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Una gallery di foto e due chiacchiere con Nicola Guiducci per la sua mostra al PlasMA

Grazie a Jacopo Bedussi abbiamo scambiamo due parole con l'artista/dj e vi mostriamo alcune opere della mostra ''The kidz are alright! (from West Side Story to Quadrophenia)'' in una gallery esclusiva

Scritto da Jacopo Bedussi il 26 aprile 2018
Aggiornato il 4 maggio 2018

Nicola Guiducci racconta la rebel youth da sempre, e al contempo ne trae ispirazione. Traccia dei fili rossi e mette in evidenza delle connessioni. Lo fa da sempre con la musica e l’art direction del Plastic. L’ha fatto con le produzioni musicali dietro cui era nascosto. Con le foto e i magazine. Ed ora anche con il disegno e la grafica. Ora per modo di dire, perché racconta “Dipingo da quando sono nato. Questi kidz però sono nati due o tre anni fa, un po’ per caso, dal nulla mi metto a disegnare e poi se ne esce qualcosa che trovo interessante approfondisco il soggetto, il tratto, le caratteristiche che mi piacciono….”
La scelta del contesto fifties e West Side Story però è puramente arbitraria. “È una ricerca che faccio da tanto ma riguarda l’attitude, e quella non è che cambia insieme all’estetica. Poteva essere anche, che ne so, gli anni ’80 o i ’60 perché quel tipo di gioventù lì esiste da sempre ed esisterà per sempre, basta solo cercarla e capirla. Avevo in mente anche tante altre cose da fare ma poi mi sono fermato, e ho chiuso la scelta di questo capitolo a quel periodo. Non volevo fare casino.”
Allora via con questa giostra multimedia di giovanotti belli e spavaldi più che dannati, quello magari più avanti, chissà. Poi a volte teneri, assorti, outsider inermi ma incazzati. Fierce. Reference che vengono dalle strade meno illuminate di tutte le periferie occidentali raccontate nell’ultimo mezzo secolo, che si risolvono poi sempre in gesti e pose minime ma universali: uno sputo per terra, sguardi dolcissimi, coltello nello stivale e sigarette fumate con la schiena appoggiata al muro sotto un lampione. Forse è romanticismo pulp. Forse rock’n’troll rebelz. Giovani sempre poco allineati.

Alle grandi sagome incollate ai muri si contrappongono spazi più intimi “c’è una stanzetta con dei bagni e lì vengono esposti i quadri più piccoli su un fondo rosso, ci staranno al massimo una o due persone per volta, poi come un corridoio fatto di palloncini giganti a pois, delle rielaborazioni di copertine di pulp novel di quegli anni lì…e poi c’è un cubo nero in cui ho messo dei quadri retroilluminati con una musichetta.”
Quale musichetta? “Ma non so avevo sentito questo pezzo che faceva – I’m sorry, oh so sorry… (la volenterosa giornalista inizia una ricerca che sembra portare a ‘I’m sorry di Brenda Lee, ma non si ha conferma. NDR) A ripensarci in effetti poi è venuto tutto da lì. E poi ci ho messo altri suoni, rumori ambientali, di giostre, di fiere, di strade. Tutto un mondo di esterni però caldi, affascinanti. Non spaventosi o stranianti.
Per una volta si molla il club e la notte la si passa outside.

La mostra è visitabile fino al 13 maggio quando è aperto il Plastic