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Roberto Artusio e Cristian Bugiada

I fondatori de La Punta ci portano in viaggio tra l'agave del Messico

Written by Martina Di Iorio il 20 April 2021
Aggiornato il 22 April 2021

Nel centro di Roma ma con il cuore (e la testa) in Messico. Roberto e Cristian sono i due visionari della miscelazione che stanno dietro al grande successo de La Punta, il bar nato esclusivamente per portare la cultura dei distillati d’agave in Italia. Precisamente a Roma, nel quartiere di Trastevere, dove da cinque anni portano avanti questa missione al sapore di tequila e mezcal. Non solo nei loro drink, ma anche in cucina. In questa intervista ci siamo fatti raccontare di più sul loro lavoro, la passione per questi distillati e sul futuro del bar in Italia.
 

Alberto Blasetti Ph. / www.albertoblasetti.com

La Punta parla romano ma viaggia con la mente in Messico. Ce ne parlate di più? Come è nata questa idea? E chi c’è dietro?

La Punta parla siciliano (grazie a Cristian Bugiada) e torinese (luogo di provenienza di Roberto Artusio). Ci siamo conosciuti qui a Roma nell’ambito lavorativo e abbiamo scoperto di avere una passione in comune, i distillati provenienti dalla pianta dell’agave. Dovete capire che l’agave è magica veramente e ha creato questa profonda amicizia che ci ha portato in Messico.

Perché il Messico? Cosa rappresenta per voi? Fateci sognare e fate finta di portarci lì.

Un luogo incredibile di cui noi ci siamo innamorati. Il sogno di due italiani persi in Messico, normalmente due come noi potevano aprire un bel chiosco su qualche spiaggia e non tornare più. E invece ci piacciono le cose complicate, quindi abbiamo fatto al contrario. Abbiamo voluto portare il Messico (a modo nostro) in Italia, raccontare le nostre esperienze ai nostri ospiti e farli volare oltre oceano con la mente durante una cena o una degustazione. Sicuramente non ci fermeremo qua, continueremo a volare oltre oceano per proseguire la nostra ricerca che va ben oltre al distillato.

Per noi il Messico è diventata una seconda casa, abbiamo tanti amici e tanti ricordi. Tanti parlano di mal d’Africa, io e Cristian abbiamo il mal di Messico invece. Non vediamo l’ora di essere là per poter cavalcare tra le montagne di Durango, Chihuahua, passeggiare negli azzurri campi di agave azul di Jalisco, degustare mezcal contemplando le incredibili opere d’arte degli artisti di Oaxaca.

Sempre immaginando: siamo in un campo di agave. Cosa dobbiamo sapere di questo prodotto? E come si trasforma in tequila e mezcal?

La prima cosa da sapere che il tequila è un mezcal, li differenzia principalmente la denominazione di origine e delle piccole regole che sono state date dai vari consorzi che rilasciano le certificazioni. Per noi personalmente le differenze sono tanti piccoli dettagli che scopriamo nei nostri viaggi, vivendo esperienze dirette con i produttori (differente territorio, dettagli tecnici e no durante la produzione: ci sono produttori che sono convinti che il loro prodotto sia il migliore perché fermentano a suon di musica classica) Queste esperienze ci aiutano a raccontare il prodotto e far scoprire questo mondo ai nostri ospiti.

Ovviamente conoscete Altos Tequila: ce lo spiegate meglio?

“Il tequila fatto dai bartender per i bartender”, questa è la chiave del prodotto. Una ricetta studiata da chi poi la deve vendere, e chi meglio del bartender conosce i gusti dei clienti.

Il cliente medio come si pone di fronte a questi prodotti? C’è stata un’evoluzione dei gusti degli italiani nei confronti di questi importanti distillati?

Il cliente medio è molto incuriosito, sta riscoprendo un distillato con cui non ha avuto un buon rapporto nel passato, tutti sono sempre molto spaventati dal ricordo di una sbronza seguita da un gran mal di testa. I prodotti di agave di oggi sono cresciuti molto dal punto qualitativo, i clienti iniziano a riscoprire l’artigianalità dei prodotti e tutti i bouquet di sapori che si possono trovare in una bevuta liscia e miscelata nei cocktail.

Cosa raccontano i vostri cocktail e la cucina che proponete? Quanto dei viaggi che avete fatto in Messico si ritrova nel vostro menu?

Personalmente tutti i miei drink sono collegati ha una esperienza personale, specialmente ai viaggi. In particolare a La Punta si può respirare aria di Messico sia nei drink che in cucina, molti nostri collaboratori li abbiamo portati in viaggio con noi per renderli coscienti del disegno che ci siamo costruiti nella testa io e Cristian.Una delle soddisfazioni più grandi quando i clienti messicani ci fanno i complimenti dicendo “mi sembra di stare in Messico”, perché nel locale si vive una esperienza a 360°, e si vive un’idea di Messico molto attuale.

A casa (nella speranza di venire presto da voi) come ci consigliate di usare tequila e mezcal? Quali drink?

Io personalmente consiglio la bevuta liscia, ma se si amano i drink invece consiglierei un bel Paloma, un Margarita, un Tommy’s Margarita: sono facili da riprodurre a casa.

Sta per partire una challenge esclusivamente sui social da parte di Altos Tequila. I barman dovranno creare un twist sul Paloma e i vincitori si aggiudicheranno un budget media. Cosa ne pensate di queste attività in un momento come questo?

Credo che sia interessante e che sia un bel modo per far puntare i riflettori su un settore che ora sta attraversando una forte crisi, in più potrà essere stimolante per i barman che non riescono a far suonare i loro shaker a causa delle chiusure. Il 22 maggio La Punta promuove da due anni un’iniziativa online e nei bar, per quando si potrà nuovamente, che si chiama International Paloma Day, una giornata dedicata a rilanciare sempre più un drink che sta piano piano spopolando. Quest’anno celebreremo la terza edizione, anche ALTOS sosterrà l’iniziativa. Oramai sappiamo che le iniziative online (digitale) hanno un forte appeal sia per gli operatori del settore che per i consumatori, è giusto sfruttare questi canali di comunicazione digitale. Io personalmente sono considerato da Cristian un personaggio analogico e sinceramente non mi spiace.

Domanda marzulliana: Il futuro del bar?

Domanda difficile, come prima cosa spero che il futuro del bar sia solo e esclusivamente con i clienti in presenza, ovvero alla vecchia maniera. Il digitale deve essere usato solo per comunicare, l’esperienza vissuta personalmente fa comprendere il valore del bar che è fatto da moltissimi dettagli (atmosfera, servizio, drink, coerenza nel concetto)

Mi auguro che dopo questi lunghi mesi di chiusura abbiamo compreso che dedicare la giusta attenzione a ogni singolo ospite è importante più di tutto quello che appare nel mondo digital. Per questo spero che i bar tornino a essere luoghi di socialità, dove si vivono momenti importanti, dove ci si innamora, si fa amicizia e chissà si scrive anche un pezzo di storia.

A oggi possiamo avere la tecnologia più avanzata per sperimentare (che non disdegno se utilizzata con coscienza), possiamo inventarci i concetti più disparati, ma il futuro del bar è avere ospiti da dissetare. Senza loro è tutto inutile.