È sempre bello quando una mostra ci fa uscire dal confortevole terreno di competenze che ci siamo costruiti per gettarci in una vasca di metaforici (ma nemmeno troppo) squali affamati di sapere: mi è capitato con questa esposizione, che da subito mi ha costretta a googlare per capire cosa fossero l’Arazzeria Pennese e il basso liccio. Non voglio spoilererare il finale, quindi mi limiterò a dirvi che vale lo sforzo. Soprattutto perché per farci ammirare la succitata “contemporaneità del basso liccio”, si sono scomodati diversi artisti interessanti, da Giacomo Balla a Matteo Nasini e Marco Tirelli. L’aspetto più rilevante dell’operazione però è, a mio avviso, riuscire a dimostrare che recuperare le tradizioni artigiane si può, anche con i piedi ben piantati nel Ventunesimo Secolo. E a dispetto dei titoli.