Da circa 30 anni nello statuto del Comune di Bologna esiste uno strumento che consente alle cittadine e ai cittadini di proporre una delibera al Consiglio Comunale: la delibera di iniziativa popolare. Nella pratica raccogliendo 2000 firme è possibile obbligare il Consiglio a decidere in merito a una proposta “dal basso”. Un ottimo strumento di partecipazione diretta che però non è mai stato utilizzato. Fino a ieri, quando il collettivo D(i)ritti alla città ha depositato una propria proposta alla segreteria generale.
Ma partiamo dal principio: D(i)ritti alla città è una rete di persone, attiviste e attivisti che da tempo si occupano del tema degli spazi pubblici riunitesi circa un anno fa dopo l’accordo del Comune con Cassa depositi e prestiti per la trasformazione di tre aree militari dismesse (le caserme Sani, Masini e Mazzoni). Ne è nato un manifesto che formula un’idea di città pubblica nella quale – in sintesi – le aree, gli edifici pubblici e il verde pubblico dovrebbero rimanere integralmente di proprietà pubblica e messi a disposizione della collettività, valorizzati fuori dalle logiche del mercato immobiliare e gestiti talvolta in maniera autonoma dai cittadini (riconoscendo quindi il valore dell’auto-organizzazione e autogestione).
I concetti espressi in quel manifesto sono diventati oggi una proposta di delibera.
«La proposta – racconta Mauro Boarelli – prevede di affrontare la questione dei beni pubblici dismessi nella sua integrità, quindi dal punto di vista patrimoniale, gestionale e urbanistico. Patrimoniale perché vogliamo rivendicare il fatto che i beni di proprietà pubblica devono rimanere pubblici e assegnati a funzioni pubbliche; gestionale perché diamo grande spazio alla questione e al riconoscimento del valore dell’autogestione e auto-organizzazione dei cittadini, affinché gli usi collettivi informali siano legittimati senza essere per forza formalizzati (vedi il caso Bancarotta SRL, ndr); urbanistico perché servono delle norme che vincolino il Comune a sviluppare queste aree in maniera integrata rispetto allo sviluppo di tutta la città».
Vogliamo che i beni dismessi (circa 500, tra cui 200 pubblici) – si legge – “vengano restituiti alla collettività e trasformati in spazi nei quali le cittadine e i cittadini possano soddisfare i propri bisogni: luoghi di socializzazione liberi dall’obbligo del consumo, spazi di produzione culturale indipendente, luoghi di studio e formazione, abitazioni pubbliche ad affitto parametrato al reddito, luoghi per lo sport popolare, per la medicina di comunità e la partecipazione attiva di persone in condizioni di fragilità, mercati contadini a vendita diretta, negozi di vicinato, laboratori artigianali”.
La segreteria generale del Comune ha 15 giorni per esprimersi sulla correttezza formale della proposta. Dopo il via libera ci sono tre mesi di tempo per raccogliere il minimo di 2000 firme. In quel caso il Consiglio Comunale avrebbe 90 giorni per votare il testo senza poterlo modificare.
Ovviamente poi la maggioranza avrà il potere di rigettarla, ma la delibera rappresenta comunque, nelle volontà dei promotori, “un modo mettere in discussione il modello con cui attualmente centinaia di edifici e spazi pubblici rimangono chiusi o vengono ceduti a enti privati”.
L’iniziativa verrà presentata pubblicamente mercoledì 15 giugno ore 18.00 in Piazzetta del Nettuno con “una performance dove a parlare saranno gli spazi e la protagonista che li anima: la cittadinanza”.