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Sperimentare nel flusso: Cosimo Damiano

Abbiamo intervistato il musicista e producer romano al termine di un 2023 pieno di attività, tra l'avventura con i Salò al Baronato, il decennale dell'etichetta Deltaplanet, il progetto Canzonieri e l'esordio al Romaeuropa Festival

Written by Nicola Gerundino il 15 November 2023

Place of birth

Roma

Place of residence

Roma

Attività

Dj, Musicista

Ogni anno andiamo alla ricerca nel vastissimo programma del Romaeuropa Festival di artisti appartenenti all’altrettanto esteso bacino creativo della città. Il 2023 ci ha portato a Cosimo Damiano, che si è esibito lo scorso ottobre sul palco del Mattatoio con il live “Quarto Vuoto” assieme a Marco Bonini e Pietro Pompei, proponendo brani del suo ultimo album “Hypnos” e nuovi viaggi sonori ancora inediti. Per Cosimo gli ultimi dodici mesi sono stati oltremodo prolifici, tra il decennale della sua etichetta Deltaplanet, attiva in ambito elettronico; le esibizioni con i Salò, che sono diventate un appuntamento settimanale al Baronato Quattro Bellezze, trasformandosi ogni volta in una jam mutante che accoglie musicisti e artisti sempre nuovi; il nuovo progetto Canzonieri con Emiliano Maggi (anche lui nel collettivo Salò). Ci siamo fatti raccontare tutto in questa intervista.

 

 

Questo 2023 per te è stato decisamente pieno e importante. Inizierei subito dall'ultimo live che ti ha visto protagonista al Romaeuropa. Ci puoi raccontare com'è andata?

Sul risultato lascerei esprimere chi era presente, posso invece parlare del percorso e di cosa abbia significato per me concepirlo e adattarlo. Il live è composto da alcuni brani presenti nel mio ultimo album “Hypnos” e da altri inediti che probabilmente usciranno con il prossimo. Metterlo in scena in un teatro, che forse è il luogo più adatto alla fruizione di un live come questo, è stato uno stimolo non da poco e mi ha permesso di capire e provare alcune novità. Ho trovato appagante scoprire nuovi canali di comunicazione e di intesa con Pietro e Marco, che hanno apportato un valore unico al lavoro. È stato un progetto minuzioso e articolato su vari livelli. Il nome “Quarto Vuoto” – o quarta parte, dopo cielo, terra e mare – è un modo di definire il deserto del Rub’al Khali, dove visse Alhazred, un personaggio che fa parte dell’universo lovecraftiano. All’interno del mio lavoro può avere questa o altre letture, come ad esempio la desertificazione terreste o dello spirito, e altre dimensioni ancora che spero di scoprire in futuro. Non amo lavorare con dei concept chiusi e circoscritti, soprattutto, non mi ritengo in grado di spiegare o raccontare in ogni dettaglio quello che faccio: secondo il mio modo di concepire i ruoli, credo proprio che questo non sia il mio!

Hai citato Marco Bonini (chitarra) e Pietro Pompei (percussioni), ti chiedo com'è andata l'interazione con questi due nuovi "protagonisti" sul palco.

Entrambi non sono totalmente nuovi, anzi. Con Pietro collaboriamo dal 2020, anno in cui abbiamo registrato “Hypnos” e da allora abbiamo già fatto qualche live insieme, il primo con questa formazione risale a circa un anno fa. Avere a che fare con persone di così profonda competenza, creatività e ricettività è molto importante. Riarrangiare le parti scritte da me e crearne nuove con loro è stato un lavoro molto stimolante: essendo musica sperimentale, è bello che ci sia anche sperimentazione nel flusso di lavoro, che le idee prendano forma con modalità diverse e inaspettate. Mi piace partire da una base, da quella che si potrebbe definire una “pseudostruttura”, lasciando poi sempre una componente empirica e di disordine: permetto sempre al caso di giocare un ruolo importante.

Marco e Pietro sono legati anche a un'altra esperienza che ti sta vedendo protagonista, Salò. Come la descriveresti?

Mi piace vedere Salò come una comunità anarchica, con tutte le contraddizioni e i limiti che ci possono essere in un collettivo composto da cinque persone in piena attività, che collabora incessantemente anche con altri musicisti. Credo sia per noi tutti un modo di vivere una comunione utopica che è sempre più difficile da esperire, essendo il mondo ormai immerso in una dimensione esclusivamente individualista. Ho sempre covato la necessità e la voglia di avere un rapporto più stretto con gli strumenti e più fisico con l’esibizione: avere una band, in poche parole. Per diverse ragioni questo non è mai accaduto fin quando non ho conosciuto i Salò. Quello con i Salò però non è stato il primo approccio a qualcosa di non elettronico, il mio primo strumento è stato il clarinetto, dopodiché ho imparato a suonare la chitarra da autodidatta. Salò è stata la prima occasione che ho avuto di suonare degli strumenti live su un palco, tutto il resto riguardante la performance poi viene abbastanza da sé. Diciamo che Salò per me finora ha rappresentato un canale attraverso il quale poter convogliare alcune esigenze espressive che ho sviluppato durante il mio percorso.

Sempre come Salò da poco avete fatto uscire un nuovo album omonimo per Kuboraum, ce lo puoi raccontare?

È un album ricco, pieno di musica e pregno di emozioni, una raccolta di circa tre anni di percorso. Sono entusiasta di come il risultato tenga fede al mio modo concepire un album, in cui non c’è un pezzo forte e uno debole, e nessuno è in funzione di un altro. Ogni brano è a sé, ha la sua storia e la sua unicità. Alcuni sono nati provando insieme, altri sono scritti da qualcuno di noi e prodotti insieme in studio, altri ancora sono stati registrati live. Anche in questo caso il flusso è mutevole.

I Salò, sempre quest'anno, sono passati dall'essere un'apparizione fugace all'essere una formazione resident, con una sua casa nel centro di Roma, il Baronato Quattro Bellezze, ora anche Teatro. Oltre a chiederti dell'esperienza del Baronato in generale, mi piacerebbe sapere dal tuo punto di vista cosa cambia per un artista ritrovarsi su un palcoscenico a cadenza regolare, esibendosi però con una formazione sempre diversa.

Il Baronato non lo definirei un palcoscenico, è più una finestra aperta al pubblico su uno dei nostri studi, dove proviamo, elaboriamo idee, lavoriamo su di noi e ci divertiamo a coinvolgere musicisti che poi portiamo con noi in studio a registrare o sui palchi quando possibile. Il Baronato può essere vissuto in vari modi: è anche la sua particolarità e la difficoltà che troviamo nel definirlo che lo rendono interessante e mutevole.

 

Con Emiliano Maggi, anche lui membro dei Salò, hai anche un altro progetto, I Canzonieri.

Con Emiliano abbiamo condiviso l’idea di sviluppare un suono che toccasse delle corde più intime. La prima volta che lo abbiamo messo in scena è stata in occasione di una mostra di Emiliano a Palazzo Abbatellis a Palermo, ci siamo esibiti davanti al “Trionfo della morte”, un affresco che raffigura una scena apocalittica di anno e autore sconosciuti. Da lì ogni live ci ha portati a capire, passo dopo passo, come sviluppare l’estetica musicale e visiva, fino alla realizzazione dell’album che sta maturando in questi ultimi mesi.

Quest'anno la tua etichetta Deltaplanet ha compiuto dieci anni. Ci puoi raccontare il suo percorso? Con che idea eri partito e dove sei arrivato? 

Deltaplanet nasce da TKP, un collettivo attivo nell’organizzazione di party illegali più o meno dal 2008. Eravamo un gruppo molto coeso di dj e producer che si erano incontrati per lo più sui banchi del liceo. Eravamo molto poco soddisfatti del suono che andava di moda maggiormente in quel periodo nei rave a Roma: un trash piatto e divertentista, povero di musicalità e privo di introspezione. Da lì è stato naturale sviluppare e proporre un sound che fosse più nostro e che abbiamo iniziato a diffondere attraverso Deltaplanet, etichetta grazie alla quale abbiamo attivato connessioni in Italia, ma anche – e soprattutto – in Olanda, Belgio e Francia. Più che un etichetta discografica, Deltaplanet è ancora oggi una piattaforma dedicata al nostro “circolo”, dove, se pur con tempistiche molto dilatate, possiamo sperimentare ed evolvere il nostro suono.

Come hai festeggiato questo decennale e cosa ti immagini per il futuro dell'etichetta?

Con un party al Forte Antenne e con la realizzazione di una nuova uscita che al momento è in fase di finalizzazione. Il futuro è in generale molto incerto, quindi non faccio piani o previsioni a lungo termine. Mi piace immaginare che Deltaplanet resterà sempre un punto di ritrovo.

Andando nel generale, come vedi la scena artistica di Roma oggi? Sia da un punto di vista musicale che da un punto di vista più artistico/performativo, vicino al mondo del contemporaneo. Due mondi che sicuramente a Roma, in questo momento, stanno dialogando molto.

Credo che stiano dialogando molto in tutto il mondo, c’è un’esigenza sempre più forte di essere stimolati da più punti, contemporaneamente. Trovo interessante osservare questa tensione che spinge tutti a confrontarsi con discipline diverse: aumenta la quantità di situazioni imbarazzanti, ma aumenta anche la possibilità di vedere qualcosa di veramente bello, che arriva dentro.

Ultima domanda sul tuo futuro: a cosa lavorerai nei prossimi mesi? Ci sono progetti nuovi in cantiere o ti dedicherai ai tanti già in essere?

Entrambe le cose. Al momento sto lavorando al mio prossimo album, a quello dei Canzonieri e a una colonna sonora di un bellissimo docufilm. Ho poi altri progetti a cui mi dedicherò con più attenzione nei prossimi mesi, come la collaborazione con Acchiappashpirt e Inner Lakes e altre in fase embrionale.