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Quello che non sapevate: i nuovi professionisti dell’arte

Ecco alcune delle nuove figure professionali che solcano il panorama creativo

Scritto da Annika Pettini il 9 febbraio 2022
Aggiornato il 11 febbraio 2022

Giulia Poppi, Sffsssshh. Ph. Lorenzo Mariotti

Non saprei da che parte iniziare a raccontare i pregi e i difetti lavorativi di una carriera a Milano, perché è davvero un’amante stronzissima: ti fa godere un sacco e ti crea un sacco di sbatti, non è bella ma è affascinante, si fa lasciare senza problemi perché ha la certezza che prima o poi torniamo – tutti! È criptica ma ti premia per ogni conquista e, soprattutto, ti osserva con finto disinteresse, ti dà il tempo di divertirti e crescere e, se hai voglia di sbatterti e buttarti, ti da una possibilità. Questo non vuol dire che è un covo di storie a lieto fine, anzi le strade sono costellate di spugne gettate, ma se le acque iniziano a smuoversi, con o senza mare, è a Milano che si può notare.

E dico tutto questo perché in anni di lavoro nel settore delle arti e della cultura contemporanea, di cose ne sono cambiate parecchie. Da tempo ormai ha iniziato ad alzarsi un vociare di malcontento tra le nuove generazioni che non si sentono accolte nelle loro forme creative e sensibili. In un settore che per sua natura è opaco, respingente e amatoriale a causa dell’assenza di investimenti limpidi e di conseguenti strutture idonee a situazioni di lavoro efficienti, in molti hanno detto “grazie ma no” e si sono mossi, e si stanno muovendo, verso nuove visioni e nuovi modelli.

Situazioni che ibridano linguaggi concreti e linguaggi digitali con fluidità: un movimento caratterizzato dalla frammentazione delle realtà professionali, uno sbriciolamento dell’idea di “colosso” che include ogni professione, a favore di una rete di “agenzie” che offrono servizi e risultano più accessibili a seconda delle disponibilità e delle necessità di ciascuno. Il risultato più importante è che, con questi modelli, il sistema perde la sua struttura fortemente gerarchica e quindi inarrivabile, offrendo maggiori possibilità e andando a minare quel pastoso meccanismo di “amici”, a favore di una ecosistema di professionisti.

Per uscire dalle generalizzazioni ho scelto di raccontare alcune delle nuove figure professionali che si stanno affacciando su questo settore, grazie a una spiccata capacità di osservazione e analisi che porta molti “giovani” (scusate l’utilizzo di questa parola così terribilmente sfigurata e inflazionata negli ultimi anni) a individuare nuovi bisogni, sul piano sensibile e culturale e di generare risposte lavorative.

Ecco quindi alcune delle nuove professioni dell’arte che ne stanno attraversando e cambiando il paesaggio.

YET Art Agency

Tra queste abbiamo YET Art Agency, fondata da Elena Mussini (1994) e Delfina Grassi (1993). Arrivano da due percorsi diversi che però hanno un’anima complementare: arte e impresa, business e comunicazione. Più volte si sono incontrate nel loro percorso di formazione, Bologna, Londra, New York e Milano, fino a quando non hanno capito che era il momento di scegliersi e investire nella loro visione: attraverso le esperienze all’estero e all’analisi di tanti casi studio, si sono rese conto del bisogno degli artisti di realizzare lavori attraverso produzioni e la necessità delle aziende di valorizzare il loro ruolo sociale. Di prendere una posizione rispetto a esso, in canoni di sostenibilità e qualità del lavoro, e quindi di investire in nuovi linguaggi e in una comunicazione differente. Ecco lo spazio di azione in cui si inserisce YET.
La selezione di aziende e artisti è ampia e si nutre del progetto stesso, nessun meccanismo viene forzato e cercano di creare processi professionali che abbiano qualità e contenuto, dove ovviamente la ricerca dell’artista deve essere affine al progetto e viceversa.
Uno dei progetti più grandi che hanno realizzato è stato con Espressoh, il brand di cosmetici che sta spopolando per la sua sostenibilità e delicatezza di palette, per il quale hanno coinvolto le artiste Nicole Colombo e Nina Klein per la produzione di una mostra che univa i loro valori e quelli di Espressoh, senza andare a veicolare la creatività ma lasciandole libere di esprimersi ed esistere.

Ovviamente ciascuno di questi passaggi è delicato, perché le aziende non sempre comprendono i vantaggi e le ragioni di investire in arte e gli artisti stessi spesso hanno paura che il loro lavoro, in queste circostanze, possa uscirne svalutato. Ma queste sono le vere sfide: creare coraggio e qualità.

ULTRAVIOLETTO

Altro progetto che lavora in questa direzione è Ultravioletto di Sonia Belfiore (1991), curatrice e project developer. Ha una formazione come storica dell’arte contemporanea e project manager, grande ricercatrice di sound art, segue i progetti speciali di Artissima e ha scelto di investire tutto nei processi creativi. Impossibile darle torto quando parla dell’adrenalina che caratterizza le infinite potenzialità che si delineano in ogni alternativa e in ogni scelta che va dall’idea alla sua forma. Ultravioletto è nato dall’ascolto delle difficoltà di produzione che, come dicevamo, caratterizzano il settore dell’arte, e dalla voglia delle aziende di arricchire i diversi livelli di produzione al suo interno. Seguire e realizzare un progetto d’arte, infatti, ha spesso questa capacità di fidelizzare, di far appassionare i soggetti coinvolti e di accendere un comune denominatore: ci si sente visibili ma soprattutto compresi. Basti pensare che un progetto come Ultravioletto porta artisti emergenti italiani a fare residenze di produzione artistica presso aziende nostrane, legandosi in modo molto spontaneo ai materiali di produzione utilizzati o agli scarti che si generano. Dando valore a qualcosa che, apparentemente, non ne ha.

Ovviamente un grande ruolo nel mondo del lavoro, della ricerca e della produzione, lo ricopre il digitale e i linguaggi dei social media. La sua potenza di azione è ormai innegabile e dialogare con esso è necessario. In ogni sfumatura della nostra vita (quotidiana) ormai hanno un ruolo e, di conseguenza, l’arte non si sottrae.

Artoday

Artoday è uno dei progetti digitali (e non solo) più longevi e precursori in questo ramo del panorama artistico. Fondato da Federico Montagna (1995) e Alessia Romano (1995) nel 2017, porta avanti da anni una piattaforma di curatela digitale che intreccia il lavoro degli artisti con una ricerca e una restituzione di contenuti pensati appositamente per le piattaforme online. Questo passaggio è fondamentale perché riconosce che è necessaria una traduzione diversa: non basta mettere le cose online ma bisogna capire i linguaggi necessari per farlo e per rispettare la natura del mezzo e quella del contenuto. Artoday hanno esattamente fatto questo: hanno attraversato di persona studi, mostre e ricerche, creando un’ampia mappatura delle sperimentazioni artistiche in corso in questo nostro presente, e hanno restituito il tutto attraverso Instagram e internet, video, foto, interviste, format digitali studiati con cura e che si stanno aprendo anche a nuovi approcci di arte digitale.

MICRO_MOSSO

Micro_Mosso è un progetto fondato nel 2021 da Giulia Zompa (1994), dottoranda e ricercatrice in storia dell’arte contemporanea alla Statale di Milano, con una visione molto chiara dell’idea di inclusività. L’incipit alla base è molto semplice: il mondo dell’arte non esiste nel mondo. Ed è una cosa verissima. Non ha punti di contatto con la realtà, è autoreferenziale e ogni apertura viene spesso vista – dall’interno – come “cheap”. Quindi Giulia ha scelto di spostare una piccola pedina. Il suo Micro Mosso non esiste per rivoluzionare il sistema con voce grossa, ma per generare piccole scosse, spostamenti verso tutto quel pubblico (ovvero quasi tutti) che si sentono intimoriti o inadatti verso l’arte perché respinti, sia come fruitori che come potenziali supporter e investitori.
Da essere composto da una sola persona, Micro_Mosso è passato a essere un grande team (lo devo dire, tutto al femminile) che si è messo a disposizione della causa e che lavora per rendere la produzione artistica e culturale contemporanea emergente accessibile e fruibile. Attraverso il sito e i social infatti si possono ascoltare consigli, lezioni, ci si può iscrivere per andare a vedere mostre guidate con il team di Micro_Mosso, entrando in una situazione in cui si possono fare domande senza essere sminuiti e, soprattutto, ci si può approcciare al collezionismo. Infatti, uno dei punti forti del progetto sono le Capsule Collection: ovvero piccole tirature di opere prodotte e realizzate con artisti contemporanei, così da poter essere inserite sul mercato con prezzi estremamente accessibili e con un bel percorso di affiancamento rispetto alla storia di chi, come e perché, si sta acquistando.

Etantebellecose

Una delle caratteristiche dei social media è la leggerezza dei contenuti che veicolano: per quanto Instagram sia diventato molto usato dal sistema dell’arte come strumento di autonarrazione, rimane sicuramente una cosa di nicchia (da pochi like e follower per intenderci) e TikTok poi non include minimamente la tipologia di linguaggio che contraddistingue il settore. Ed è proprio in questo che Noemi Tarantini (1989) – aka etantebellecose – apre e sviluppa la sua pagina come tiktoker dedicata ad arte e moda. Una ricerca di linguaggio e contenuti, la sua, che è durata anni, che nasce dalla sua professione di social media manager e che si lega alla sua formazione in archeologia prima e economia e management dei beni culturali dopo. Il suo ruolo sul social non è solo di intrattenimento spontaneo ma anche di generare una community che si sentisse a proprio agio a fare domande sull’arte, sulla moda e sulla possibilità di crescere e investire nella propria creatività. E questo, ancora una volta, è un forte segnale di apertura da parte di un sistema conosciuto e riconosciuto per la sua natura respingente e incomprensibile. Attraverso i suoi video, le mostre che racconta, i pezzi di storia e di contemporaneo che unisce, Noemi è riuscita a creare una piccola “enciclopedia 2.0” che viene regolarmente solcata e fruita da tutta una fascia di nuova generazione che si sente estremamente a suo agio con il media utilizzato.

Reasoned Art

Di loro – di Reasoned Art – avete sicuramente sentito parlare e, se così non fosse, li incontrerete presto ovunque. Dietro questo plurale ci sono Giulio Bozzo (1997), la mente che ha captato questa visione e Andrea Marec (1996), che si è unito per la parte di business. Entrati a gamba tesissima nel discorso dell’arte digitale certificata e venduta tramite la tecnologia blockchain e NFTs, hanno capito la potenzialità di investimento da un lato e di diffusione dall’altra. Hanno scelto l’Italia (Milano) perché c’è bisogno di fare ordine in questa confusione di termini, ruoli e visioni che gravita intorno all’arte digitale. Si inseriscono nel tessuto cittadino, con interventi sui monumenti e nelle stazioni dei treni, come anche mostre più in accezione classica. Per avvicinare questo mondo ai meccanismi del sistema dell’arte e inserire alcuni dei valori importanti che porta come la curatela, la ricerca, la selezione dei contenuti in base a qualità e messaggio. Per arrivare anche un’educazione reciproca dei due linguaggi e dei sistemi, così da poter includere collezionisti, curatori e artisti che conoscono e veicolano il ruolo dell’arte nella società.

Non è sempre questione di lotta, di andare contro tutto e tutti, perché cambiare le cose vuol dire fare e aprire possibilità di movimento e azione nutrendosi di quello che esiste, e modellandosi sulla base di ciò di c’è bisogno.