Grazie a stornelli da esportazione, il vino prodotto nei Castelli che circondano Roma è uno dei più conosciuti a livello nazionale. Andando più a fondo, però, si scopre che in pochi conoscono la sua storia o le sue caratteristiche – i vitigni da cui proviene, ad esempio. Per colmare questa lacuna abbiamo deciso di fare due chiacchiere con Silvia Brannetti della Riserva della Cascina, azienda vinicola a conduzione familiare i cui terreni sono sull’Appia Antica e sono nel comune di Roma, a soli 16 km dal Campidoglio. La scelta di contattare l’azienda Riserva della Cascina non è stata casuale: la loro volontà di puntare sul biologico racconta perfettamente il tentativo di un intero territorio, attraverso la valorizzazione dei propri prodotti e il rispetto della terra in cui si lavora, di cancellare un passato dove la quantità ha prevalso quasi brutalmente sulla qualità.
Storicamente Roma è una zona di vini bianchi. Parliamo di Roma, ma per Roma si intendono i Castelli Romani: il vigneto di Roma è in quella zona fin da tempi antichissimi. Il nostro vigneto si trova in una parte per lo più pianeggiante e, per fortuna, molto ventilata. Il suolo è di basalto perché deriva da una colata vulcanica: tutti i terreni dei Castelli giacciono su vecchie colate simili. Il terreno, quindi, è molto ricco, molto fertile e permeabile, l’acqua non ristagna e questo garantisce anche che non ci sia troppa umidità. Parliamo quindi di una zona vocata e che si presta da sempre alla viticoltura. Noi abbiamo soprattutto vigneti a bacca bianca, che è la richiesta più antica del mercato di Roma. D’altra parte, i vini italiani più famosi sono rossi e negli ultimi anni si è parlato sempre più spesso di vino rosso che, ad esempio, si è scoperto avere proprietà positive per la circolazione. In generale, c’è più richiesta e attenzione mediatica, per cui abbiamo deciso di iniziarlo a lavorare.
Nei vitigni a bacca rossa non c’è nulla di tipico rispetto alla zona di Roma, qui i vitigni a bacca rossa più datati sono di Sangiovese o Montepulciano. Il Cesanese, vitigno laziale, lo hanno tolto tutti perché le zone migliori dove lavorarlo sono altrove, a Piglio o ad Affile ad esempio. Quando non hai qualcosa di autoctono devi aprirti a quello che ti chiede il mercato, per cui abbiamo puntato su vitigni internazionali come il Cabernet, il Syrah o il Merlot. Sui bianchi, invece, abbiamo solo vitigni autoctoni, quindi vitigni storicamente presenti nella zona di Roma/Castelli: la Malvasia del Lazio, la Malvasia Rossa, un po’ meno pregiata e più neutra, quindi adatta per vini non fortemente aromatici, ma comunque piacevoli; poi abbiamo il Trebbiano. Si tratta di vigneti che storicamente venivano oltremodo sfruttati, a cui veniva fatta produrre una quantità eccessiva di uva, quindi vini dai gradi bassissimi e dal sapore povero. Quando la vigna produce troppi grappoli – e questo dipende da quanto tu la poti – succede che questi si vanno a dividere gli zuccheri che la pianta produce, quindi si perde in gradazione alcolica, ma anche in sapore, in qualità del prodotto. Meno grappoli produci meglio è, ovviamente senza andare a produrre meno della soglia di guadagno. I Castelli, purtroppo, hanno una nomea negativa legata al passato, a una produzione esagerata in quantità che andava a ledere la qualità. Noi ci siamo staccati da tempo da questo modo di produrre, cercando di lavorare per una qualità sempre crescente
L’azienda è da sempre biologica, anche mio nonno non usava concimi, pesticidi o fertilizzanti. Questo perché beveva lui per primo il vino che produceva. Ci siamo ritrovati direttamente nel biologico: non abbiamo dovuto modificare niente, né nella vigna, né nella cantina. Io e mio padre ci siamo trovati d’accordo nel mantenere questa linea, perché siamo fortemente contrari allo sfruttamento sempre crescente del nostro Pianeta. Il biologico, oltretutto, è un qualcosa che prescinde le mode: è una certificazione che rimane al di là di tutto, nonché un modo di coltivare la Terra con rispetto e di avere a cuore la salute dei consumatori. Di certo, ad esempio, con il biologico non avrai mal di testa, non avrai effetti e reazioni indesiderate dovute alle solforose alte. Imporsi sul mercato è comunque faticoso: la nomea dei vini del Lazio è difficile da sfatare e non so se il biologico basterà da solo per eliminarla, sicuramente aiuta perchè dà un’idea di persone che si impegnano, di una zona che sta reinvestendo, che tiene al proprio lavoro. Un po’ bisognerebbe investire anche nel marketing, come ad esempio hanno fatto le Marche. Pubblicizzando bene un prodotto quantomeno fai incuriosire la gente che non lo conosce. Poi io la penso così: se tu fai un prodotto di qualità prima o poi viene fuori, a prescindere dalla pubblicità e dal marketing. Le persone lo capiscono quando un prodotto è di qualità, c’è il passaparola. La chiave è fare prodotti di qualità. Oltretutto, i vini del Lazio hanno anche un rapporto qualità/prezzo molto buono, motivo in più per provarli e lasciarsi sorprendere.
La parte principale della nostra vigna, 18 ettari, è sull’Appia Antica, altri 6 ettari sono a Falcognana, sull’Ardeatina, quindi siamo più o meno nella stessa zona. Noi abbiamo pochi vini. Gli imbottigliati sono due bianchi e due rossi, poi facciamo anche uno spumante metodo classico. Il IX Miglio Bianco lo abbiamo chiamato così perché noi siamo al nono miglio dell’Appia. È composto da Malvasia e Trebbiano. È un vino molto piacevole, da antipasto o da pesce, semplice, giovane, un vino che ne bevi una bottiglia e non te ne accorgi, anche se ha una sua gradazione. Poi c’è Gallieno, chiamato così perché noi siamo vicino al Mausoleo di Gallieno. Qui abbiamo Malvasia Puntinata in purezza: è un vino più strutturato – visto che la malvasia è molto aromatica e ha profumi più complessi – e con un gusto più evoluto. Un vino più da intenditore. Il GAIVS è lo spumante: viene da uve Bombino bianco in purezza. In passato il Bombino era un vitigno bianco che veniva fatto produrre tantissimo e quindi non valeva niente, invece, se lo fai produrre poco e lo raccogli in anticipo, puoi ricavarci una bella base spumante. È un metodo classico, quindi la rifermentazione avviene in bottiglia, come per il metodo champenoise dello champagne. Gli facciamo fare almeno 36 mesi di affinamento in bottiglia, quindi c’è un bel lavoro dietro. Anche i rossi sono due: il IX Miglio Rosso, con uve Merlot, Sangiovese, Montepulciano: un blend di vitigni molto piacevole, che si abbina alle carne; poi c’è il Costa di Basalto, un vino Syrah 100% molto fruttato, con profumi intensi, più vellutato, strutturato ed elegante. Facciamo anche una grappa: diamo le vinacce a un distillatore molto bravo che si chiama Marco De Marco e ha una distilleria sulla Flaminia con bei prodotti. L’ho conosciuto e abbiamo iniziato a collaborare. È una grappa bianca, semplice, si beve anche con il ghiaccio e non ha una gradazione molto alta. A lui diamo le vinacce migliori, piene di vino, non dopo ma prima della pressatura.