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gio 01.12 2016 – dom 04.12 2016

#MASH 2016

Quando

giovedì 01 dicembre 2016 – domenica 04 dicembre 2016

Quanto

€ 15/10 giornaliero, Mudec sempre gratis

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Organizzatore

Savana + Terzo Paesaggio

VENERDì 2 DICEMBRE

Don't DJ_Florian Meyer live

EG: Il venerdì si inizia dal pomeriggio con lo screening di Wildness di Wu Tsang, la film maker americana documenta la comunità di immigrate transgender che dal 1963 animano il Silver Platter, storico bar-locale di Los Angeles. Wu Tsang nasce in Massachusetts e si trasferisce a Los Angeles: film maker, perfomer e artista visiva, si muove agevolmente tra la forma del documentario, l’attivismo e la fiction.

Passando ai live, il progetto teoricamente più scollegato da #MASH e dalla sua presunzione è quello di Roly Porter e MFO, che ha più un riferimento al pay off della manifestazione, Sonic Impact. Il set che faranno è quello che hanno portato all’Atonal e al Mira Festival di Barcellona poche settimane fa, che prende le mosse dall’ultimo album di Roly Porter, Third Law, uscito su Triangle. Marcel Weber, ovvero MFO, è uno straordinario visual artist che collabora tra gli altri con Tim Hecker e Ben Frost, e la performance sarà a base di strobo e basse frequenze, in un “ambiente doom”. Nonostante la sala di BASE sia grande, evidentemente non quanto il Kraftwerk di Berlino, credo che si percepirà una discreta sensazione claustrofobica, anche perché il disco di Roly è abbastanza impegnativo. Non sarà una performance tranquillizzante ma sicuramente con un grande impatto, soprattutto sul piano emotivo.

Helm rileggerà le composizioni di Muslimgauze, già a inizio anno aveva realizzato un programma su NTS dove selezionò dei brani di questa figura controversa della fine degli anni 90: mancuniano e scomparso a 38 anni nel ’99, Muslimgauze è difficile da categorizzare, a tutti gli effetti la sua musica è parzialmente elettronica ma l’attitudine è a mio avviso punk e post punk. Una figura controversa perché ha esplicitato il suo interesse e la sua ricerca relativa al Medio Oriente, l’Islam e il conflitto Palestinese in un periodo molto meno aperto al dibattito del nostro, è un personaggio difficile – c’è chi lo odia, dicendo che la sua ricerca e produzione è parzialmente irrilevante, è c’è chi lo ritiene un’icona dell’avanguardia. Secondo me è interessante che sia proprio Helm – non l’unico che si è approcciato alla produzione di Muslimgauze – a guardarla: il suo è un percorso di ricerca e sono inglesi entrambi ma ovviamente nati e cresciuti in periodi diversi, Luke (Younger, vero nome di Helm, NdR) è piuttosto giovane. Tra l’altro, la prima volta che passò da Milano era per uno showcase della PAN a O’ che organizzò Neoma nel 2013: c’erano lui, Lee Gamble e Bill Kouligas e credo sia interessante non solo seguire la traiettoria di un’etichetta come PAN e costatarne la continua attualità ma anche seguire il percorso di musicisti conosciuti anni fa e che stanno facendo cose diverse. E poi Helm mi sembrava un buon trait d’union tra Roly Porter e Don’t DJ, per unire la ricerca di Roly con il discorso che comincia a diventare più autenticamente esotico – seppur politico e scarnificante come quello di Muslingauze – proprio di Don’t DJ.

A farmi interessare rapidamente a Don’t DJ, che già quest’estate è stato ospite di Flussi, è stato Musique Acephale, sua ultima uscita su Berceuse Heroique, etichetta il cui lavoro, insieme a quello del suo curatore Gizmo, credo sia ottimo: come ogni cosa della contemporaneità si tratta di onde che passano, che vanno colte nel momento giusto di massima espressività e che poi possono scomparire rapidamente… Il suono di Florian Meyer, vero nome di Don’t DJ, è se vogliamo più morbido a una prima lettura però poi è molto profondo e ipnotico; una delle caratteristiche che lo tiene insieme agli altri artisti di #MASH è che tutta la line up potrebbe essere capovolta, chi chiude potrebbe anche aprire, sono tutti in grado di interpretare la musica in maniera duplice, sia in una modalità astratta e introduttiva ma anche più veloce e impattante – forse ad eccezione di Roly Porter. Del resto, a #MASH nessuno è chiamato a fare il live per cui è conosciuto, ogni set dovrà per forza contribuire a generare lo storytelling della serata: si tratta di cose un po’ speciali che accadranno lì in tempo reale. E quindi anche Don’t DJ ha questa duplice lettura possibile, questa analisi sull’esotismo e sull’autenticità che però è anche ironica: la sua musica arriva da una naturale ibridazione tra le cose, una ricerca e un’estetica musicale che guarda a una certa techno ipnotica e deep ma con un background di sound design, che viene influenzato da suoni precisi derivati da altre culture musicali. Questo lo rende un progetto difficilmente classificabile, ma che suona anche come il meno ostico – dovrebbe essere più facilmente interpretabile e fruibile ma in compenso è difficilmente prendibile.

Questa “imprendibilità” è il motivo per cui ci tengo che gli artisti abbiano modo di raccontare il loro percorso attraverso le talk, e infatti Florian sarà anche protagonista di una delle lecture del sabato, intitolata Autentic Exoticism. Credo che come artista abbia parecchie cose interessanti da dire, ho avuto modo di vedere su palmwine la presentazione del suo disco a Düsseldorf – accompagnato da Thomas Scwarz, professore di letteratura tedesca presso la Rikkyo University di Tokio – che ha generato un certo interesse. Mi sembra stia diventando progressivamente sempre più diffuso l’approccio per cui alla produzione musicale contemporanea è abbinata a un’analisi critica della fenomenologia che ne costituisce l’ambiente culturale-artistico, sono gesti ancora molto isolati ma credo rappresentino un’urgenza – potrei portarti come esempio Ecologies II: Ecosystems Of Excessdel producer lituano J.G Biberkopf, album appena pubblicato assieme al saggio scritto da Deforrest Brown Jr. intitolato Mechanics of Overflow, Ushered Across a Feed, che analizza le teorie che hanno influenzato le sue composizioni. In questa sorta di continua transizione tra le cose, il fatto che un disco abbia un testo critico che lo presenti e ne dia una lettura, in qualche modo è una prassi che avvicina la musica all’arte contemporanea. Il secondo esempio, è la presenza della PAN con la curatela di Bill Kouligas e Matt Williams per la Frieze Art Fair di Londra presso gli spazi dell’ICA sono stati presentati contenuti poliformi generati da musicisti, video artisti, ricercatori, scrittori. Credo ci sia anche un bisogno di spiegarsi da parte di certi artisti, per evitare che il prodotto artistico si appiattisca sull’idea di prodotto discografico, come se un disco valesse un altro. Nella moltitudine di uscite che ci sono oggi, trovare una differenza nell’estetica sonora fin dal primo ascolto non è facile. In questa lettura di Florian su cosa sia l’autenticità dell’esotismo torna ad esempio l’utilizzo del gamelan – aspetto che ci riporta all’edizione passata di #MASH, dove Hassan Khan era stato ospite proprio con un set di gamelan: c’è quindi un legame, una continuità con il primo #MASH ma che si evolve nella sua ricerca. Tornando al live di Don’t DJ, il suo set prenderà il pubblico dalla performance dedicata a Muslimgouze di Helm, quindi qualcosa di naturalmente più ritmico del set di Roly Porter, e avrà il compito di trainare da uno stato in un certo senso più confuso verso il suono più impattante e techno di Sote.

Sote, il suo vero nome è Ata Ebtekar, ha un doppio passaporto iraniano e americano, è nato a Teheran, poi si è trasferito negli Stati Uniti e da un po’ è tornato nella sua città d’origine. Ata è un uomo di 45 anni che è stato alla ribalta della scena contemporanea elettronica, nel 2001 aveva pubblicato un disco su Warp, Electric Deaf, poi è tornato a produrre dischi solo qualche anno fa su Morphine ma l’album, Architectonic, è passato un po’ sottotraccia. Sote lavora con l’architettura del suono in maniera eccezionale, è un produttore completo che ha ormai alle spalle più di 20 anni di musica. Recentemente ha licenziato un EP su Repitch, 10inch04, e un album su Opal Tapes, Hardcore Sounds from Tehran. Il primo è quello che gli ho chiesto di suonare a #MASH ed è brutalmente techno – riesce a essere contemporaneamente sperimentale come l’elettronica ed immediato come la techno.

Lui in realtà potrebbe fare set molto diversi tra loro, ha appena finito una residenza allo EMS di Stoccolma, ha fatto un tour in Europa dove ha suonato dall’Unsound al Cafe OTO, quindi è un po’ il classico musicista sperimentale avantgarde: in realtà però l’uscita su Repitch ricorda molto il disco su Warp e infatti mi ha confermato che le registrazioni risalgono agli anni tra il ‘95 e il ‘97. Pensare che nel 2016 una roba di vent’anni prima suoni ancora bella e fresca secondo me racconta tanto di tanto – di lui e di noi. Dà la misura di quanto Sote sia in grado di costruire un suono fuori dal tempo, con una vita molto lunga e capace di essere molto attuale. Questo ovviamente è legato anche al continuo attingere al passato che è in corso da anni, per cui la techno industriale o uno come Samuel Kerridge sembrano una cosa nuova. Sote sarà accompagnato da Boris Vitázek, visual artist che lo ha seguito già l’anno scorso nel tour: è un ragazzo di Bratislava le cui architetture visuali contemporanee accompagneranno perfettamente, secondo me, le architetture sonore sempre attuali di Sote.

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Scritto da Chiara Colli