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Dalla piazza ai centri sociali: nasce il Forte Prenestino

Eventi e luoghi che hanno cambiato le città: Roma, capitolo 1

Scritto da Nicola Gerundino il 23 aprile 2020
Aggiornato il 9 giugno 2020

Quante volte siamo partiti DA ZERO?
Quante volte eravamo lì, abbiamo visto cambiare tutto ma ce ne siamo resi conto solo dopo, come se fosse successo per magia? Qual è il segreto?

Zero riparte dalla città, in un viaggio avanti e indietro sulla linea del tempo. Dagli ultimi 30 anni del passato, da cui sembriamo lontanissimi e da cui prendere il meglio. Dal presente in cui è impossibile andare avanti, è impossibile tornare indietro, in cui siamo immobili e soffriamo. Dal futuro che pretende immaginazione.

Dire Forte Prenestino significa dire per molti versi Roma. Più che due entità di luogo e spazio separate, con l’una che contiene l’altra, si ha a che fare con due sinonimi. Anzi, esiste una precisa figura retorica che racconta come la parte possa essere il tutto: la sineddoche. Per capire il Forte Prenestino bisogna partire da lontano, dalla stagione più violenta della recente storia della Repubblica Italiana, quella delle stragi e lotta armata, che aveva toccato il suo apice negli ultimissimi anni del decennio 70 ed era ancora decisamente pulsante all’inizio degli 80. La stagione del riflusso non fu un interruttore, bensì una gestazione lenta e faticosa in cui ogni forma di dissenso veniva bollata come sovversiva e repressa sul nascere. Da un quartiere, Centocelle, e da alcuni gruppi e individui appartenenti alla sinistra radicale, ma caratterizzati tutti da un’indole libertaria, poco incline ai dogmatismi e quindi capace di flirtare con alcune sottoculture urbane come quella punk e skin, emerse la fame di smuovere l’acqua, di aggregarsi, di reclamare spazio, di rompere la cappa di piombo che ancora gravava sull’Italia. Un’urgenza che trovò sbocchi molto poco convenzionali per l’epoca: una rivista, Vuoto a perdere, innovativa e creativa non solo nei contenuti ma anche nell’estetica e nella grafica, cortei di quartiere musicali e colorati, antesignani di quelle che sarebbero poi diventate le street parade, poi concerti e anche la prima celebrazione del “non lavoro”:

“La piazza ci aveva coesi tutti quanti. C’era la volontà comune di rimettere in gioco la propria vita e avere dei luoghi dove poter creare e sperimentare, la volontà di rimettere in moto dei processi aggregativi e associativi, perché in quegli anni l’associazione era stata impossibile”

“Quando facemmo il primo corteo musicale per Centocelle la gente era sorpresa, non capiva quello che vedeva: l’immagine non era quella del militante sottobraccio con il casco, che metteva anche un po’ paura. C’era, invece, una situazione che carpiva l’attenzione, le persone volevano capire cosa fosse quella massa di pazzi, di saltimbanchi che stavano per strada, che parlavano di politica, ma facevano cose strane. […] La piazza ci aveva coesi tutti quanti. C’era la volontà comune di rimettere in gioco la propria vita e avere dei luoghi dove poter creare e sperimentare, la volontà di rimettere in moto dei processi aggregativi e associativi, perché in quegli anni l’associazione era stata impossibile. In Piazza si sviluppavano tante iniziative che poi ogni anni sfociavano nella Festa del non lavoro del primo maggio”. *

1 maggio 1986: la quarta Festa del non lavoro nel piazzale del Forte Prenestino, poche ore prima dell occupazione

Proprio una di queste Feste del non lavoro, quella del 1° maggio 1986, a pochi giorni dall’esplosione di Chernobyl, si tramutò nell’occupazione di un vecchio forte militare d’epoca ottocentesca a difesa della città, come altri ne esistono posizionati strategicamente nei pressi delle principale vie consolari d’ingresso:

“Quel giorno, quando scoccarono le 24:00, salimmo sul palco e srotolammo uno striscione con su scritto ‘La festa continua’. In quel preciso istante quattro persone partirono dal retro del palco, che era montato proprio a ridosso del ponte di entrata del Forte, e ruppero la catena. Smontammo l’amplificazione, entrammo in massa e ci fu festa per tutta la notte”. *

Quella che doveva essere un’occupazione di qualche giorno è poi diventata una delle storie più longeve e importanti di autogestione non solo d’Italia, ma d’Europa intera, essendo tuttora il Forte lo spazio occupato più vasto del Vecchio Continente

Quella che doveva essere un’occupazione di qualche giorno è poi diventata una delle storie più longeve e importanti di autogestione non solo d’Italia, ma d’Europa intera, essendo tuttora il Forte lo spazio occupato più vasto del Vecchio Continente. Dal 2 maggio 1986 il brulicare di corpi e idee non si è mai arrestato e ha conosciuto sempre nuovi innesti. In principio furono i punx romani, che prima chiesero un spazio per le proprie riunioni e poi passarono a una partecipazione attiva; arrivò in seguito il Collettivo Fuori Sede di Roma e infine tanti altri studenti e studentesse universitarie, in particolare dalla Facoltà di Sociologia, nel momento in cui esplose il movimento della Pantera. Cosa è successo in tutti questi anni al Forte? Tutto e di più.

Una delle tante Feste del non lavoro, sempre di primo maggio.

Per esempio, il Forte è stato senz’ombra di dubbio il più grande incubatore controculturale della città, citato da chiunque come esperienza seminale: da chi è stato sommerso dai suoni delle formazioni punk, hardcore e post hardcore degli States (Fugazi su tutti), da chi ha passato notti insonni incalzato da beat techno e drum’n’bass, culminate poi nell’esperienza del festival Electrode; da chi ha incontrato le matite più caustiche e acide del disegno internazionale grazie al Crack! (un altro festival ancora); da chi ha imparato qui l’utilizzo dei codici e delle reti quando ancora internet era una frontiera cyberpunk; da chi ha riscoperto l’enologia grazie a una memorabile edizione del Critical Wine e all’esperienza annuale di Enotica; da chi ha sposato un approccio alternativo all’alimentazione industriale grazie ai mercati terra/TERRA; da chi ha incrociato qui le prime posse dell’hip hop a chi è stato elettrizzato dalla sovversione pop del Toretta Stile; da chi ha scoperto il global sound, con una linea che va idealmente dalla Tortuga reggae del giovedì a cura di One Love Hi Powa alla folla oceanica dei Mano Negra nel ’92, fino alle più contemporanee formazioni cumbiere. Ma, soprattutto, da chi ha appreso la lezione del politico che c’è in ogni gesto quotidiano:

“Questa è stata la peculiarità dei centri sociali: aver riportato la politica a un confronto quotidiano, non sui massimi sistemi, ma sulle piccole cose che compongono le grandi cose”

“Nelle sedi di partito ti vedevi solo in occasione delle riunioni, il centro sociale sovvertiva questa dinamica per cui il personale, come si diceva negli anni 70, diventava veramente politico, trattandosi di esperienze vissute quotidianamente, in cui si discuteva del quotidiano. Ci si confrontava 7 giorni su 7 su costruire le cose, anche solo si trattasse di risolvere il problema dell’acqua corrente nello spazio occupato. Questa è stata la peculiarità dei centri sociali: aver riportato la politica a un confronto quotidiano, non sui massimi sistemi, ma sulle piccole cose che compongono le grandi cose”. *

* Dall’articolo “1 maggio 1986. La storia del Forte Prenestino”

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