mi è successa ultimamente: una ragazza mi ha chiesto l’olio d’oliva sui tortellini in brodo. Ecco, non fatelo mai.