Ad could not be loaded.

I musei del design: avamposti di sperimentazione

Arriva preparato alla designweek

Scritto da Elisabetta Donati De Conti il 11 agosto 2021
Aggiornato il 1 settembre 2021

XIII Triennale di Milano, 1964

Ho preso la febbre da museo del design appena sono arrivata a Milano, nel 2008, per fare un giro per la città prima di decidere se iscrivermi all’università – alla facoltà di design. Sono andata in Triennale, ho comprato un quadernetto e mi sono segnata tutte le cose che mi sembravano interessanti: raccontavano storie incredibilmente intriganti, a proposito di oggetti apparentemente banali.
La febbre da museo più in generale, invece, mi era venuta molto prima, da bambina, soprattutto per quella categoria di musei “scientifici”: musei della tecnica, di storia naturale, archivi della medicina e via dicendo. Erano luoghi in cui potevo imparare in modo esperienziale – schiacciavo pulsanti, agitavo vetrini, alzavo sportellini e provavo con mano quello che veniva spiegato.

“Luoghi vitali e vibranti che si innestano nel tessuto della città rendendolo più fertile e fruttifero.”

È stato solo più avanti, da adulta – alla facoltà di design si studia anche museologia -, che ho capito che i musei sono macchine complesse e delicate. Luoghi in cui lavorano e dialogano professionalità molto diverse, per mettere a disposizione di cittadini e visitatori la migliore versione possibile del racconto che racchiudono. Sono spazi pubblici, vetrine e piazze della città stessa. Luoghi vitali e vibranti che si innestano nel tessuto della città rendendolo più fertile e fruttifero. Ci sembra che esistano da sempre, come le biblioteche, ma in realtà il primo in Europa fu il Louvre, figlio della rivoluzione del popolo francese armato fino ai denti, che voleva che la cultura diventasse di tutti. Le collezioni dei musei sono infatti un bene pubblico di cui siamo tutti proprietari e, per il primo secolo e mezzo, andare al museo era una forma di pre-televisione: ci si diverte e si imparano le “storie delle cose”.

Sono come dei pori dai quali la città trasuda la sua cultura e, se Milano è la città del design, un grande ruolo nella narrazione di questo suo aspetto è affidato ai musei, che raccontano la cultura milanese legata al mondo del progettazione. Dopotutto il design italiano è nato proprio qui, in Lombardia, ed è qui che continua a essere conservato e studiato.

A Milano, per decenni, la sperimentazione nel design è stata sfrenata, generando una grande quantità di materiali di studio e ricerca: schizzi, tavole tecniche, prototipi e racconti delle persone che hanno contribuito a far diventare la città il fulcro della progettazione industriale. Quello che rende il design così affascinante è che permette di fare esperienza concreta delle cose che ancora non esistono ma che qualcuno immagina e progetta. L’oggetto finito però non è altro che il punto di arrivo del design, l’ultimissimo tassello di un lungo processo fatto di intuizioni, idee folgoranti, ma anche di notti insonni passate al tecnigrafo, innumerevoli tentativi e fallimenti clamorosi. Ogni oggetto ha dunque una genesi molto specifica, unica, impossibile da scoprire se non con l’aiuto di qualcuno capace di selezionare e tradurre le storie –  storie che all’interno del museo diventano disponibili a tutti.

La storia del design non è però così semplice da inquadrare: prima di tutto perché è difficile definire cosa sia il design, si va dalle automobili alla segnaletica della metropolitana, dai divani alle mollette per il bucato, passando per elettrodomestici, tessuti e persino interfacce digitali e nuovi materiali. E, in secondo luogo, perché è difficile costruire una catalogazione e storicizzazione di tutto questo mix.

Una finestra su questo pot-pourri di mondi, oggetti e competenze, la aprono a Milano archivi, fondazioni private, gallerie, e due tra le più grandi istituzioni dedicate al design: il neonato museo dell’ADI (l’Associazione per il Disegno Industriale che premia i progetti migliori con il Compasso d’Oro) che raccoglie i capisaldi del saper fare e del saper progettare con una vocazione quasi archivistica, e Triennale Milano che, invece, accoglie da sempre provocazioni dirompenti a servizio del dibattito pubblico. Fin dalle sue prime edizioni (nel 1923 a Monza e dal 1933 in poi a parco Sempione) la Triennale è stata una molla di cambiamento fondamentale nella città: nel parco si costruivano grandi padiglioni per mostrare le innovazioni in termini di case, condomini, ponti, infrastrutture, mentre al suo interno si tenevano esposizioni, convegni e rassegne che vedevano gli architetti infervorarsi sui temi più all’avanguardia.

E così, mentre il museo conquistava i cuori dei milanesi (e il mio) con sperimentazioni ardite – come la seggiovia del parco nel 1951 o lo skatepark all’interno nel 2019, solo per citare due esempi distanti nel tempo ma che hanno portato allo stesso modo nuovi avventori nell’istituzione – la Triennale ha raccolto oggetti, dato forma ad un suo archivio e ospitato mostre monografiche sui grandi, grandissimi designer, che oggi sono delle vere e proprie icone. Raccontando le loro storie, quelle dei tempi in cui ogni idea si trasformava in invenzione, e ogni progetto in oggetto.

I luoghi del design per sapere tutto di tutto:

ADI Design Museum
Triennale Milano
Archivio Giovanni Sacchi
Fondazione Franco Albini
Studio Museo Achille Castiglioni
Fondazione Studio Museo Vico Magistretti
Kartell Museo