Come nelle migliori tradizioni pop, Ariel Pink è di quei musicisti che divide: o lo consideri geniale o un fake pazzesco. Personalmente, mi ritrovo nella schiera dei primi – e l’ultimo, morboso, straripante e inclassificabile album “pom pom” ne è solo una conferma. Con quella supponenza e quella devianza ostentata lo sbatteresti al muro – poi però arriva un pezzo come “Lipstick” che ti si appiccica in testa e un piccolo capolavoro di devasto glam come il video di “Dayzed Inn Daydream” e non puoi fare a meno di adorarlo. E con quel “filtro vhs” applicato alla musica (una roba tipo gli anni 60 guardati su una tv anni 80) – che oggi suona così inflazionato tra i suoi seguaci hypnagogici – Ariel smanetta da tempi non sospetti e, finché non avrà esaurito il suo flusso perverso di idee, resterà fra i pochi a suonare diverso dagli altri. Dal vivo aspettatevi una specie di vaudeville malsano e ultra pop, come un incubo stropicciato su fondale rosa shocking in cui il biondastro californiano mette in scena le sue ossessioni accompagnato da una band che riesce incredibilmente a stare dietro alla sua follia. Sulla carta tutta una gran presa per il culo, salvo poi considerare che a prenderlo sul serio sono stati due maestri come R. Stevie Moore e Kim Fowley.
Scritto da Chiara Colli