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Gaia Vincensini: tra consumismo e desiderio, mistero ed eroticità

Un’analisi attraverso l'arte contemporanea sulle dinamiche di potere

Scritto da Alessia Romano il 4 ottobre 2023

Abbiamo raggiunto Roma in una giornata di caldo instancabile e, dopo aver camminato per il quartiere Monti, un cancellone si è aperto davanti a noi: l’Istituto Svizzero di Roma ci ha accolti nei suoi ampi giardini e nel palazzo, risalente al 1947. Gaia Vincensini è venuta a prenderci all’ingresso per accompagnarci all’interno della residenza: grandi occhiali da sole, sorriso smagliante contornato da un rossetto rosso e unghie dorate accompagnano una energica risata e un accento multilingua. Passando per il cortile esterno arriviamo al suo studio, con affaccio sul verde e sulle strade romane. Chiusa la porta, i clacson delle auto rimangono fuori.

 

Una critica sociale sottolineata da una profonda esplorazione dell’individualità e della comunità.

La storia di Gaia è intrecciata con l’arte fin dalla sua infanzia grazie alle influenze delle donne della sua famiglia. Ciascuna con la propria pratica artistica, le hanno trasmesso il loro amore per l’arte insegnandole mezzi diversi per esprimersi: una nonna scultrice, una madre incisore e una zia ceramista, l’hanno ispirata e incoraggiata a sviluppare la propria pratica artistica che fonde elementi come l’intaglio, il disegno, la lavorazione della ceramica e la moda. Dopo il percorso formativo che la vede frequentare il corso di Belle Arti alla HEAD di Ginevra, è proprio la moda, insieme alla stampa e all’intaglio, a diventare il punto d’incontro per l’attuale collettivo con cui collabora, Inner-light, fondato nel 2018. Insieme al suo lavoro da artista indipendente, l’essere parte di un gruppo consente a Gaia di apprendere e di mettersi alla prova molteplici volte: il partecipare attivamente a un’attività che coinvolge più persone, ci racconta Gaia, le permette di imparare tecniche nuove molto più facilmente – poiché insieme ad altri, si ha meno la paura di fallire – e non si cade nell’over thinking come quando si è da soli e si deve iniziare a studiare un lavoro da zero. Quando si arriva a dover prendere delle decisioni invece è più complesso: ogni cosa si deve condividere e ci vuole più tempo. Bisogna imparare a parlare e questo  “ti permette di staccarti dell’ego che ti tortura quando sei un artista che lavora completamente da solo”. Proprio grazie alla complicità creatasi con questo gruppo di persone Gaia è riuscita a sviluppare il suo primo lavoro video realizzato con l’obiettivo di archiviare il loro lavoro, spesso difficile da tramandare trattandosi di abbigliamento, di vestiti che vengono realizzati e poi venduti, che gli permettono anche di raggiungere un pubblico differente da quello dell’arte. Questo lavoro video, presentato al Mamco di Ginevra nel 2021, ha permesso di fissare momenti, di raccogliere dettagli e raccontarli.

Il video è diventato un importante medium per Gaia, poiché le permette anche di circoscrivere lo sguardo del pubblico, di reindirizzare il pensiero verso un’idea precisa. Il lavoro di Gaia offre una critica sociale sottolineata da una profonda esplorazione dell’individualità e della comunità. Riconosce la fragilità dell’artista nel sistema dell’arte contemporanea, spesso dipendente da molte figure intermediarie. Il suo coinvolgimento in collettivi le ha conferito una maggiore sicurezza nelle sue decisioni artistiche e le ha permesso di sperimentare nuove direzioni. 
Proprio in questi giorni ha inaugurato a Palermo The Golden Door la mostra finale della residenza all’Istituto Svizzero di Roma, dove noi l’abbiamo incontrata: in questa mostra, aperta il 27 settembre presso la Fondazione Sant’Elia, è stato presentato un nuovo ciclo di sculture e un nuovo video che interessa tutta la ricerca portata avanti durante quest’ultimo anno romano. Stimolante, sia da un punto di vista che concettuale, Roma è stata una grande scoperta con la sua variegata quantità di testimonianze storico e artistiche, che convivono lo stesso tempo e lo stesso spazio. “La gente vive in mezzo a tutto ciò, in mezzo a tutte queste epoche”. Questa è la città eterna ed è qui, proprio durante la sua residenza, che ha deciso di portare avanti una ricerca – sviluppata anche grazie al dialogo con altri ricercatori provenienti da altre discipline, come Stefano Torres – è appunto il fulcro della sua mostra finale focalizzata sull’oro, sulla storia di questa materia arrivata dal Sud America, per poi finire sul tetto di Santa Maria Maggiore, regalato dal Re e dalla Regina spagnoli al Papa che, a quel tempo, era spagnolo.

Riflessioni che portano allo sviluppo di un dialogo tra i processi alchemici, quindi i tentativi di produzione dell’oro a partire dai materiali comuni, e la speculazione finanziaria. Tema che ci porta alla stretta vicinanza dell’artista con la Svizzera – suo paese natale  – e punto di partenza per lei di un’ampia serie di riflessioni: il ruolo di questo Stato nelle dinamiche politiche ed economiche diventa di rilevanza soprattutto durante le crisi, o le guerre, in cui la sua posizione è sempre un’incognita, un mistero. A partire dal segreto bancario, che ha spesso suscitato curiosità e interrogativi offrendo un terreno fertile per il desiderio di svelare i segreti nascosti all’interno delle istituzioni finanziarie svizzere, anche la sua posizione in quanto custode di oggetti e artefatti di valore di cui non si conosce l’esatta ubicazione. Quando i conflitti scuotono il mondo, oggetti di valore e oggetti storici spesso scompaiono nel mistero: dove finiscono questi tesori? Cosa accade loro? I segreti svizzeri sono un esempio emblematico di come il mistero sia incorporato nella cultura e nell’identità del paese. Gaia si interroga e traduce queste narrazioni, queste visioni, in tesori intrappolati, immaginandoli anche dietro a delle sbarre, dentro a delle gabbie, con la personificazione della banca come cassaforte che li custodisce e trattiene. Il desiderio del tesoro di fuggire riflette il nostro desiderio di svelare i segreti celati nelle istituzioni finanziarie e nei misteri della storia. Trojan Horse, 2021 rappresenta proprio una cassaforte di metallo, con catenacci, dove per accedervi e liberare ciò che vi sta dentro serve un codice da digitare all’interno di un tastierino posto dentro una grande bocca o un altro, ancora, dentro un grande cuore posto nel centro. Non si vede al suo interno tutto, non si sa cosa contenga. Queste riflessioni sul concetto di “mistero”, si connettono in maniera altra e profonda a quello di desiderio, offrendo uno sguardo affascinante sulla complessità della natura umana e sulla sua interazione con l’ambiente circostante: questi due elementi, mistero e desiderio, sono intrinsecamente intrecciati nella nostra esperienza umana, tanto che sembrano dipendere l’uno dall’altro. L’uno senza l’altro non esiste.

Diversi sono gli oggetti personificati, come la cassaforte così anche il bancomat, divinizzato come Sfinge. “Quando c’è stato il Covid-19 – racconta – ci siamo tutti resi conto che certi oggetti li tocchiamo molto e che abbiamo un rapporto molto sensoriale con loro. Questa sensorialità, sensualità e questo contatto, sono qualcosa di altamente erotico per me. Tutto il nostro sistema capitalistico e anche il nostro sistema di consumismo sono costruiti sull’idea di un desiderio mai pienamente soddisfatto e che è sempre sostituito da un altro desiderio. È un circolo infinito”. Questa connessione tra sensualità e consumismo si traduce in un potente commento sul desiderio insaziabile insito nel sistema capitalistico, dove il denaro è il mezzo attraverso cui i desideri vengono soddisfatti. Si legge perfettamente tutto ciò in lavori come Chasing withdrawals, 2022  in cui una scultura-bancomat – ceramica, legno e cemento – ci tenta porgendoci del denaro con una piccola mano che fuoriesce da un buco, ci stuzzica.

Siamo una società dipendente dal denaro – e tante volte da qualcuno – che questo ci condiziona fortemente. Soprattutto nel marketing, come discusso con Gaia, non si capisce bene da dove derivi questa figura di uomo capace di tutto che cercano di comunicare tramite slogan importanti, audaci e motivanti. Collegandosi a ciò, siamo arrivate a delle conclusioni difficili da digerire ma che rispecchiano la realtà del mondo dell’arte: “La posizione dell’artista è molto fragile, molto sottomessa, dipendente da tante persone, un sacco di middle men. Devi avere la galleria per vendere il tuo lavoro e devi avere la gente che ti connette, devi avere il curatore, etc. sei sempre in contatto con un sacco di persone che garantiscono per te e gestiscono cose per te, e questa posizione a volte può essere alienante. Dal mio punto di vista, avere un lato “collettivo” mi ha aiutato ad avere un rapporto più fluido e facile perché sono già abituata a lavorare con altrə, so quello che posso domandare e so quello che mi può essere chiesto. So dove voglio andare e dove non posso andare”.

Questa serie di dualità, di emozioni, di fragilità vengono affrontate attraverso diversi media tra cui il disegno: come fosse una scrittura automatica, questo permette a Gaia di tradurre il mondo e la sua vita. Grazie ad una pratica quotidiana, il disegno le conferisce la possibilità di comunicare momenti intimi, di congelare istanti, come fossero un terreno fertile in cui tutto può incontrarsi e mescolarsi. I disegni rappresentano il punto di partenza per tutte le opere, parte tutto da un foglio di carta che poi si traduce in scultura, pittura, ceramica o intaglio combinandosi direttamente anche con queste, come succede nella serie Matrices (irresistible flux) del 2021 o in Cruising in the vast, see like, immensity del 2019. Dal bianco e nero si passa al colore mantenendo sempre un’estetica molto carattterizzante che richiama senza dubbio l’estetica del fumetto, sopratutto quello giapponese. Fare fumetti è complicato, lei stessa lo ammette, ma la sua è un’influenza molto forte: la semplificazione dei dettagli, soprattutto quelli del viso, per lasciare spazio all’espressività che asseconda la quantità di emozioni che quotidianamente, minuto dopo minuto, costruisce ciascuna persona, ne racconta la storia.