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Scene, collettivi e quartieri come immagini di città

Il palinsesto multidisciplinare di Hyperlocal Festival è costruito dalle scene, dai collettivi e dai territori che stanno inventando nuove maniere di stare insieme e di immaginare la città

Scritto da Piergiorgio Caserini il 12 settembre 2023
Aggiornato il 14 settembre 2023

Hyperlocal Festival è il festival che nasce da tre anni di viaggi, ricerche e incontri cominciati con la piattaforma Hyperlocal: da una parte un magazine con interviste, articoli e guide nato durante il lockdown e dall’idea che dai quartieri si potesse dipanare un orizzonte diverso da cui pensare la città, la produzione culturale e il divertimento; dall’altra Club Zero, una serata, una festa, dedicata ai quartieri ospitata dalla Triennale Milano. Tutto era legato all’impressione che la scala con cui si legge, vive e immagina l’urbanità stesse cambiando, che non fosse più né globale né locale ma iperlocale – per capirci: che ogni città fosse una specie di sistema di città, di luoghi, che non considerasse la geografia “ufficiale”, e che si potesse stare per esempio a Lima frequentando Milano. Abbiamo quindi incontrato, parlato, fotografato, invitato sul palco qualche migliaio di persone dal 2020 a oggi. Occorreva portare a terra un’idea, che era quella di una geografia urbana che subisse degli stretch, delle deformazioni senza strappi – ottima suggestione topologica – per cui Milano potesse a tratti non sembrare Milano ma un’altra città, e così Roma e Bologna e tutte le altre. È un’idea che ha come presupposto la scommessa di  una moltitudine brulicante all’opera (le città le fanno le persone), e allora gruppi e collettivi di maghi e precognitori capaci di costruire ponti con altri luoghi e giustapporli tra loro, sfornando e inventando in continuazione immagini chimeriche che portavano nomi, connotati e atmosfere di più città, più generi e più stili assieme.

Hyperlocal Festival 2023 esplora l’idea di scena: la dimensione minima di un laboratorio condiviso di stili di vita, da cui comincia a nostro avviso quel processo che cambia i gusti, gli sguardi, la musica e perché no la politica.

La questione è quella dell’identità e del come la si cambia, dell’identità di un luogo e di chi lo abita, lo frequenta e lo fa. Hyperlocal è cominciato con i quartieri nel 2020 e ora, con HLF2023, continua esplorando l’idea di scena: la dimensione minima di un laboratorio condiviso di stili di vita, musicali, culturali, antagonisti e quant’altro nella quale tutti sono partecipi e ugualmente coinvolti, autori e pubblico; un’atmosfera o un sentimento – più che uno spazio – di contaminazione, convivenza e solidarietà da cui comincia a nostro avviso quel processo che cambia i gusti, gli sguardi, la musica e perché no la politica. La scena è una maniera dello stare assieme che ha abbastanza forza per incistare tensioni, modelli e codici in grado d’essere generativi – che non significa produrre qualche cosa di inedito, ma saper far echeggiare istanze, valori e stili comunitari ed espressivi in ambiti disparati. (Badate: non parliamo di “movimenti” o peggio di avanguardie, termine fortunatamente cestinato dalla Storia.) È questa la moltitudine che fa le città, che le spezza e le riassembla a suo piacimento, attingendo ognuna da uno specifico bacino di suggestioni, istanze o luoghi.

Cosicché quest’anno il Festival costruisce un assembramento di immagini di città, portando a Milano le scene artistiche e culturali di Milano, Roma, Bologna, Torino, Napoli, Monaco, Marsiglia e Londra che a nostro parere fanno quel lavoro da alchimisti: aprono ponti, costruiscono storie e le mescolano, reinventano una città attraverso i suoi luoghi.

Scena è poi indubbiamente una parola ricca (rubata al teatro in veste di palcoscenico e momento di recitazione, metonimicamente spostata al gergo dell’andare in scena, dell’uscire di scena, dell’avere scena ma anche della scena muta o del fare scena, fino alla veduta paesistica), ma se si dovesse trovare un comune denominatore si dirà che bisogna innanzitutto dire almeno quattro cose: che occorre della gente; che occorre un qualche tipo di spazio in cui si condivide una qualche cosa; che la scena si veda, e allora che si esprima; e infine un pubblico – e un pubblico qui si sceglie come si sceglie un amico: seguendo quella facoltà panciosa e pensosa che attesta il piacere dello stare assieme. Le scene insomma ci interessano perché sono forse la formula minima che coinvolge pubblico, praticanti e città. Sono quasi dei larping, giochi di ruolo in prima persona fisica (pratica che per altro sta riscuotendo oggi un discretissimo successo in merito alle arti performative) che a furia di essere esercitati finiscono per prevalere sulla realtà, ribadendo quell’ottima regola che vuole che l’immaginazione sia un potentissimo strumento cognitivo per produrre realtà.

Momenti che hanno avuto la facoltà di mescolare estetica e divertimento e – spesso – qualche forma di rivendicazione, che dall’essere “sottoculture”, “underground”, sono negli anni diventati fenomeni estetici popolari e di massa, innervati nel quotidiano.

Esempi delle scene passate più conosciute possono essere ovviamente il punk, l’hip hop, la techno dei rave, l‘house adriatica, l’hardcore gabber ma anche quello slancio delle arti performative romagnolo di qualche decade fa, o il perreo con il reggaeton. Momenti che hanno avuto la facoltà di mescolare estetica e divertimento e – spesso – qualche forma di rivendicazione, che dall’essere “sottoculture”, “underground”, sono negli anni diventati fenomeni estetici popolari e di massa, innervati nel quotidiano.

Ecco, Hyperlocal Festival 2023 ha questi presupposti. Tante immagini di città, l’una giustapposta all’altra, tante maniere di stare assieme, tante estetiche quante sono le persone che le immaginano, le accorpano, le condividono, esercitano e comunicano. Così quest’anno ci sarà la Milano Sudamericana vissuta e immaginata dall’etichetta Doña Valentina: ponte del clubbing latinoamericano tra Milano, Lima, Bogotà, Medellin, Caracas e altre città del Sudamerica che racconta dei rapporti e degli scambi sonori che da anni si intrattengono tra queste città, tra migliaia di ascolti e comunicazioni carsiche ieri e forse più evidenti oggi. Ci sarà la Roma Est del Pigneto, con la Pescheria di via Alessi e il suo Suono impregnato di contaminazioni che ha dato vita a un clubbing rivoluzionariamente lento, la cui espressione più lisergica sono gli appuntamenti a nome Tropicantesimo, e tutta quella scena “off” degli anni Duemila che oggi si può dire aver fatto e cambiato la storia della musica nostrana. C’è la musica classica e contemporanea che governa capillarmente da secoli il centro città meneghino, nascondendosi agli occhi poco attenti del turista e del consumatore basico, portando al San Fedele, alla Scala e al Conservatorio la vertigine della composizione. C’è la nascita della Dubstep in un quartiere di Londra, Croydon, che si lega alle diffrazioni dei blog di quindici anni fa, echeggiando oggi nei set e nei generi più disparati. C’è l’attitudine metà festa metà rave della scena dancehall e new clubbing della Marsiglia contemporanea di Le Canebiere-Cours Julien, la scena partenopea dell’hyperpop del Vomero e gli orizzonti dell’arte contemporanea performativa, che aprono nuovi litorali espressivi tra danza, moda e teatro.

Insomma, se la città è sempre un accrocchio di cui ancora tutto sommato si sa poco, questa faccenda delle scene sembra indicare una risposta a un abitare che non riesce più a contenere e soddisfare l’infinitudine di sfaccettature, di maniere e valori che compongono la città odierna. Una risposta a quell’inclinazione omogeneizzante dello spazio urbano odierno – quella stessa tendenza spaziale che venne evidenziata e fortemente discussa nella seconda metà del Novecento. Si potrebbe quindi pensare, infine, alle scene come delle piccole enclave, a nicchie ecologiche o a città embrionali, possibili, sempre pronte a emergere e attestarsi, a patto di essere condivise ed esercitate, nel ventre delle nostre città.

 

Il programma di Hyperlocal Festival lo trovate qui