La macchina di grande formato viene posizionata con cura sul cavalletto, come un rito. Lo scatto assorbe tutta l’abnegazione per il mestiere, che è quello del fotografo, ma anche dell’intellettuale e dell’architetto. Il reportage è viscerale, amorevole, lentissimo: rispetta il momento, aspetta la luce che cambia, ripete gli scatti, varia minimamente le inquadrature. Nasce così la fotografia d’architettura di Guido Guidi, da un formazione meticolosa allo IUAV con Scarpa e Zevi e da un desiderio maniacale e perfetto di esplorare gli oggetti nello spazio. Se poi lo spazio è quello progettato da Le Corbusier, la sintesi fotografica diventa manifesto visivo di un’architettura che non è solo da guardare, bensì macchina per guardare e attraverso cui vedere meglio. Ville La Roche, Ville Savoye, la manifattura Usine Duval, Maison Planeix e la Citè de Refuge condividono intensità di luci, ombre e sensazioni. E un lato invisibile ma profondo, reso tangibile dallo scatto del maestro romagnolo, altrimenti destinato a dissolversi.
Scritto da Emiliano Zandri