Dai centri sociali alla Cavea dell’Auditorium. Più che la parabola dei CCCP, sembra in primis quella paradigmatica della sinistra maggioritaria del nostro paese negli ultimi decenni, sia da un punto culturale che socio-politico. Nella loro esistenza effettiva (1982-1990) ossia quando i loro gesti, testi e provocazioni avevano un impatto, un peso specifico non indifferente nel paese reale e nel
dibattito sociale e politico dell’epoca, i CCCP sono stati il gruppo più importante di quella generazione, capace di sollevare dubbi, scatenare reazioni, talvolta scomposte ma spesso opportune.
E soprattutto di ispirare, indicare la via, non solo da un punto di vista musicale, a una moltitudine di band e artisti, allora come oggi. Niente male per un gruppo di “musica melodica emiliana”. “L’urlato declamante” Giovanni Lindo Ferretti, “la chitarra grattugiata” Massimo Zamboni, “la benemerita soubrette” Annarella Giudici e “l’artista del popolo” Danilo Fatur sono stati una sorta di Fantastici Quattro del post punk europeo, un collettivo militante ma anche una famiglia disfunzionale alla quale era impossibile resistere una volta incrociati nel proprio cammino.
Per il quarantennale della pubblicazione del primo singolo “Ortodossia” (1984) dall’ottobre 2023 sono partite le celebrazioni del caso con la mostra retrospettiva a Reggio Emilia, il “Gran Gala Punkettone” al Teatro Valli, i concerti berlinesi a febbraio e il tour estivo con quindici date in giro per l’Italia. Oggi siamo all’ultima chiamata, almeno così dicono, con un nuovo tour estivo di commiato che ha il suo abbrivo proprio dalla Cavea. Un concerto per gli umarell del punk, per i millenials con la sindrome della retromania, per i completisti e per gli scettici delle reunion fuori tempo massimo. Ma per fortuna in particolar modo per chi crede che certi messaggi, certi suoni non abbiano età. Anzi siano necessari, centrali oggi più di ieri. Fedeli alla linea anche se quella linea non c’è più.
Scritto da Matteo Quinzi