Togliere, cancellare, oscurare, rimuovere. Può riguardare un testo, le pagine di un libro, le immagini. Emilio Isgrò nella sua lunga e coerente carriera artistica ha estremizzato il gesto fino a rifiutare addirittura la propria identità. E ci è riuscito pure con un disco! La copertina di “Is This The Life We Really Want?” di Roger Waters è palesemente figlia illegittima delle opere dell’artista siciliano: nel 2017 pochi giorni prima dell’uscita ufficiale, Isgrò fu promotore di un’azione legale per plagio che bloccò per settimane la distribuzione delle copie fisiche. Eppure, mentre siamo indotti a pensare che tutto ciò abbia a che fare con un atteggiamento antitetico che si muove nei territori insondabili del non essere, le opere di Isgrò regalano esperienze di fruizione attiva che sono, a loro volta, il risultato di un intervento concreto e sistematico nei confronti della realtà. Togliere tutto, o quasi, per isolare e fare emergere quello che rimane. Naufraghi delle parole in un’isola deserta. Il processo creativo si impone ancora una volta come azione, ripetitiva, rituale, che svela nuovi livelli, nuovi significati, nuove immagini. Il paradosso dell’inazione, lo stesso che vi fa tremare in palestra mentre fate plank, qui è sospeso tra pittura e concetto. Less is more. Cancellare la storia, cancellare il presente, l’esperienza, i luoghi: non è forse un po’ ciò che accade oggi nella sovraesposizione globale di informazioni? In mostra a Venezia c’è un precursore del nostro presente che ci riporta all’abc, oppure allo zero, scegliete voi.
Dopo Burri, troviamo a portata di vaporetto, nell’isola di San Giorgio un’altra antologica dedicata a un artista italiano: Emilio Isgrò è in mostra dal 13 settembre al 24 novembre 2019, con lavori dagli anni 60 ad oggi. Curata da Germano Celant l’esposizione comprende le prime cancellature di libri, datate 1964, fino a quelle dei Codici ottomani, 2010, le poesie visuali su tele emulsionate e le Storie rosse, ma anche un nuovo maxi intervento di “bianchetto” su pareti trasversali e diagonali (cancelliamo lo spazio?) che riproducono nelle sale dell’Ala Napoleonica della Fondazione il romanzo Moby Dick di Herman Melville. Un viaggio nel ventre della balena: la destinazione è ignota, cancellata, liberi tutti.
Scritto da Naadir Sanudo