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La Biennale senza Festa dell’Unità

Qualcuno doveva dirlo: lo sapete quanto amiamo farci carico di certe responsabilità

Scritto da Annika Pettini il 22 aprile 2022

Foto di Riccardo Marchiori

Partiamo da qui: prima o poi ci andremo tutti.
E non parlo dell’inferno ma della Biennale d’Arte di Venezia, che forse è anche peggio.
Attesa come non mai, in molti hanno già intrapreso il loro cammino di avanscoperta mentre altri, ovviamente meno eletti, entreranno dopo che altri occhi e altre mani avranno infranto il velo della meraviglia.
Sarà che non la vediamo da più di due anni e che nel frattempo sono successe tante cose, ma questa Biennale ha qualcosa di diverso, la sua aurea gigante si è inserita tra le calli della città invadendo ogni cosa, ogni angolo tornato alla calma e al silenzio. È andata a risvegliare i fantasmi assopiti del turismo, vero sostentamento di Venezia ma non per questo nutrimento reale della stessa.
Anziché ripensare un modello più accogliente e sostenibile (termini ampi e vaghi, che avrebbero bisogno di essere riempiti di praticità), l’arte sembra essersi raccontata una bella bugia e di essere giunta a gamba tesissima in Laguna. Molti edifici sono stati “ripresi”, “restaurati”, riaperti” o “rieducati” ma niente è stato risparmiato. Ogni davanzale è un’ottima scusa per una mostra, un evento o una festa apparentemente molto esclusiva, che ovviamente ti fanno sapere che ci sarà ma non ti dicono né dove né quando e se te lo dicono di certo non ti invitano, poi strainvitano tutti. Tu non sei gli altri. E pensare che una volta, questa me l’hanno raccontata, la Biennale si chiudeva con la Festa dell’Unità e quello sì che era da strapparsi i capelli, perdere la voce nell’urlare ideali e sbavarsi addosso vino di ogni colore e qualità. Insomma, empatia non pervenuta anche se i temi sembrano i più aperti e contemporanei di sempre.
Sia chiaro, sarà tutto molto bello. Ci saranno artist* bravissimi, opere mai viste, ricerche profonde, allestimenti pazzeschi, feste da urlo e molte chiacchiere. Però c’è qualcosa nel presentarsi che le sta venendo male, a lei e, soprattutto, di conseguenza e inevitabilmente, al mondo dell’arte. Triste sciagura di un settore magnifico.
È come se la Biennale si fosse immaginata sofisticata e puntuale, una proiezione di sé stessa del secolo scorso, frizzante e spumosa giovane con colori sgargianti, vintage ma sempre attuale. E invece all’orizzonte si scorge una figura pop-vintage, forse patinata, molto ritoccata, una nave di turisti pronti a scendere per un giorno. E la rosa di avventurieri che si destreggiano tra i gironi del lavoro culturale, sgomitano agitati e impauriti per domare o scappare dalle fiamme di questo inferno (non lo sanno neanche loro).
Abbiamo accelerato, inchiodato e ora fuso la frizione nella ripartenza. Ripartiamo da dove eravamo ma lo facciamo con sentimenti confusi.