Mentre si moltiplicano i reality che ci propinano sedicenni incinte, gente che non si era resa conto di aspettare un figlio e ostetriche che danno consigli in tv, per fortuna c’è chi riflette sulla questione in modo profondo e senza commercializzarla. Come dice Massimiliano Gioni l’equazione donna=madre potrebbe non piacere, soprattutto ad alcune femministe, ma è altrettanto vero che «tutta la vita umana sul nostro pianeta è nata di donna», per citare Adrienne Rich (autrice di uno dei libri che hanno ispirato la mostra, insieme con quelli di Simone de Beauvoir e Erich Neumann). E se «nel corso del Novecento la maternità diventa un campo di battaglia» (Barbara Kruger), sarebbe stato impossibile per un curatore così acuto pensare a una mostra sulla maternità nell’arte dal Novecento a oggi (ben diversa da quella che aveva in mente Szeemann) senza considerare le istanze legate più in generale al femminile. Un’esposizione monumentale che in quanto a ricerca potrebbe quasi essere una sua seconda Biennale. In una società pensata e costruita da uomini sarà meglio visitare Palazzo Reale, dove sono esposte le opere di più di 120 artiste e artisti, perché il sessismo è ancora realtà e spesso la maternità viene vissuta come una limitazione: sempre attuale l’opera di Meret Oppenheim, che per realizzarsi artisticamente tenta di scongiurare la gravidanza attraverso il disegno di un infanticidio. Ci sono buone probabilità usciate anche voi con la convinzione che, per ricordare Carla Lonzi, l’uguaglianza non può essere la chiave di volta.