Come in un sogno.
Immagini a rallentatore.
Uomini e donne che non conosci, ma che riconosci, emergono dal buio.
Si muovono piano, lentamente.
I loro corpi seguono un tempo diverso che nasce e si esaurisce nello stesso momento.
La vita non è l’inizio; la morte non è la fine.
Bill Viola rompe la continuità narrativa classica e sovverte le rappresentazioni semplicistiche dell’essere.
Tutto è ciclico; il tempo, la storia e la sua arte: loop visivo, pensieri sempre diversi.
L’esistenza è un viaggio intermedio; epoche infinite e indefinite costruite con luci, colori e suoni ci portano dove non sapevamo di aver bisogno di andare.
Le quindici opere esposte esistono senza un inizio e senza una fine nell’oscurità dell’allestimento curato da Kira Perov e ci invitano a rallentare, a osservare dentro di noi.
Ci si muove piano, lentamente, proprio come loro; i passi e lo sguardo sono guidati solamente dalla luce degli schermi, l’orecchio dai suoni che ci riportano a un momento a metà tra il non essere più e il non essere ancora. Il rumore dell’acqua di opere come Tristan’s Ascension e The Raft e quello del fuoco della serie Fire Martyr ci spingono a fare un passo in avanti verso l’ignoto, dove tutto si consuma e tutto rinasce.
La vita non è l’inizio; la morte non è la fine.
Come in un sogno, dove quello che ci appare non è mai ordinato e fine a sé stesso.
Emozione, passione, pacifica inquietudine.
Bill Viola è un sogno che ci agita, ma al quale penseremo per tutto il giorno seguente mentre tutto scorre in attesa di ritornare.
Scritto da Emilia Sanna