Quale potrebbe essere il numero ideale di canzoni per il definitivo concept album sul tema amoroso? Con tanta ambizione e altrettanta ironia Stephin Merritt scelse il sessantanove. Uscito nel settembre 1999 e suddiviso in tre volumi, “69 Love Songs” è più una panoramica a 360° sulle possibilità, tematiche e stilistiche, della canzone d’amore che un manuale in musica sul
sentimento romantico, come ci tiene a precisare lo stesso Merritt.
Lo spettro sonoro e gli arrangiamenti non potrebbero essere più vari, si passa con grande fluidità dal classico synth pop della band americana al country e perfino al free jazz. Lo stesso si può dire per i testi, nei quali i protagonisti hanno relazioni etero, omosessuali o bisex, tanto per dare ancora più forza al concetto di libertà artistica, d’azione e sentimentale. Nato inizialmente come un omaggio al teatro di rivista e a “114 Songs” di Charles Ives si è poi trasformato in una spassosa, istrionica e imprescindibile opera pop, una delle ultime grandi intuizioni del secolo scorso emersa dal sempre florido sottobosco indipendente americano.
Oltre ovviamente a essere considerato, finora, il capolavoro discografico dei Magnetic Fields, venerato da pubblico, critica e artisti che lo hanno omaggiato, citato infinite volte, da Peter Gabriel ai Black Country, New Road. Dopo molti anni Merritt e soci decidono di riproporlo integralmente dal vivo – grazie a DNA Concerti e Unplugged in Monti lo faranno per la prima volta anche a Roma – e, come accaduto allora, la scaletta sarà suddivisa in due serate. Quindi il consiglio non può che essere uno: se non vi volete perdere nessuno dei magici brani contenuti in “69 Love Songs” la doppietta è d’obbligo. Magari poi ci scappa anche un terzo tempo post concerto. Ma questa come si suol dire è tutta un’altra storia.
Scritto da Matteo Quinzi