Questa è una storia vera e ben condita, con nomi puntati e storie bizzarre. L’ambientazione è Via Tabacchi, uno degli spot tra i Navigli che esprimono con evidenza quell’aria popolare, di vicinato, dove il carrozziere chiacchiera con il barista, il barista con il poliziotto, il marmista con il fotografo, il musicista con la signora imbellettata e il suo cane con il piccione a bordo strada, e tutto in un paio di metri.
La storia, come da manuale, ha il suo personaggio: il Signor E., che chiameremo così un po’ per la buona pratica del segreto di fonte e un po’ perché ci piace contrarre i nomi tipo il Signor G., è un personaggio. Come certamente saprete, con “personaggio” s’indicano due cose: le figure delle narrazioni, dal teatro al romanzo alla sceneggiatura filmica, e poi i personaggi di strada, di paese, della vita di tutti i giorni, quelle figure che a pensarci bene starebbero meglio al teatro anziché per strada. E questo non perché siano chissà quali fenomeni grondanti talento, ma proprio perché la loro capacità d’ingaggio, suggestione, per non dire poi le loro storie, unitamente a un loro modo tutto bizzarro di recitar sé stessi in tutte le salse, sono semplicemente memorabili. Sanno toccare e coinvolgere, anche se spesso – e lo saprete di certo tutti, poiché tutti hanno i loro personaggi – parliamo letteralmente di qualcuno che mette le pezze agli altri. Diciamocelo: il personaggio è una figura incredibile, lascia segni nelle memorie e ne porta con sé così tante che puntualmente tendono a confondersi in quella media blanda di 10-15 racconti che vi srotolano appena vi vedono, e c’è quello carico, quello pomposo, quello romantico, quello sbronzo, quello rovinato, ma ecco, la realtà che volevamo dirci è che in fondo come ogni spettacolo ci si augura che non duri mai troppo. Non perché brutto, ma proprio perché le pezze a una certa si fanno intollerabili.
Insomma, il buon Signor E. può tirarvi le pezze. Vi abbiamo avvisato, e se ve lo stiamo dicendo è perché ne vale la pena. Come quando gli venne in visione Papa Giovanni XXIII, dicendogli una serie di cose, del tipo «Signor E., mi spiace proprio dirtelo ma sei nato in un posto di peccatori. Un posto di merda». Così, schietto come solo i santi possono essere.
Fattovi un preambolo come solo Zero ve li fa, vi diciamo da subito che se parliamo del Signor E. è perché attraverso una sua giornata, i suoi atti, possiamo raccontarvi uno degli aspetti che sopravvivono ai mutamenti del tempo, e no, non stiamo parlando della vecchiaia, seppur il Signor E. si presenti come un signore di una certa età, sulla settantina, brizzolato e con quei capelli voluminosi e sottili che solo i vecchi che hanno passato inviolati gli anni d’oro e di merda possono permettersi di portare. Qua stiamo parlando di una figura, di un personaggio, che è tutto e niente, uno nessuno e centomila – per citare a sproposito ma con coerenza –, che necessita di essere raccontato per scene e personaggi.
Il Signor E., è innanzitutto marmista. Artigiano della punta secca sui marmi rosati, che sono quelli duri, altro che marmo di Carrara, altro che le pietre del Duomo, quella roba è pastafrolla, il marmo rosa se lo incidi a mano, e il Signor E. lo fa a mano, non te lo scordi più dice, e quella è una strategia d’apprendimento importante: partire dal complesso, dal duro, e lasciarsi l’opportunità di lanciare una bestemmia quando sbagli, ma anche sapere che poi il marmo bianco lo incidi come pastafrolla. Insomma, è un lavoro che si è portato avanti negli anni, per cui ha girato mezza Italia, facendo un pavimento qua, una meridiana là, una piazza pubblica da un’altra parte.
E il Signor E. è ovviamente un’artista, un’artista vero, a cui si può sindacare poco e un cazzo. Ve lo diciamo noi, che ne abbiamo visti e vissuti tanti, e che sappiamo bene che solo nel rapporto di prossimità, amicale, si riconoscono quelli veri, quelli genuini, quelli per cui è immediato quell’ostico rapporto tra arte e vita che da più di due secoli a questa parte occupa un bello spazio nel dibattito dell’arte, e insomma, il Signor E., l’artista, rappresenta schematicamente due soggetti prediletti: le donne nude e il volto del Cristo. E quest’ultimo lo fa talmente bene, che quando Giovanni gli venne in visione gli confessò che solo lui e un altro tizio erano riusciti davvero a compiere il miracolo della Sindone, il ritratto esatto del buon Gesù. A fianco del santo il Signor E., mette le Maddalene della sua vita: signorine cavate dalla memoria dei vecchi amori si confondono con le centinaia di passanti che ogni giorno gli scorrono davanti nel quartiere Navigli, s’identificano l’una con l’altra e s’incidono nel marmo solo dopo aver passato il vaglio della sua memoria. Seni tondi e minuti come arance, come trottole, pose pudiche sicuramente ispirate dalla Grande Odalisca di Inés, eternizzate da un solco di punta secca colmato da mastice colorato d’ossido e lucidato a specchio.
Il Signor E. è anche un signore all’insegna dell’inclusività: quale nonno andrebbe mai a farsi dipingere le unghie dalla manicure di quartiere?
Ma il Signor E. è anche un signore all’insegna dell’inclusività, perché quale nonno, badate che di questo stiamo parlando, amici, di un nonno che somiglia sempre più ai Navigli, ecco quale nonno andrebbe mai a farsi dipingere le unghie dalla manicure di quartiere? Si racconta che si mosse quatto quatto, cercando di coprirsi il viso e il capello voluminoso con il colletto della giacca, perché al Signor E. piacciono le donne, e sai che vergogna per un uomo della sua età, lavoratore, marmista, artista, con un passato da vetraio in aziende-fornaci di via Toscana chiamate con l’animoso nomignolo di INFERNO, insomma, sai che imbarazzo, pensa il Signor E., farsi vedere dalle signorine con le unghie viola? Eppure ci va, giusto per capire cosa può provare un signore a dipingersi le unghie, toccando il sacro assunto di una vita serena e poco affetta dai giudizi degli altri.
Inoltre, il Signor E., sapeva anni or sono tutta una serie di cose che oggi rientrano nel senso comune, ma l’altro ieri ti prendevano per stronzo. Tipo la biodinamica o l’alimentazione vegetariana con picchi di crudismo, perché «La natura non sbaglia niente, e tu devi mangiare quello che ti offre, dal basso all’alto e mescolare tutto, perché se mangi solo patate e cipolle, insomma, non va bene», il tutto all’insegna di un classico geriatrico: «Perché la salute è importante!» ti dice, mentre si accende la terza sigaretta con un colpo di tosse, di quelli rauchi, di quelli che hanno dentro gli anni scanditi da pacchetti. Non è nemmeno raro poi vederlo benvestito, da signorotto, da borghesia. Quella vera, reale, quella che si è fatta da sé con anni e anni di fatica, quella che adesso è diventata costume e che si vede sono nei film o nelle serie.
Se la ricapitoliamo, il Signor E. è marmista, artista, visionario e profetico, transgender e donnaiolo, lavoratore healty ma anche fumatore della buon’ora. Il Signor E. è una specie di custode, uno spirito tutelare, che abbiamo beccato davvero per caso, un personaggio che a una certa ha fatto il suo ingresso da palcoscenico, uno di quelli che tra le rughe e le pezze di una giornata a caso, a prendere il caffè da Sonia e Paola, lo trovi sorseggiando uno Strega con ghiaccio – che «fa male» ti dice, «gli unici superalcolici che si possono bere e non fanno male sono i distillati, sono puri» – ed è capace di raccontarti storie che, alle orecchie buone e pazienti, compongono un romanzo di decenni ambientato sui Navigli. Come se il personaggio del Signor E. fosse già i Navigli, catturati negli occhi color ghiaccio e nelle labbra contratte, nelle figure femminili, nel marmo, nelle storie dei lavori di fatica che prima pagavano di più e adesso non hanno la dignità che meritano, nelle visioni mistiche del Papa che benedice la salute con un cicinin di Strega.