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Rocco Civitelli

In occasione del lancio ufficiale di Body Heat Disco, il primo album della Body Heat Gang Band, abbiamo intervistato l'artefice di questo progetto di musica, con label e party, nato in Paolo Sarpi

Written by Alessia Musillo il 21 March 2018
Aggiornato il 19 September 2020

Foto di Meschina

Place of birth

Genova

Place of residence

Milano

Attività

Direttore artistico

Ha un baffetto attraente. Gli occhi scuri. I capelli lunghi. Ha una bella testa e un modo di fare sbarazzino. Ha toccato Reset! nel 2009, ed è diventato un bel mostro che ha segnato parte della storia del clubbing milanese. Una volta archiviato il progetto Reset!, la musica è rimasta la sua prima ragione di vita e ancora una volta l’ha resa il diamante di un anello d’oro dal nome Body Heat. Una serata che riempie ogni due settimane il KTV, un localino della Sarpi bella che Rocco vive a trecentosessanta gradi tra un caffè alla Pasticceria Martesana e una pizza da Ciripizza. Un’etichetta che produce musica funk, electro, house. Un disco che verrà lanciato ufficialmente sabato 24 marzo al Teatro Principe. Dietro le quinte, insieme ai suoi numerosi collaboratori, Rocco sta preparando un vero e proprio show che incrocia il djing, la musica dal vivo e la danza, quella black – che ama.
Per scoprire il segreto di tutto questo successo, per fare due chiacchiere e per scoprire le sue abitudini, abbiamo incontrato Rocco Civitelli. Ecco che cosa ci ha raccontato…

Chi sei? Da dove vieni? Cosa fai? Perché sei qui?
Ciao! Sono Rocco Civitelli, aka Rocoe ma anche Rocks – specie per chi ha qualche anno in più. Vengo dal centro di Milano, anche se sono nato a Genova da mamma zeneize e papà calabrese. Sono qui per parlare del progetto Body Heat e raccontarvi qualcosa su di me.

Raccontaci la tua giornata tipo.
Mi sveglio fra le 8 e le 10. Lavoro come un mulo, coprendo il lavoro di otto figure professionali. Se riesco, mi cucino sia il pranzo che la cena. Per risparmiare – dato che sono genovese – ma anche per sapere vagamente cosa stia mangiando. Dopo aver finito di lavorare, mi distraggo. E mi distruggo. Consumando perlopiù canapa indiana e pornografia, fino a quando non sto in piedi.

Grazie alla notte ti conosciamo da diversi anni, prima col progetto Reset! e ora con Body Heat. Ci parli di queste due esperienze?
Reset! è stato un progetto molto figo nato nel 2009 – nel periodo della ‘electro e fidget house’, che noi, del collettivo, abbiamo declinato creando un genere di nome “turbofunk” e dando vita ad una sequela di feste via via sempre più grandi. Mentre la serata diventava importante, iniziarono le prime difficoltà di gestione – anche perché eravamo tanti cervelli con tante idee, difficili da sintetizzare. Dovrebbero dirlo gli altri – ma me lo domandi e mi permetto di dirlo io – Reset! ha fatto un pezzettino di storia del clubbing di Milano degli ultimi dieci anni, nel bene e nel male. Abbiamo aperto le porte dei club a tanti non-clubbers e cambiato, insieme ad altri attori della scena, la percezione del termine ‘discoteca’ – soprattutto per la Milano che le era contraria. Abbiamo cresciuto migliaia di ragazzi: qualche settimana fa ero in coda per entrare in un club, la doorwoman ha iniziato a sbracciarsi per farmi entrare. «Dici a me?» Le chiedo io «Sì, Rocco! Io sono cresciuta con Reset!» Mi dice lei. Mi sono emozionato. Al di là di ciò che abbiamo fatto musicalmente e sulla scena del clubbing, mi rendo conto che Reset! è stato per anni un vero hub, dove un sacco di gente di Milano si è incontrata e ha dato vita alle cose più disparate: progetti lavorativi, amicizie, amori.

Simo Mace, Zizzed, Rocco, Alex di Reset!
Simo Mace, Zizzed, Rocco, Alex di Reset!
Quindi dopo Reset! inizia Body Heat, chi c’è dietro questo progetto e come nasce? Che suono segue?
Il turbofunk era un ibrido di electro, house, con ispirazioni disco e funk. Alcuni artisti in giro per il mondo han deciso di seguirci e, dato che non avevamo una casa comune, Body Heat è nata come punto di ritrovo ideale per tutti noi che, una label interessata a questo suono, non la avevamo.
Volevamo unire tutti quelli che credessero nella musica da ballo con ispirazione di matrice ‘black’, nello specifico funk, soul e jazz. Non ci importava se fosse più boogie o più ‘incazzata’, solo l’elemento funk era imprescindibile. Meglio se suonato per davvero. In quel periodo si è rafforzata la consapevolezza che alla musica dance che ascoltavamo mancasse di anima, di un elemento umano. Era un periodo in cui la scena ‘live’ era veramente ai minimi di interesse, specie tra i più giovani – il culmine del periodo di successo del ‘dj-schiacciatasti’.
Body Heat quindi ambisce a essere un progetto che faccia da ponte tra il mondo del live e il mondo del club. Oggi la label offre una varietà di sottogeneri legati al funk ed alle sue evoluzioni, perlopiù house e disco e in genere produzioni da dancefloor in 4/4. A volte le releases seguono un’estetica un po’ più rétro, a volte più moderne, a volte è suonato davvero, a volte c’è un sample. Tutta la musica di Body Heat è spinta dall’anima e da quell’elemento umano a cui ho accennato poco fa.

Sabato 24 marzo, al Teatro Principe, ci sarà il live di tutta la banda di Body Heat. Dicci: cosa dobbiamo aspettarci da questo evento?
‘Body Heat Disco Show’ è lo spettacolo che abbiamo preparato per presentare il nostro primo album. È la performance che unisce tutte le figure della squadra: i musicisti, i cantanti e me in veste di dj. Allo spettacolo prendono parte anche ballerini, gli ingegneri del suono, con cui preparo parte del sound, e un regista che coordina musica e immagini preparate dal nostro art director. Sul palco musicisti che performano dal vivo – il suono però è completamente da club. Suoniamo i nostri pezzi originali, alcune cover riprodotte e riarrangiate e produzioni della nostra etichetta. L’evento è un vero e proprio spettacolo da ascoltare, da ballare e da guardare.

Body Heat ha avuto visibilità anche grazie alla location che avete scelto per far festa. Come hai trovato il KTV? Di che posto si tratta?
Eh… che ci vuoi fare!? A Milano conta: il contenitore più del contenuto, chi propone il contenuto e come lo propone. Ero da tempo in cerca di una location curiosa, per riuscire a coinvolgere il milanese-tipo dentro al progetto Body Heat – che era già in vita, ma senza molto successo. Dopo diversi tentativi, sono riuscito ad approcciare i gestori del KTV. Prima di iniziare le feste nel locale, ho stretto un sodalizio con Vincenzo Nicodemo e i suoi partner di Staffish: Michele e Ciccio – ovvero il team di base che produce le nostre feste da due anni. Collaborare con i gestori del locale non è stato semplice. Ho sfoggiato le mie doti da mediatore linguistico-culturale – materia che ho studiato prima di passare a sociologia, ambito nel quale mi sono laureato – e ho atteso con pazienza il via alle serate.

Il KTV di via Paolo Sarpi
Il KTV di via Paolo Sarpi
 
Il KTV è un posto assurdo, non molto grande, ma quando si è dentro ci si perde. Salette, ambienti diversi, doppia entrata e doppia uscita, il tutto immerso in un clima piuttosto divertente e disimpegnato, che ben si coniuga alla nostra musica. La location, che durante la settimana ha il suo look cinese – ai nostri occhi occidentali “un po’ alla cazzo”-, nel week-end noi la stravolgiamo completamente spostando la consolle, il bar e parte dell’allestimento. Potrei provare a spiegare dettagliatamente le vibe del KTV, ma credo sia meglio viverle!

Questa settimana esce anche il primo album dell’etichetta, ci dici di che lavoro si tratta?
L’album è semplicemente espressione dell’identità di Body Heat. Ripercorre, e soprattutto ripropone in chiave moderna, un percorso musicale di quarant’anni, che inizia con il funk, prosegue con la disco, il boogie e poi con acid jazz, house ed electro. Ha gli standard di produzione della moderna musica da club, ma asseconda un’estetica ‘old’, enfatizzando un certo approccio genuino alla musica e parlando – o almeno spero che lo faccia – sia alla pancia che al cervello. È da ballare e da ascoltare. I brani sono tutti originali, a parte una cover. I pezzi sono quasi tutte canzoni, a parte uno che è un brano strumentale. Dentro vi sono tracce che spaziano appunto dalla house discoeggiante, al boogie, dalla soulful house al Turbofunk. Sotto alla cassa, perlopiù dritta, suonano gli strumenti tipici della tradizione: clav, fiati, bassi moog e basso ‘vero’, il piano elettrico, gli archi. Le voci: Lee Wilson, Francesca Tosarello, David Blank, Chantal Brown, Tormento.

Body Heat è quindi una serata, un’etichetta e una band. Come si sono influenzati i tre elementi?
Le feste sono nate come mezzo per far conoscere la musica e il nostro sound, poi ci sono scoppiate per le mani e sono diventate un po’ il core business che ci permette di portare avanti gli altri lati del progetto: la band e la produzione di un disco in maniera completamente indipendente.
La Body Heat Gang Band nasce proprio come collettivo della label in cui tutti collaboriamo per fare musica e, per quanto possibile, suoniamo assieme. Quando nacque l’idea di fondare una band, eravamo tutti impegnati con le nostre releases individuali. Ma la spinta per dare vita al tutto è arrivata dal fatto che Dario – compositore della maggior parte dell’album appena uscito e musicista col quale ho lavorato moltissimo in questo ultimo paio di anni – avesse terminato la sua esperienza nelle Couch Potatoes, duo che usciva su Body Heat. Lui aveva molte idee creative che abbiamo preso in mano e iniziato a sviluppare.
Insieme abbiamo coinvolto musicisti, produttori, djs e altri attori della scena del clubbing. Nel 2015/16 si sono aggiunti Msystem, Marco Leo, Tormento, Den Lacava, Jeeba, Edo, Cats Hero, Peppe, Nicodemo. E poi, a seguire, Francesca Tosarello, J Paul Getto, Angelo Ferreri. In tempi recenti i nostri coristi Roberto e Laura, Vee_zo, Chantal Brown. Insomma, siamo tantissimi! Ti ho menzionato un po’ di nomi, i primi che mi vengono in mente, ma siamo davvero in molti a far parte del progetto.

Per qualche pezzo avete coinvolto Tormento dei Sottotono. Hai un trascorso hip hop?
La breakdance è l’unica disciplina dell’hip hop che non ho provato ad esercitare! Credo anche di aver provato a sparare qualche rima nel ‘96, ma già nel ’97 ho abbandonato il proposito per comprare i piatti – dei giradischi marcissimi con trazione a cinghia, prima di comprare i 1200. Mi sentivo parte della scena hip hop e ho suonato rap come selecta la domenica pomeriggio all’Indian Cafè, l’attuale The Club dove facevo scratch e beat juggling. Poi nel ’98 ho scoperto i graffiti, e negli anni dopo la canapa, la figa e tutte le altre cose belle della vita – compreso il non essere un b-boy e, piuttosto, sentirmi integrato al resto del mondo.

A cosa e a chi si ispira Body Heat?
Chiunque abbia il coraggio di fare roba spontanea e genuina, è per noi fonte di ispirazione. Nel concreto, i generi musicali alla base di quello che facciamo sono funk, soul, jazz, blues, disco, fusion, house, elettronica. Little Richard-James Brown, Aretha, Parliament/Funkadelic, Fatback Band, Average White Band, Herbie, George Duke, Stevie, Bar Kays, Commodores, Brass Construction, RAH Band, Jamiroquai, Fatboy Slim, Daft Punk, Alan Braxe, Basement Jaxx e una marea di tanti altri meno conosciuti. Moltissime labels, tra cui Acid Jazz, Talkin Loud, Defected, Strictly Rhythm, Roulè, Nurvous. A metà 2000, Boys Noize Records ed Ed Banger hanno impostato un modello sicuramente di esempio, prima che l’intero mondo di dance indipendente andasse a farsi friggere.

A capodanno avete fatto uno speciale show mischiandovi con il gospel. Dicci di più di questo progetto.
Abbiamo mischiato ulteriormente le carte, unendo due mondi culturalmente molto distanti. Il sacro del gospel e il profano del club. In verità, del mondo gospel, rimane solamente la forma – ovvero il canto corale, la performance collettiva dove un corposo coro supporta il cantante leader. Il repertorio è tratto dal bacino di musica black da ballo da cui ci ispiriamo anche per il resto delle nostre produzioni: funk, disco e house. In pratica proponiamo uno show di pezzi della tradizione black da ballo, cantati da un coro e prodotti con il nostro sound. Da una mia idea, Francesca Tosarello ha coordinato tutte le voci.

E invece com’è la tua notte di clubbing ideale?
Quella con la musica che mi piace: funkeggiante, non importa di che sottogenere né in quale locale, sala grande o clubbettino sottoterra o festivalone, va bene tutto.
L’importante è che ci sia gente tranquilla e con un’attitudine positiva nei confronti del divertimento e del buon umore.

Sei tra i tanti che tra giorno e notte hanno scelto la notte, cosa ti piace del buio?
Devo dire la verità? Sto riscoprendo il giorno e l’oro in bocca al mattino! WOW! Dopo una quindicina di anni ad andare a letto non prima delle 4, questa è una bella riscoperta. La notte è figa per una serie di ragioni. La prima è di ordine pratico: non ci sono le persone che sono in giro di giorno, bensì solo le pecore nere. Le altre sono cose molto romantiche e poetiche e che non mi sento di provare a spiegare con la mia prosa fredda…chi vive la notte, ben sa!

E invece i tuoi luoghi che ti piacciono di più di Milano?
Mi piace la zona dove vivo, la definisco di centro-nord-ovest. Sono cresciuto qui, amo questi luoghi: C.so Sempione, Sarpi, Isola, fino a Maciachini e pure Bovisa da un lato, Gallaratese è l’ altro confine. Questa è la mia Milano preferita, non mi muoverei per nulla al mondo. In zona 8 e zona 9 abita il mio cuore. Chi conosce poco Milano, la definisce “brutta”. Io ho imparato ad apprezzarla. Ci sono secoli di storia e arte, segreti bellissimi che scopro per caso e che mi piace pensare siano per pochi.

Quali sono i luoghi preferiti della zona dove vivi e lavori, Paolo Sarpi?
La zona è in costante movimento ed evoluzione. Aprono e chiudono mille attività al mese e, in generale, è un bellissimo put pourri culturale. A me piace frequentare la ravioleria (o meglio, frequento la costante coda), il chiosco di Mimì Gourmet e ovviamente il KTV. Poi vado spesso da aggiustatori di telefoni e computer; in centri commerciali anche. Mi piace bere il caffè alla Martesana, ogni tanto da Berni. Mangio la pizza di Giuliano, quella di Ciripizza, mangio poco cinese e mi faccio massaggiare la schiena ed i piedi in un posto in Via Aleardi di cui ignoro il nome. Chinatown è una figata perché c’è davvero tutto. Il microcosmo cinese, poi, è davvero un mistero – tutto da scoprire.

Rocco in after in Paolo Sarpi
Rocco in after in Paolo Sarpi
Quando non sei a Milano invece dove ti piace andare?
Tendenzialmente, mi piace andare in posti caldi con ritmi di vita tranquilli e, idealmente, dove sia legale fumare canapa – o comunque dove ci sia una politica liberale in tema di libertà personali.
Recentemente, fuori dall’Europa ho visitato la Colombia, l’Iran, la California, New Orleans e la Serbia. Mi son piaciute tutte queste località per ragioni diverse, e in generale mi piace conoscere persone nuove, rapportarmi agli usi locali eccetera. Mi piace passare le vacanze come se fossi a Milano: fare le cose che farei qui, ma con gente locale che mi illustra come si fa una certa attività in un posto a me sconosciuto, per esempio andare a fare la spesa a Milano è diverso da andare a fare la spesa a Tehran. E mi piace farlo con ritmi umani. Quindi no all’obbligo di musei, arte, gite, escursioni, sveglie presto ed eccessivi spostamenti. Sì a sveglia tardi, pigrizia, film in casa, cene in e fuori casa, passeggiate tranquille, lunghe chiacchierate con gente locale. Lascio che sia il caso a farmi scoprire il nuovo.
Una cosa curiosa è che l’ uomo si è sempre sballato in qualche maniera, dalla notte dei tempi, in qualsiasi angolo della terra. Ecco quindi una cosa che a me piace fare: capire come la gente si sballa, specie nei luoghi che identifichiamo come ‘pericolosi’ magari perché sotto a qualche regime autoritario. Occasionalmente, partecipo al rituale.

Rocco a New Orleans
Rocco a New Orleans
Cosa ascolti mentre viaggi?
Ripulisco le orecchie, e leggo.

Cosa canti sotto la doccia?
Disco music, come una vera diva!

Se non ti occupassi di musica, cosa faresti nella vita?
Ho numerosi interessi che spaziano dalla politica alla pornografia, ma non saprei proprio dirtI cosa farei d’altro…

Qual è la cosa più pazza che hai fatto di notte?
Un doppio whole car colorato in linea rossa, da solo. Per il resto, tutto abbastanza routine…

Chi è il tuo eroe?
I miei genitori e poi Karl Marx, James Brown, John Lennon, oltre a un’infinità di gente rimasta anonima che ha contribuito in maniera fondamentale all’evoluzione delle arti figurative, della musica ma anche del pensiero politico/economico e della tecnologia. Ne approfitto per ringraziarli tutti!