C’è sempre qualche buona ragione per andare a sentire – e vedere – un live di Jerusalem In My Heart. Il duo libano/canadese torna per il terzo autunno di fila a Roma e, che l’abbiate già visto o no, il suo set audio/video (che verrà ospitato dall’auditorium dello Spin Time Labs) resta un’occasione preziosa per assistere a uno dei progetti, e degli act, più originali e affascinanti che girano da queste parti: Radwan Ghazi Moumneh alle parole e musica, Charles-André Coderre agli imprescindibili proiettori analogici che accompagnano e completano con immagini in 16mm le storie rievocate dall’artista libanese. Tra le ragioni c’è sicuramente il fatto che ogni live di JIMH è un’esperienza immersiva e visionaria diversa, anche all’interno dello stesso tour. C’è poi il nuovo disco, il terzo, che sposta ancora un po’ più in là il discorso della reinterpretazione della musica tradizionale medio orientale e della sua contaminazione con la sperimentazione occidentale, l’elettronica e la ricerca in territori da contorni sfocati, tra folk trascendentale, minimalismo, psichedelia e drone music. “Daqa’iq Tudaiq”, pubblicato a inizio ottobre dalla fida Constellation, in una prima parte (di quattro movimenti) reinterpreta la canzone tradizionale egiziana “Ya Garat Al Wadi” con un’orchestra di 15 elementi a cui ha collaborato anche uno dei pesi massimi della musica sperimentale medio orientale, Sam Shalabi; nella seconda, si sviluppa lungo ritmi circolari e ripetitivi, rimodulando un viaggio dai contorni mistici lungo nozioni di tempo e spazio sempre diverse. La ragione più importante per esserci stasera, però, forse è proprio l’attualità e l’urgenza del linguaggio di JIMH: suono e immagini che parlano di contaminazioni, di passato e contemporaneità, di mondi diversi che si incontrano su una dimensione comune tanto ipnotica quanto piena di contrasti meravigliosi.
Scritto da Chiara Colli