Non esiste paese al mondo in cui la cultura del bar sia più forte del Belgio, non esiste regione al mondo in cui i bar siano più popolati e trasversali delle Fiandre, non esiste città al mondo in cui sia più piacevole trascorrere una o più giornate al bar di Anversa. Basterebbe tutto ciò per spiegare l’esistenza e il valore dei dEUS, senza la necessità di spiegarli, senza nemmeno il bisogno di scherzare sul fatto che degli unici due membri superstiti della band originale, uno si chiami (Tom) Barman. Sarebbe tutto superfluo, perché basta mettere su un disco dei dEUS, da capolavori come i primi, figli legittimi della decade benedetta dei ’90s, fino all’ultimo “How to replace it“, arrivato dopo un silenzio sin troppo lungo, per salire su una catapulta e trovarsi fiondati lassù, col vento che sbatte sulle finestre, il cielo che ti acceca coi suoi colori da impressionisti, i gatti che ronzano sulle sedie libere, i bambini che giocano entrando e uscendo dalla porta, gli anziani nei tavoli d’angolo e i giovani a far caciara al bancone, e tutto un fluire di birre, una meglio dell’altra: vlaamse rood, oude geuze, tripel, saison… Ascoltare i dEUS, con quelle chitarre così fuori moda e per questo dannatamente umane, con quel suono sghembo che più che psichedelico si direbbe sbronzo, con quei momenti soul così viscerali è come trascorrere un pomeriggio in un bar di Anversa, forse un po’ meno sbronzi, ma su quello ci si può lavorare. Certo, le birre dei locali milanesi non saranno mai all’altezza, per una volta concentriamoci sul bere con le orecchie.
Scritto da Filip J Cauz