Un trio formato di recente, di quelli che non siamo abituati a vedere, sia per il tipo di formazione – sax, fisarmonica e violoncello – , sia per i nomi coinvolti, che dalle nostre parti non capitano granchè spesso. Un disco uscito su Intakt Records lo scorso anno, “Oceans And”, che vede insieme Tim Berne, Aurora Nealand e Hank Roberts, ad anticipare quello che è forse il concerto di punta di questa prima parte di stagione della Casa del Jazz.
Chi abbiamo visto più di recente è Hank Roberts, che ad inizio anno scorso si è esibito alla guida di un nuovo trio a suo nome con Aruan Ortiz al piano e Matt Wilson alla batteria. Nato in Indiana settanta anni fa, Roberts, violoncellista che non disdegna l’uso della voce, è diventato ben presto una delle figure di spicco della Downtown di New York, collaborando fin dagli anni ottanta con musicisti come John Zorn, Marc Ribot e Tim Berne. Membro fisso di alcune delle formazioni di Bill Frisell, ha registrato oltre dieci album a suo nome, negli ultimi dei quali, “Congeries of Ethereal Phenomenon” in trio e “Science of Love” in sestetto, affiancato dalla collaudata coppia Jacob Sacks al piano e Vinnie Sperrazza alla batteria.
Manca invece da più tempo Tim Berne, che negli ultimi anni ricordiamo fra Auditorium e Casa del Jazz con il Michael Formanek’s Very Practical Trio, insieme al contrabbassista ed alla chitarra di Mary Halvorson, e nel quartetto Broken Shadows, con Chris Speed al clarinetto, Reid Anderson al contrabbasso e Dave King alla batteria. Sassofonista e compositore dalla discografia sterminata, anche lui ha collaborato con tutti i nomi di punta della scena newyorchese e non solo, da John Zorn a Bill Frisell, da Nels Cline a David Torn, formando gruppi a suo nome come i quartetti Bloodcount, con Michael Formanek, Jim Black e Chris Speed, Science Friction, con Marc Ducret, Rom Rainey e Craig Taborn, Snakeoil, con Matt Mitchell, Oscar Noriega e Ches Smith.
Conosciamo molto meno Aurora Nealand, clarinettista, fisarmonicista e cantante statunitense, nota soprattutto come leader dei Royal Roses, una formazione che rivisita il jazz tradizionale di New Orleans con un approccio che si affida al linguaggio dell’improvvisazione.
Scritto da Carlo Cimmino