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#instagnam: il lato social del food

Due imprenditori aprono un sushi bar dove si paga in base ai follower. Black Mirror o realtà?

Scritto da Martina Di Iorio il 11 ottobre 2018
Aggiornato il 24 ottobre 2018

Quando inventarono il filone letterario e cinematografico della fantascienza nessuno pensava che quella realtà invece sarebbe stata così vicina. “Ho visto cose che vuoi umani non potreste mai immaginare”, recitava il monologo più famoso del pianeta terra, scena finale epica nella pioggia battente di Blade Runner. Ma mentre Ridley Scott, partendo dal bestseller Do Androids Dream of Electric Sheep? di Philip K. Dick, disegnava uno scenario distopico e postapocalittico, alla maniera di Kubrick con 2001: Odissea nello spazio, nessuno di fronte a macchine che sostituivano gli uomini e pensavano alla maniera degli uomini sembrava prestarci granché attenzione. Una folle reductio ad absurdum, che trova il suo seguito anche oggi nella fortunata serie tv della Endemol Black Mirror, che indaga con provocazione sugli sviluppi delle moderne tecnologie in campo media. Ricordate la puntata in cui si giudicano le persone attraverso i like che ricevono sui social? Follia per alcuni, ma così vicina alla realtà di oggi.

Queste considerazioni ci vengono spontanee dopo aver appreso la notizia che a Milano, forse prendendo spunto, o forse no, hanno aperto il primo ristorante dove si paga il conto in base ai follower che si hanno su Instagram. Dagli ideatori del format This is not a sushi bar, locale specializzato soprattutto in delivery e take away, potete mangiare gratis se mostrate il vostro seguito sulla nota piattaforma nel loro nuovo ristorante in via Lazzaro Papi 6 (Porta Romana). Funziona così: ordinate, postate la foto del piatto sul vostro feed e taggate il locale. Se avete tra i 1000 e i 5 mila follower avrete un altro piatto gratis, tra i 5 e i 10 mila due piatti, tra i 10 e i 50 mila quattro piatti, fino a mangiare gratis se avete più di 100 mila follower. Questa idea secondo i due fratelli padovani, Matteo e Tommaso Pittarello, ideatori del brand, aiuta a fare pubblicità e ad aumentare la presenza di clienti nel locale che ad ora ha un business creato quasi esclusivamente sul delivery e take away.

Geni del marketing? Boiata pazzesca? Fatto che sta che forse Black Mirror non viaggiava troppo con la fantasia. In un mercato che cambia radicalmente le sue regole spostando sempre di più il baricentro su modelli comunicativi virtuali, i social e relativo seguito diventano vera moneta di scambio. Il demogorgone 4.0 entra sempre più in scivolata nella realtà, che lo vogliamo o no, costringendo tutti noi – imprenditori o meno – a riscrivere o assoggettarci alle regole del mercato. E questo viene avvertito nel settore food in maniera sensibile. Un’indagine Doxa, infatti, per conto di Groupon ha analizzato l’influenza che social media e online esercitano sul mondo food.

Si legge: “La ricerca conferma che 7 italiani su 10 sono dei veri social-addicted e amano postare foto scattate al ristorante, per condividere un’esperienza personale che passa attraverso il gusto. La top 3 dei soggetti preferiti vede al primo posto i piatti appena usciti dalla cucina: il 51% degli italiani sa infatti resistere alla tentazione di assaggiare subito le gustose portate, giusto il tempo di scattare una foto. Seguono i classici selfie dei commensali riuniti intorno al tavolo (28%) e scatti degli interni del ristorante (21%), per far sapere ad amici e colleghi dove abbiamo scelto di passare la nostra serata.”
Anche le prenotazioni cambiano in maniera radicale: le prenotazioni online o tramite app crescono del 7% rispetto al 2017 e internet si conferma inoltre un’utilissima fonte di informazioni per scovare nuovi locali in città e sperimentare nuovi sapori: il 60% degli italiani dichiara di consultare siti di recensioni e couponing per lasciarsi ispirare dalle ultime novità.

Non sembra dunque forse così folle l’idea dei due imprenditori padovani, alla luce di questi dati. Ma alcune domande continuiamo a farcele. Se la tavola è il momento in cui si gode assaggiando, annusando e condividendo il piacere dello stare insieme – cosa in cui noi italiani siamo stati sempre formidabili – da questi scenari di sicuro si indebolisce l’esperienza umana, che ne esce sminuita e maltrattata. Si appiattiscono le differenze culturali, ci conformiamo al gusto globale, ordiniamo le stesse cose, ci comportiamo in maniera standardizzata. E consapevoli, complici, comunque inermi e impassibili, assistiamo attivamente alla liquefazione della nostra società, senza scomodare Zygmunt Bauman. Poveri i nostri imprenditori social che abbiamo tirato in mezzo perché piccolo esempio di una direzione ben più ampia sotto gli occhi di tutti. Dove andrà dunque a finire questa società digitale del consumo? Il futuro fa schifo? Giudicate voi.

“E mentre tutto andava a rotoli, nessuno ci faceva granché caso.”
Talking Heads, (Nothing but) Flowers