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Dal Csoa di quartiere allo spazio underground del futuro: il Brancaleone

Eventi e luoghi che hanno cambiato le città: Roma, capitolo 2

Scritto da Nicola Gerundino il 28 aprile 2020
Aggiornato il 5 maggio 2020

Quante volte siamo partiti DA ZERO?
Quante volte eravamo lì, abbiamo visto cambiare tutto ma ce ne siamo resi conto solo dopo, come se fosse successo per magia? Qual è il segreto?

Zero riparte dalla città, in un viaggio avanti e indietro sulla linea del tempo. Dagli ultimi 30 anni del passato, da cui sembriamo lontanissimi e da cui prendere il meglio. Dal presente in cui è impossibile andare avanti, è impossibile tornare indietro, in cui siamo immobili e soffriamo. Dal futuro che pretende immaginazione.

Prima ancora di ricevere la telefonata dall’amico più aggiornato; prima ancora di recuperare dalla tasca dei pantaloni o del giacchetto i flyer raccattati in giro per la città; prima ancora di intercettare informazioni in radio o di lanciarsi nelle prime navigazioni web alla ricerca di forum e list, quello che bisognava fare per approcciarsi al Brancaleone era aprire lo stradario, Tuttocittà, e vedere dove era posizionata Via Levanna. Perché, fatta eccezione per qualche abitante del Nomentano/Salario e per i residenti di Monte Sacro e dintorni, nessuno sapeva dove si trovasse e come fosse fatta: alla fine della Nomentana ci potevano benissimo essere le Colonne d’Ercole e la fine del mondo conosciuto. Fortunatamente, nel corso della sua storia il Brancaleone ha dato infiniti motivi per recarsi alle sue porte, sfatando ogni forma di terrapiattismo romanocentrico.

Koma & Bones

La storia del Branca – perché negli anni è così che è stato ribattezzato e chiamato da tutti – è molto longeva e inizia nel 1990, periodo estremante fervido per la città, che aveva nell’Università Sapienza il suo epicentro, nel movimento della Pantera il suo combustibile e nelle realtà occupate e autogestite i propri spazi vitali, potendo godere di un’esperienza riconosciuta, riconoscibile e già robusta quale quella del Forte Prenestino, dei cui saperi fecero tutti tesoro. Dopo i primi anni di lotte per il proprio riconoscimento e le prime iniziative, la pelle di questa realtà mutò quando si aprì ai linguaggi che maggiormente percorrevano il corpo della città più giovane e attivo: quelli della musica e della multimedialità. In breve tempo il Brancaleone divenne uno dei palchi principali di Roma, passando in rapida sequenza da formazioni punk e hardcore, al post hardcore e post rock di area Touch & Go (Chicago), al jazzcore degli Zu che qui diedero vita al primo episodio del loro micro festival, lo ZuFest, e ai primi vagiti di DNA Concerti, tutt’ora una delle principali agenzie di booking di livello nazionale:

Mi ricordo concerti davvero spettacolari là dentro e di aver fatto caso che la sala era molto bella, un centro sociale un po’ scalcagnato in cui però c’era la possibilità di portare anche cose nuove. Nel giro di sei mesi era così attivo come posto che sembrava di stare a Berlino

“Il primo concerto che abbiamo fatto è stato il 31 gennaio 1998 al Brancaleone, con quello che oggi definirei uno dei gruppi peggiori nella storia, i Rachel’s. La sala era murata di gente, fosse andato male quel concerto probabilmente adesso farei un altro lavoro. […] Il Brancaleone lo “inaugurò” un’organizzazione di concerti di cui nessuno si ricorda, Il Cervello a Sonagli: era gente bravissima, molti facevano capo a Disfunzioni Musicali (il mitico negozio di dischi a San Lorenzo, NdR) e portavano cose d’avanguardia, americana soprattutto. Mi ricordo concerti davvero spettacolari là dentro e di aver fatto caso che la sala era molto bella, un centro sociale un po’ scalcagnato in cui però c’era la possibilità di portare anche cose nuove. Nel giro di sei mesi era così attivo come posto che sembrava di stare a Berlino”. *

Miss Kittin (2002)

Il secondo filone che portò il Branca a trasformarsi da Csoa di quartiere a spazio underground del futuro fu quello elettronico. Qui un ruolo fondamentale lo ebbero Andrea Lai e Riccardo Petitti che riuscirono a creare un ponte tra Roma e quella parte di Europa che aveva il pallino delle produzioni “cutting edge”. L’esperienza di Agatha nacque negli studi di una radio, Città Futura, e dall’idea di realizzare una serata che coinvolgesse alcuni dei dj dell’emittente. Dopo un primo tentativo non riuscitissimo, Francesca Bianchi andò a bussare alla porta del Brancaleone e lì si creò l’alchimia perfetta.

Accadde così che Plump Djs, Mouse On Mars, Kruder & Dorfmeister, Miss Kittin, Jazzanova, Rennie Pilgrim, Muslimgauze, Meat Katie, Stanton Warriors, Ivan Smagghe, Goldie, Coccoluto, Dizzie Rascal, Evil Nine, la crew della Full Cycle passarono tutti rigorosamente dalle parti di Via Levanna

“Fu una cosa stranissima: sei mesi prima avevo suonato al Branca con il mio gruppo hardcore e sei mesi dopo ero lì a mettere i dischi. Le prime serate di Agatha attirarono un pubblico che faceva sentire che qualcosa stava cambiando nel modo di andare a ballare, così il settembre successivo partimmo con un’idea di stagione e una comunicazione più strutturata. Alla prima ci furono qualcosa come 1.400 persone: un numero scioccante per tutti! Io e Riccardo eravamo in fissa con i suoni che proponevamo, li suonavamo sì in radio, ma in un’emittente storicamente più legata ad altri generi, che quindi non aveva una grande potenza comunicativa rispetto a quel mondo. Insomma, che quella musica potesse funzionare lo avevamo percepito nell’aria e il Brancaleone si rivelò poi uno spazio perfetto perché era accessibile a tutti ed estremamente libero. Quei nuovi ritmi avevano bisogno di posti nuovi in cui essere ballati, alternativi ai club “ufficiali”. Nei primi tempi si trattò praticamente di un’economia circolare: la radio produceva una serata, che garantiva un autofinanziamento e quindi permetteva a sua volta alla radio di comunicare gli appuntamenti successivi e di coltivare un suo pubblico. Agatha ebbe una risonanza molto forte sulla città, quasi come se Roma non stesse aspettando altro, nonostante fosse musicalmente abbastanza “complicata”, con suoni storti, difficili, spezzati e senza un genere musicale unico”. ****

Erol Alkan, Bugged Out (2008)

Accadde così che Plump Djs, Mouse On Mars, Kruder & Dorfmeister, Miss Kittin, Jazzanova, Rennie Pilgrim, Muslimgauze, Meat Katie, Stanton Warriors, Ivan Smagghe, Goldie, Coccoluto, Dizzie Rascal, Evil Nine, la crew della Full Cycle e tanti altri innumerevoli nomi, a partire dal 1996/97, passarono tutti rigorosamente dalle parti di Via Levanna. Il venerdì firmato Agatha era affiancato da altre due serate altrettanto simboliche: il giovedì le selezioni reggae affidate a One Love Hi Powa, storico e antesignano sound system romano, il sabato Microhouse con i resident Rumi, Trodini e un giovanissimo Donato Dozzy, che in quella sala ha mosso i suoi primi passi fino ad arrivare alle più recenti celebrazioni intercontinentali:

“Se non ci fosse stato il Brancaleone non ci sarebbe stato neanche il processo artistico che mi ha portato dove sono ora. Lì nessuno mi ha mai detto: «fai questo» o «fai quello», «c’è bisogno di questo» o «c’è bisogno di quello», mi dicevano «fai quello che ti pare, ma fallo con il cuore». Questo è quello che mi diceva Riccardo Petitti e questo è quello che ho fatto”. **

Nella prima decade dei Duemila il Brancaleone sarebbe diventato quasi una seconda casa della Warp – Autechre, Plaid, i primissimi Battles – e avrebbe accolto i suoni made in Rome del circuito Final Frontier/Pigna così come le follie fidget di Deepsession con protagonisti dei (futuri) pesi massimi come A-Trak e Diplo. Non furono però solo i suoni, nuovi e d’avanguardia, a fare da spartiacque, ma anche diversi altri aspetti. Per esempio le visioni: quella della mitica sala cinema e quelle che accompagnavano ogni set, mettendo in primo piano la figura del vj – Cliché Video e DDG le crew più attive – e saldando indissolubilmente l’esperienza audio a quella video, facendo acquistare all’esperienza del clubbing una sua terza dimensione: ascoltare, ballare, vedere. O anche un approccio al beverage che cercava di mostrare come anche dietro ciò che si ordinava al bancone durante un live o una serata ci fosse una cultura e che anche nel gusto si annidava la massificazione:

Agatha, Prima Locandine

 

Lì nessuno mi ha mai detto: «fai questo» o «fai quello», «c’è bisogno di questo» o «c’è bisogno di quello», mi dicevano «fai quello che ti pare, ma fallo con il cuore». Questo è quello che mi diceva Riccardo Petitti e questo è quello che ho fatto”

“Tutte le notti lì avevano il sapore dell’irripetibile e dell’eccezionale: eravamo consci di offrire un servizio di livello superiore alle altre realtà club in quegli anni. Avevamo già una discreta selezione di liquori, rum, single malt e vodke russe e polacche. Anche in serate da mille persone – e capitava spesso – riuscivamo a mantenere la promessa di freschezza e qualità. Sembrerà oggi banale, ma lavoravamo con tutti succhi appena fatti e nessun premix. Parliamo di sei casse di lime e limoni spremuti e filtrati ogni sera”. ***

Andate su mixcloud.com/B_bootlegs per ascoltarvi un bel po’ di live e dj set passati al Branca

Grazie ad Andrea Lai e Marco “Iasa” Iannuzzi per le foto

* Dall’intervista a Pietro Fuccio

** Dall’intervista a Donato Dozzy

*** Dall’intervista a Valeria Bassetti

**** Andrea Lai

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