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Il mito sotterraneo di Centocelle: intervista a Valerio Mattioli

Da Ranxerox a Sick Luke, attraverso il Forte Prenestino e i punk di piazza dei Gerani, l'abbraccio del quartiere (anche) oltre il 'food district'

quartiere Centocelle

Scritto da Chiara Colli il 17 dicembre 2020
Aggiornato il 21 dicembre 2020

Foto di Alberta Cuccia

Luogo di residenza

Roma

Attività

Giornalista, Scrittore

Tutti (o quasi) sanno raccontare Roma attraverso i suoi cliché – negativi o positivi. Altro è superare gli stereotipi per offrire una narrazione trasversale, spesso ribaltata rispetto alla percezione comune eppure incredibilmente reale. Dare una visione inedita, libera da ideologie, organica ed estremamente dettagliata – senza mai diventare pedante – dei fenomeni che ora per comodità definiremo “culturali” è una delle cose che sembrano riuscire meglio a Valerio Mattioli: era già successo qualche anno fa con “Superonda. Storia segreta della musica italiana” ed è accaduto di nuovo, anzi di più, con l’ultimo “Remoria. La città invertita” (Minimum Fax, 2019), che l’autore definisce ironicamente un “libro fantasy” ma che poi effettivamente ricostruisce una storia in parte capovolta e sotterranea della dicotomia tra centro e periferia della Capitale facendo funzionare alla perfezione teorie, ragionamenti e tasselli per certi versi sorprendenti, che incrociano urbanistica e sottoculture, musica e sociologia, storia e aneddoti, contesto ed esperienza personale.

Nel dare una prospettiva altra – ma non per questo idilliaca – delle periferie, in “Remoria” si sofferma molto su un quartiere dal passato densissimo come Centocelle, rivelandone anche momenti inediti e, come sempre, unendo puntini che non erano mai stati uniti prima d’ora. Il motivo per cui Valerio Mattioli ci ha parlato lungamente di questo «quartierone popolare di palazzacce tra Casilina e Prenestina», però, non è semplicemente perché ne ha scritto in maniera estesa e stratificata in uno dei libri più illuminanti personalmente letti negli ultimi. Il motivo sta tutto nel sentimento. Un attaccamento affettuoso e disincantato verso un quartiere dove ha vissuto per anni, “il magnete del quadrante orientale di Roma”, che conosce bene ma che talvolta, oggi, non riconosce più. E questo, di certo, non perché ormai da anni vive orgogliosamente “in quello sputo un po’ negletto” che è la vicina Torpignattara.

Foto di Alberta Cuccia
Foto di Alberta Cuccia
Foto di Alberta Cuccia
Foto di Alberta Cuccia

Dalla lettura di “Remoria” intuiamo che sei arrivato a Centocelle a un certo punto della tua vita. Quali sono i tuoi primi ricordi del quartiere?

Negli anni dell’infanzia sono cresciuto a Torre Maura, una borgata non distante che sorge sempre lungo la Casilina, proprio sotto il Raccordo Anulare. Nei miei ricordi dell’epoca, Centocelle era il quartiere di riferimento dei ragazzi più grandi: si andava lì il sabato pomeriggio per fare lo struscio su via dei Castani, che è la via principale di Centocelle e che già all’epoca era una strada piena di negozi, un “corso” vero e proprio, con le comitive dei pischelli – e relativi motorini truccati – che presidiavano ogni singolo incrocio della via. A Centocelle la mia famiglia si è trasferita quando ormai avevo quattordici, quindici anni. Fu uno spostamento che in casa venne visto come un importante balzo in avanti nella scala sociale – il che può far ridere perché: a) ci stavamo trasferendo pur sempre in una borgata di periferia e non in qualche quartiere della cerchia centrale; b) l’appartamento in cui finimmo era un misero sottoscala. Considera poi che erano i primi anni 90 e nell’immaginario cittadino Centocelle rappresentava ancora un quartiere di frontiera, un posto dall’aura vagamente pericolosa, specie per via del suo passato diciamo così “turbolento”. Ma in realtà in quel periodo Centocelle era nel pieno del suo sogno piccolo borghese: certo, rimaneva un quartiere popolare e gli appartamenti erano quasi tutti un buco, ma c’era pur sempre la Standa e addirittura un’intera palazzina occupata da Benetton, ovviamente su via dei Castani… Roba che manco su via Tuscolana. Cioè, non so se su via Tuscolana ci fosse o meno un negozio Benetton, ma diciamo che c’era un motivo se, nel suo complesso, Centocelle ha sempre rappresentato la “capitale morale” di tutto il quadrante orientale che sta tra via Casilina e via Prenestina.

Anni fa ci si chiedeva quale sarebbe stato il nuovo Pigneto, tu stesso ne hai scritto in tempi non sospetti, e probabilmente Centocelle in quanto a gentrificazione lo è effettivamente diventato. Anche se poi è andata un po' diversamente: quali sono state le differenze, cosa è successo, cosa ha o non ha funzionato?

Il paragone col Pigneto è fuorviante, innanzitutto perché Centocelle è un quartiere molto, molto grande e molto popolato. Ufficialmente sta sui 60.000 abitanti – il sospetto, o quantomeno la sensazione, è che siano parecchi di più… – con un suo centro e una sua periferia e senza alcunché di caratteristico o pittoresco: è una specie di megaborgata fatta di palazzine di quattro o cinque piani tutte attaccate l’une alle altre altre, costruite negli anni 50/60 senza alcuna pretesa se non quella di tirare su una scatoletta dove infilare la gente e metterci sopra un tetto. Detta brutalmente e con tutto l’affetto del mondo: è un quartiere bruttino, architettonicamente mediocre, visivamente abbastanza anonimo, e di sicuro non può contare né sul fascino neorealista del già citato Pigneto, né tantomeno sulla qualità architettonica di quartieri più storici come Garbatella. Chiaro, è un quartiere che ha una sua “atmosfera”, una sua storia, una sua insondabile aria che alla fine te lo fa piacere, coi suoi tram, le salitelle, i saliscendi… Ma vista la sua conformazione urbanistica e le sue dimensioni, tutto sembrava scongiurare quel tipo di gentrificazione da villaggetto bohémien che ha trasformato il Pigneto nella Disneyland dell’aspirante classe creativa, con gli hipster di inizi Duemila e tutto il resto che sappiamo. E invece la gentrificazione alla fine è arrivata: dapprima hanno cominciato a trasferirsi i giovani che non potevano più permettersi una stanza al più costoso Pigneto. Poi c’è stato l’arrivo della linea C della metropolitana, che ha reso l’area parecchio più appetibile. Poi è arrivata la geniale idea di trasformare l’intero quartiere in un mastodontico “food district”: se tu adesso passeggi per il quartiere noterai una sequenza parossistica, per non dire surreale, di esercizi commerciali orientati al bere e al mangiare di (sedicente) “qualità”. Ci sono le birre artigianali, le bagelerie, le enoteche bio, il sushi luxury, i ristoranti con la pizza lievitata tre settimane, le gelaterie vegane, centrifughe ovunque… C’è pure una cazzo di grissineria, o forse nel frattempo ha chiuso, non so. Ogni mese ne arriva qualcuno nuovo e sono tutti posti che, sai, occhieggiano “a quel gusto lì”: interni in ferro battuto, menù in stile liberty scritti sulle lavagne, camerieri che ti spiegano per 20 minuti il perché e il percome della grappa che hai ordinato… Alcuni di questi posti sono anche carini, eh! Io stesso ho quei due-tre dove vado volentieri. Ma in generale, la sensazione è che siano posti aperti da gente che invece di aprire una rivendita Nespresso ha optato per un cocktail bar/pinseria perché “Centocelle è il nuovo quartiere degli aperitivi”. È un modello di consumo del territorio che è stato molto pompato negli ultimi anni e che ha completamente stravolto l’immagine del quartiere, ma è anche un modello che in questo esatto momento – con la pandemia e la crisi che verrà – dimostra tutta la sua fragilità. Però nel frattempo la speculazione ha funzionato. Voglio dire, adesso un appartamento di 60 mq a Centocelle costa più che un quadrilocale a Torpignattara, con tutto che Torpignattara è più vicina al centro e quindi teoricamente dovrebbe avere i valori immobiliari più alti… In ogni caso, è chiaro che una realtà tanto complessa come Centocelle non può essere ridotta alla sola immagine da aperitivificio. È un quartiere molto grande che al suo interno cela realtà anche molto diverse tra loro, alcune più vistose, altre più delicate, altre ancora più opache e, come dire, “complicate”.

In “Remoria” racconti che Stefano Tamburini amava fare giri notturni in periferia e in particolare a Centocelle. Ci verrebbe ancora oggi e apprezzerebbe qualcosa del quartiere?

Tamburini era solito prima bersi una cosa a Trastevere, poi prendere un bus notturno e andare a esplorare la metropoli, con Centocelle che per lui rappresentava il margine per eccellenza, il quartiere della devianza, del rischio e del pericolo – e della roba. Erano i primi anni 80 e la Centocelle del periodo era praticamente un’altra città. Adesso probabilmente i ruoli sarebbero invertiti o quasi: verrebbe a Centocelle per farsi un bicchierino, e poi se ne andrebbe a – che ne so – Torre Angela, a Torbella o in qualche altra borgata più remota dove ancora non sono arrivati gli spritz a 8 euro…

Prima hai menzionato Torpignattara, il quartiere dove ormai da tempo abiti. Dista neanche un chilometro da Centocelle ma i due territori hanno differenze enormi che si sono amplificate negli anni, e che raccontano di come anche su piccole distanze possano crearsi identità territoriali molto forti e diverse, se il contesto e le condizioni spingono in tale direzione.

Sono quartieri limitrofi quindi necessariamente condividono più di qualcosa, ma al tempo stesso sono completamente diversi, direi addirittura quasi agli antipodi. Centocelle è una piccola città molto solare e vibrante, col suo viavai, i negozi, le vetrine… È anche un quartiere ben servito dai mezzi pubblici – tre linee di tram, tre fermate di metro, il trenino della Casilina, una quantità di autobus che vatti a ricordare… E poi naturalmente un’offerta colossale di food & beverage, come abbiamo appena detto. Torpignattara invece è questo sputo un po’ negletto e abbandonato a se stesso che si tiene in piedi solo grazie ai comitati di quartiere e alle iniziative “dal basso”, e in generale è un posto molto più hardcore, crudo e a volte un po’ claustrofobico. Mettiamola così: se a Centocelle hai le grissinerie e le tequilerie, Torpigna credo che vanti il record nazionale di alimentari bangla. Anche l’incidenza della popolazione straniera è diversa: a Torpigna la senti molto di più, tanto che il quartiere viene sostanzialmente connotato da quello; a Centocelle invece è più diluita e per certi versi trasversale – e questo nonostante a Centocelle esista un vero e proprio quartiere arabo – l’area tra via degli Aceri e via dei Frassini – e vi abbia sede uno dei centri islamici più importanti di Roma. Come dicevi tu, io vivo a Torpignattara ormai da parecchio: è il quinto appartamento che cambio in quindici anni e, per un motivo o per l’altro – insomma: per i soldi – sono sempre rimasto qui. Però vedo un sacco di gente che ultimamente medita il trasferimento a Centocelle, probabilmente perché lo percepisce un po’ come un upgrade, allo stesso modo dei miei genitori quando ero piccolo. Perché alla fine Centocelle rimane il principale magnete del quadrate orientale, è una delle borgate più famose e dalla storia più intensa dell’intera città, insomma se dici Centocelle stai dicendo CENTOCELLE, non so se mi spiego… Va bene, adesso c’hai le tequilerie e il pane di Bonci, ma se pensi alla sua storia Centocelle resta pur sempre il quartiere dei coatti ma anche della Resistenza, della malavita ma anche delle case occupate, delle Brigate Rosse ma anche del punk, e poi delle sottoculture di strada, del Forte Prenestino, dei rave o anche – in tempi più recenti – di icone come Noyz Narcos e Sick Luke.

Ma quindi, considerando che Noyz ha vissuto a Montesacro e pure un culto underground come Stefano Tamburini proveniva dalla parte alta di quel quartiere, Talenti, sembra esserci un asse Montesacro/Centocelle...

Chi lo sa, magari è per via della tangenziale – con annesso tratto urbano dell’A24 – che li collega per via direttissima… Ah, e poi c’è ovviamente Claudio Baglioni, nato a Centocelle e trasferitosi a Montesacro come purtroppo raccontato da lui stesso nelle sue canzoni – dico purtroppo perché Baglioni lo detesto. A questo punto preferisco citare l’unico e inimitabile Trash Secco, autore del mockumentary-capolavoro “Nefasto“, regista dei primi videoclip di Achille Lauro e già componente del Quarto Blocco. Anche lui da Montesacro si è spostato a Centocelle, mi pare a via delle Palme. Ogni tanto lo incrocio al Forte.

 

Foto di Alberta Cuccia
Foto di Alberta Cuccia
Foto di Alberta Cuccia
Foto di Alberta Cuccia

Il Forte Prenestino è un passaggio “obbligato” di Centocelle. Cosa ha rappresentato per te e perché uno spazio così importante per la città è nato proprio in periferia?

Il Forte è uno dei luoghi più incredibili di Roma e per me semplicemente è tutto: come tantissime altre persone in città – oltretutto di diverse generazioni – mi sono abbeverato alla sua fonte al punto che non posso immaginare una vita senza il Forte – di più, una Roma senza il Forte. Per il quartiere, prima dell’occupazione del 1986, il Forte Prenestino ha sempre rappresentato una specie di buco nero: una presenza invisibile e occulta nascosta tra gli alberi, luogo di segreti indicibili e misteri alle volte anche atroci – negli anni Settanta al suo interno trovarono i resti di un bambino scomparso. Come centro sociale, viene occupato nella Centocelle degli anni 80 perché di fatto è il proseguimento di quella storia pluridecennale a cui accennavo prima: considera che Centocelle è un quartiere relativamente recente, il primo nucleo è degli anni 40 del Novecento e praticamente da subito diventa un covo di antifascisti al punto che durante la guerra riuscì quasi a liberarsi da solo dai tedeschi, prima ancora che arrivassero gli americani. È un quartiere working class – sebbene non strettamente operaio – che negli anni Sessanta e Settanta diventa un laboratorio vivacissimo dal punto di vista sia culturale che politico. C’era il famoso Teatro Popolare, quello dove veniva Dacia Maraini, i comitati di lotta per la casa, i muretti dei freak e le sedi di tutti i gruppuscoli extraparlamentari dell’epoca, dagli anarchici a Lotta Continua passando per il famigerato CoCoCe, il Comitato Comunista Centocelle che poi diventerà un importante serbatoio per le Brigate Rosse – i vari Bruno Seghetti, Antonio Savasta, Anna Laura Braghetti, Emilia Libera, Renato Arreni eccetera vengono tutti da qui. Poi certo, c’era anche tanta criminalità, tanta violenza, tanta eroina, i giornali dell’epoca arrivarono testualmente a paragonarlo al Bronx, il che fa sinceramente ridere… Negli anni 80, quando la stagione dell’impegno politico è finita e metà dei giovani degli anni 70 è finita in carcere e l’altra metà è al SERT di piazza dei Mirti (quello di “Amore Tossico”), piazza dei Gerani – una delle principali piazze di Centocelle – diventa il ritrovo dei punk, dei dark e di tutte le sottoculture del periodo. Contemporaneamente, dai resti del movimentismo anni Settanta nasce un giornale fondamentale come “Vuoto a Perdere”: ecco, il Forte viene sostanzialmente dall’incontro di quelle due anime lì. Autonomi, anarchici, punk, creature strane, pischelli di strada, sottoproletari sfaccendati che nel 1986 entrano in questa fortezza abbandonata e da lì non se ne vanno più. Il resto è storia, come si suol dire. C’è anche da dire che il Forte difficilmente può essere considerato un centro sociale “di quartiere”. Il suo raggio d’azione è sempre stato la città intera. Di fatto, per almeno due decenni il Forte Prenestino è stato probabilmente l’unico motivo per cui tanta gente del resto di Roma veniva a Centocelle – anche per questo, resta per me il posto in assoluto più importante dell’intero quartiere, nonché di tutto il quadrante orientale o Roma Est che dir si voglia.

Pensi che un luogo come il Forte possa essere ancora un avamposto rappresentativo della politica o va a una velocità molto diversa da quelle del quartiere, che sostanzialmente accelera di più...

È difficile da dire… Probabilmente il Forte non ha più quella spinta propulsiva che poteva avere ancora quindici anni fa, ma rimane comunque una calamita imprescindibile per chiunque capiti da queste parti. Il paradosso è che una percentuale non trascurabile degli attuali “gentrificatori” del quartiere – diciamo la percentuale meno beceramente interessata alla speculazione pura e semplice –, Centocelle l’avrà conosciuta proprio grazie al Forte, e questo crea un sacco di cortocircuiti parecchio complicati. Ci sono stati senz’altro dei tentativi di far convivere la nuova immagine del quartiere con la sua anima storica – penso a un esperimento come La Pecora Elettrica, che poi è finito come sappiamo… – ma è indicativo che se ancora cinque anni fa ti dicevo “Il Veneziano” ti veniva in mente una cosa – fortaroli e studenti squattrinati che vengono a farsi un cicchetto a un euro – ma se lo dico adesso te ne viene in mente una quasi opposta: apericene, movida, questa roba qui. Poi chiaro, il Covid può essere il preludio di un reset quasi totale, vedremo quali saranno gli equilibri da qui a un po’…

Ci sono ancora i coatti a Centocelle?

Mah, cos’è un coatto adesso? Di sicuro è cambiato il profilo demografico del quartiere nonché della città nella sua interezza. Detta in soldoni, i giovani sono meno numerosi di un tempo, proprio in termini di percentuale anagrafica. Certo è che le comitive che ancora vent’anni fa puntellavano via dei Castani non le vedi più. Qualcosa la trovi ancora a piazza dei Mirti o a piazzale delle Gardenie, ma in generale l’immagine di Centocelle, per come è stata ridisegnata negli ultimi anni, è più su misura di trentenni che di sedicenni col motorino truccato. Considera anche che sono cambiate le forme di aggregazione, le modalità di vivere la città, lo stesso concetto di “appartenenza al quartiere”… Il vero nodo per me resta quello delle cosiddette “seconde e terze generazioni” – definizione che trovo abbastanza insensata ma alla quale mi adeguo per comodità. È lì che si va plasmando il futuro non solo di Centocelle ma in generale dell’intera città, con le periferie che come al solito funzionano da avanguardia e da laboratorio per fenomeni di portata più ampia. Penso che sia da lì che verranno i linguaggi che riconfigureranno il concetto stesso di periferia – linguaggi che sicuramente sono già in divenire, si stanno formando adesso sotto i nostri occhi anche se noi non ce ne accorgiamo, sebbene qualcosa stia cominciando a emergere anche nel fantomatico mainstream: pensa per esempio a un film come “Bangla”, che si ambienta a Torpignattara ma che descrive una realtà tranquillamente estendibile ad altri luoghi della città, Centocelle compresa.

Quali sono i posti dove ancora vai a mangiare e bere?

Negli ultimi anni l’offerta gastronomica si è fatta fin troppo ampia e ci si può sbizzarrire con quello che ti pare, quindi se sei in cerca di indirizzi (presunti) gourmet hai solo l’imbarazzo della scelta… Ma personalmente, come tanti locals, se vado a mangiare fuori vado in posti tipo Da Dante su via degli Olivi: non per l’offerta culinaria in sé, ma perché resta un luogo ancora al di fuori delle logiche “hip” di cui parlavamo prima. Un vero posto dell’anima è sicuramente il Panificio Costantini su via delle Betulle, che chiunque sia uscito dal Forte a notte fonda in piena fame chimica conoscerà fin troppo bene. Un altro classico old school – anche se recentemente si è molto ingrandito – è Ciro Kebab per un bel falafel unto. Per il bere, oltre all’enoteca e al pub del Forte, i posti sono anche qui decine; tra i nuovi arrivati, la mia scelta non può che ricadere per ovvi motivi su Il Marziano.

Quali sono secondo te i simboli più significativi del quartiere?

Come detto, Centocelle è un quartiere architettonicamente “minore” per non dire scadente, quindi non presenta chissà quali landmark, a parte forse l’acquedotto su via dei Pioppi. L’unico era il grande, altissimo lampione che stava a piazza dei Mirti, ma l’hanno abbattuto anni fa quando sono cominciati i lavori per la linea C. Quindi come simboli per antonomasia citerei da una parte il Forte Prenestino, per tutto quello che ci siamo detti prima, dall’altra la fermata Centocelle del Trenino di via Casilina – il “trenino giallo”, come lo chiamano adesso… Una volta però era blu – col suo sottopassaggio che nella mia memoria rimarrà per sempre intriso di puzza di piscio e ricoperto di scritte oscene sui muri, anche se adesso è stato parecchio ripulito. Tra i posti che invece rimandano alle più recenti trasformazioni del quartiere mi piacerebbe citare quel piccolo paradosso che è BAM – Biblioteca Abusiva Metropolitana, uno spazio autogestito che sorge nel bel mezzo di via dei Castani, circondato da vetrine scintillanti e immancabili locali street food: esiste dal 2013 quindi già da un po’, ma è interessante come, con la sua facciata ricoperta di graffiti e murales vagamente cybperunk, cozzi completamente con l’ambiente circostante. È un vero pugno in un occhio, adesso può sembrare fuori contesto – e in effetti lo è – ma è proprio questo il bello. Anche perché ti ricorda quello che Centocelle è sempre stata: il quartiere che da Ranxerox ti porta diritto a Noyz Narcos o Sick Luke passando per i punk di piazza dei Gerani e le serate sotto ecstasy al Forte. È in quella storia che sta il “mito Centocelle”, non certo negli spritz con aperitivo, se capisci che intendo. Quindi mi piace pensare a posti quali BAM come a un altro piccolo anello di una catena sotterranea che va avanti da decenni, e che in qualche modo prova a resistere alla mercificazione più deteriore e ottusa, alle volte riuscendoci e facendo sì che quella famosa “atmosfera particolare” non se ne sia del tutto andata. Adesso non vorrei suonare troppo sentimentale, ma ecco, Centocelle è senz’altro molto cambiata, eppure in qualche modo continua ad accoglierti e ad abbracciarti: forse anche per via di quei fantasmi che vengono dalla sua storia così densa e articolata e che ancora aleggiano per il quartiere, infestandolo fino al midollo.