Sfido chiunque ad ascoltare pochi secondi di un pezzo baile funk a caso, senza iniziare automaticamente a muovere il deretano – con il sorriso stampato in faccia. Il nelologismo una volta identificava una delle innumerevoli declinazioni dell’esplosione rivoluzionaria e intellettuale che fu il movimento Tropicalia brasiliano degli anni Sessanta: oggi invece è sinonimo di selvaggia musica da club.
Nel baile funk odierno, sviluppatosi a partire dagli anni Novanta, sembrano vigere solo due regole ferree: il necessario uso di uno spezzato ritmico irresistibile (che fa incontrare la clave tipica della samba con la bass music sintetica) e l’attitudine all’eccesso. Ovvero più si è esagerati, colorati, volgari, liberi, ridicoli e volutamente camp, più il divertimento è assicurato.
Da quando i due inni generazionali “Baile du favela” e “BumbumTamTam” hanno invaso i dancefloor di tutto il mondo circa dieci anni fa il baile funk ha colonizzato ogni dancefloor possibile, inserendosi in set di ogni tipo, usato come arma di remix ed edit di massa e modificando il codice genetico di generi apparentemente lontani come il grime – il figlioccio bastardo dei due si chiama, ovviamente, brime.
Detto ciò, tanto del successo del genere è dovuto all’atmosfera che si crea nei party brasiliani. E per quanto chiunque oggi possa suonare baile funk, se a farlo è un collettivo brasiliano doc come Fervo Fluxo, allora possiamo star certi che vivremo l’esperienza reale da cui e per cui è nato il genere. Quindi sabato, Milano come una favela di Rio De Janeiro: non serve neanche bere per lasciarsi trascinare dallo spirito dionisiaco della festa.
Scritto da Giulio Pecci