La prima cosa a colpire è il profumo. Appena si apre la porta e si scendono le scale del nuovo RCCB Init si viene colpiti da quell’essenza che gli appassionati di musica e frequentatori di locali e sale prova conoscono bene. Un mix indefinibile tra legno, metallo, gli odori del bar, quello dell’elettricità a riposo dell’impianto. È pomeriggio, fuori c’è il sole e dentro le luci di servizio sono accese, ma sembra che la sala non aspetti altro che esplodere grazie a un accordo di chitarra, un colpo sul rullante, un basso vibrante, qualunque cosa. Un gigante dormiente, ecco cosa sembra.
Il vecchio Init era stato colpito da quell’ondata di chiusure capitoline che circa cinque/sei anni fa ha privato Roma di una serie di luoghi fondamentali per il suo tessuto musicale e culturale. Giampaolo Felici c’era allora e c’è anche oggi. Chiusure «per problemi loro» le definisce, in riferimento al comune di Roma chiaramente: «In questi anni l’Init è sopravvissuto nello spirito appoggiandosi ad altri luoghi, ma arrivare da esterni non è la stessa cosa. C’è bisogno di un posto fisico per coltivare qualcosa, soprattutto in termini di programmazione».
Eccoci quindi in zona Portonaccio, a metà strada tra Largo Preneste e l’inizio della preferenziale per gli autobus che ha mietuto tante vittime un paio di estati fa. Siamo in Via Domenico Cucchiari, in quella che in precedenza è stata una sala da biliardo, forse una bisca, poi chiusa e lasciata a marcire per almeno un decennio. «Quando siamo entrati era un incubo. Abbiamo lavorato per più di un anno per restaurare tutto. Una cosa però l’abbiamo tenuta: questo biliardo originale degli anni Settanta». Che effettivamente fa la sua bella figura a metà del locale e ne divide le due anime: il palco da un lato (con tanto di impianto del vecchio Init, uno dei migliori suoni in assoluto tra i locali romani) e il bar dall’altro; sarebbe una perfetta scenografia per i Blues Brothers per quanto sembra uscito di peso dagli Stati Uniti degli anni Settanta/Ottanta.
«Per ora stiamo facendo solo eventi one-shot, non aveva senso immaginare una programmazione estesa a fine aprile quando abbiamo effettivamente aperto i battenti». Eventi che però stanno dando la dimensione di ciò che si può e non si può fare – il club è incastonato tra palazzoni e attività commerciali – e che, soprattutto, certificano intatta quella che era una delle principali qualità dell’Init. «Il suono è eccezionale. Lo abbiamo provato sia con dj set che con band ed effettivamente è pazzesco. Tutto questo legno e il modo in cui è fatta la sala aiutano sicuramente».
Un ultimo giro per assorbire meglio il luogo e si torna in superficie. Giampaolo deve andare a stampare alcuni dei manifesti che campeggiavano al vecchio Init e, in particolare, ricoprivano la quasi totalità dei camerini. Raccontavano una storia di musica potente, indipendente, creativa, iniziata nei primissimi anni duemila e continuata fino alla sua brusca interruzione. L’RCCB Init ha nel dna quella storia lì e sarà bellissimo vedere come si insinuerà nuovamente nelle strette maglie romane.