La personale dell’artista romeno Mircea Cantor – che di se stesso dice «Vivo e lavoro nel Mondo» – può davvero definirsi d’impatto: un corpus di opere di nuova produzione dalle dimensioni ambientali che si distendono nelle sale della Fondazione Giuliani e sono fatte di tanti materiali diversi, dal sapone al legno fino all’utilizzo della telecamera termica. Raccontano un concetto tanto stratificato e personale quanto universale: la perdita, il disgregarsi, le rovine su cui si torna ad edificare, forse cambiati nel profondo. La tradizione del sapone di Aleppo, capitale del martoriato Libano, si fa simbolo di purificazione e tutte le opere cercano un cuneo tra la poesia e l’arguzia, pur mostrandosi fragili come l’umanità che evocano.
Scritto da Chiara Ciolfi