Se siete buoni lettori e, bontà vostra, non siete millenials, avrete certamente in casa un’opera di Ferenc Pintér. Perché è impossibile essere buoni lettori e non aver letto Agatha Christie, Simenon, Woolrich, Lawrence, Pavese. Lo avrete fatto certamente in quelle edizioni Mondadori, morbide, già consunte e ingiallite, attratti da un’immagine in copertina che già diceva tutto quello che c’era da dire sul romanzo, molto più di una recensione su Anobii. Ecco, quelle immagini, tutte quelle immagini, erano disegnate da Ferenc Pintér. Non potete sbagliarvi e confonderle con le copertine qualunque, perché quelle immagini erano opere d’arte. E costituivano l’estensione di un mare di parole in un’unica, perfetta, icona visiva, incarnavano una storia in un’atmosfera istantanea. Immagini divenute immaginario o forse immaginazione. La mostra al MEF Outside, per quanto non esaustiva, restituisce solo in parte il genio di questo infaticabile artigiano, dalla produzione inesauribile, ma più che tutto restituisce dignità ad una professione, quella del grafico, subordinata ad arte meccanica e quindi considerata di second’ordine rispetto alla pratica artistica tout court. E ancora scava nella memoria di una cultura perduta, quella degli scrittori dimenticati: Carlo Sgorlon, Piero Chiara, Mario Soldati eccetera. Pezzi di storia di un paese perduto fatto di storie, passioni e dilemmi ormai destinate all’oblio, ma ritrovati, conservati nelle librerie di seconda mano, e tenuti in vita come frammenti di sogno dalle chine di Ferenc Pintér.