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Reportage: È successo a Live Wine 2015

In questo reportage non si parlerà di vini alla sommelier (anche perché non lo sono), di sentori di cannella e di ossidazioni, ma si cercherà di raccontare l'esperienza Live Wine come l'ho vissuta

Scritto da Simone Muzza il 24 febbraio 2015
Aggiornato il 1 agosto 2016

Il tram 27 è un vecchio 4900 arancione. Scendo alla fermata viale Corsica/via Lomellina, non prima di aver ripreso una quindicenne che si accende una sigaretta dopo aver tirato giù il finestrino, dicendo (urlando) “vediamo ora chi mi rompe i coglioni”. “Sei tu che rompi i coglioni a tutti i passeggeri con la sigaretta o sono io che rompo i coglioni a te se ti dico di spegnerla?” le ho domandato. Ci è rimasta male e l’ha spenta subito, con la faccia del teen ager che dà ragione al padre più vecchio di trentanni.
L’ingresso fila via liscio. È lunedì, la giornata di Live Wine dedicata principalmente agli addetti ai lavori, anche se aperta a tutti. Non c’è tanta gente, la massa è passata sabato e domenica, come da previsioni. È per questo motivo che ho scelto di venire oggi, oltre al fatto che farei di tutto pur di non passare un pomeriggio in ufficio. Live Wine, già lo sapete se ci avete seguito e/o siete interessati al mondo del vino, è la prima edizione (dopo la “prova” dell’anno scorso in Cuccagna) di – recita il comunicato stampa – “un salone internazionale del vino artigianale: 3 giorni per tutti gli amanti della cultura del vino e della terra, dedicati ai vignaioli che lavorano in modo consapevole e sostenibile, sempre alla ricerca della migliore qualità organolettica”.

Sono qui perché credo in questi vini e in questi vignaioli, e come Zero abbiamo deciso di essere media partnership dell’evento, intervistando i protagonisti sul nostro sito e cercando di farci raccontare che cos’è il vino artigianale e perché è importante preferire questi tipi di vini. Come è successo/sta succedendo per il cibo, tutti noi scegliendo un prodotto il più possibile vicino alla terra – “Dici a me? Metto gli ingredienti sulle etichette da oltre 7 anni. Ingredienti/additivi: uva” ci ha risposto Alessandro Dettori quando gli abbiamo chiesto se è favorevole a una normativa che costringa i produttori a scrivere sulle etichette delle bottiglie tutti gli ingredienti e come viene ottenuto il vino – possiamo fare molto. No, non vogliamo cambiare il mondo né indottrinarvi con discorsi equo e solidali, solo vogliamo mangiare e bere meglio, e soprattutto consapevolmente: vogliamo conoscere chi ha fatto il vino e come l’ha fatto, vogliamo farcelo raccontare.
Per cui sì, sono di parte: Live Wine mi piaceva già prima che iniziasse, e dopo esserci stato mi piace ancora di più. Subito un piccolo intoppo: all’ingresso ci viene fornito il bicchiere personalizzato, ma non la tracolla (o come diavolo si chiama) per portarlo in giro. In realtà quello che appariva come un problema, a conti fatti si è rivelato un punto favorevole: infatti non ho mai posato il bicchiere, tenendolo ben saldo con la mano sinistra mentre veniva riempito stand dopo stand. La mano destra l’ho usata per stringerla ai vignaioli e per prendere appunti, almeno finché ero in condizione di capire quello che stavo scrivendo ed essere in grado di rileggerlo. Ora che è il giorno dopo e scorro il taccuino con gli appunti, mi rendo conto che la scrittura – già poco chiara all’inizio – diventa via via sempre più simile a un elettrocardiogramma di un corridore sotto sforzo, su e giù all’impazzata finché il cuore smette di pompare all’improvviso. Da lì in poi, prima cardiogramma piatto e un sacco di pagine bianche.
Ah, sia chiaro che in questo reportage non si parlerà di vini alla sommelier (anche perché non lo sono), di sentori di cannella e di ossidazioni, ma si cercherà di raccontare l’esperienza Live Wine come l’ho vissuta.
Per iniziare decido di andare a salutare i 4 vignaioli che abbiamo intervistato su Zero: per ovvi motivi, preferisco farlo subito quando sono ancora sobrio. Prima però mi sciacquo la bocca con un classico dei vini artigianali, il Bellotti Rosso (e poi anche il bianco) “Semplicemente Vino” della Cascina degli Ulivi (Novi Ligure, Alessandria): conosco già sia il vino che il produttore, mi sembra un ottimo inizio anche per “scioccare” i miei accompagnatori che sono meno avvezzi di me a questo tipo di vini. “Sembra il vino che faceva mio nonno in Abruzzo” è il commento più azzeccato, se siete interessati a una recensione tecnica leggete a questo link una più che condivisibile scheda tecnica di Andrea Scanzi su questo vino da tavola.
Ok, ora sono pronto: il primo che trovo è Enrico Togni, viticoltore della Val Camonica. Ha tre vini in degustazione: il “base” – marzemino, barbera e merlot (8 €), un barbera 100 % (10 €), un merlot 100 % (14 €). Dei tre comprerei il merlot, però Enrico non ha bottiglie da vendere e proverò a farmi fare una spedizione. Certo la cosa che mi è piaciuta di meno di Live Wine è il fatto che molti produttori non vendessero le bottiglie. Capisco le difficoltà logistiche, però mi sarebbe piaciuto portare a casa qualche boccia in più: non c’è vino migliore di quello comprato da chi l’ha fatto e lo sa raccontare.

Enrico divide lo stand con Patrick Uccelli delle Tenute Dornach di Salorno (BZ): la tentazione è forte e così assaggio due buonissimi pinot 2011 – bianco (17€) e nero (22€) – e una delle chicche della giornata: “Punto G”, un gewurz “non gewurz”, “fatto come se fosse un rosso” ci dice Patrick che sfoggia una maglietta con scritto “enjoy pinot nero”, scimmiottando il logo della celebre bibita di Atlanta. Un gewurz 2012 prodotto solo in magnum (100 bottiglie), a 92€ a bottiglia. “Non è il valore economico” – ci dice Patrick – “sono il primo a produrre un gewurztraminer del genere, e la cosa non piace a tutti”. Non ce lo possiamo permettere, e così chiediamo il bis (finiamo l’ultima bottiglia, tiè).
Di fianco a lui c’è Aleks Klinec, viticoltore sloveno che non è riuscito a concedermi l’intervista perché in quei giorni “stavo macellando i maiali per l’agriturismo”. Si rifà presentandomi la figlia e invitandomi in Slovenia, non prima di avermi fatto assaggiare con una velocità degna di un barman che ti vuole stordire a colpi di tequila bum bum il suo famigerato pinot grigio “orange” del 2010 (15€), oltre a ribolla, malvasia (sempre 15€) e le riserve (35€). Anche lui non vende oggi, purtroppo.
Insomma, l’idea di andare a trovare da sobrio i viticoltori intervistati su Zero è già tramontata… Così ci fermiamo su suggerimento di “Doctor Wine Rocchi” da Concòri (Còncori, ci fa notare un Dan Lerner in gran spolvero incrociato da Iuli (sì, abbiamo degustatato anche lì). Gabriele Da Prato del Podere Còncori ci racconta dei suoi vigneti in Garfagnana e fingo di essere un esperto quando metto tre asterischi di fianco al suo Melograno (15€), un syrah del 2012 che è arrivato persino alla Casa Bianca. Se piace a Obama, come posso non portarne a casa sei bottiglie? Riesco a trattare sul prezzo, risparmiando 10 € che investo subito in formaggi francesi al banco di Giovanni Carena, accompagnati da uno straordinario pignol 2001 di Bressan. A proposito, l’offerta cibo spazia dai salumi di suino nero di Parma ai formaggi a latte crudo, passando dalle ostriche e dal parmigiano biologico, insomma dopo tanto vino è un piacere mangiare anche qualcosa di buono (e non sempre è così alle fiere).
A questo punto mi rendo conto che non riuscirà mai ad assaggiare tutto quello che vorrei assaggiare (e te credo!, ci sono più di cento produttori) ed entro nella fase più caotica: un po’ vado a caso, un po’ accetto i consigli pastosi di chiunque e un po’ cerco di ricordare alcuni nomi che mi ero segnato (ma il taccuino dov’è finito? ah sì ce l’ho in tasca). E così passo dagli champagne di Fleury (Zero Dosage 40 €) ai vini del Belice di Guccione (trebbiano, cataratto…), e ancora Foradori (non c’è Elisabetta ma Nely che si ricorda dell’intervista su Zero e mi fa assaggiare nosiola e teroldego), Emidio Pepe, La Stoppa, Castello Conti (boca delle collline novaresi!) e molti altri che tralascio per non tediarvi ulteriormente.
A un certo punto incontro anche l’organizzatore di Live Wine, Lorenzo De’ Grassi (o quello che ne rimane dopo tre giorni e tre notti), che mi dice di smetterla di cercare Fabio Montrasi (un altro di quelli che avevamo intervistato) perché non è venuto: infatti aveva finito tutte le bottiglie… Piccoli problemi tecnici di vignaioli indipendenti: e io che pensavo di non farcela più. Così vado a bermi un po’ di amarone dell’Azienda Agricola Monte Dall’Ora e ne compro una bottiglia per una mia amica (40€), e già che ci sono assaggio valpolicella, recioto e stropa.
Ora sono pronto per il gran finale, che abbiamo pianificato da mesi: Ferdinando Principiano e Tenute Dettori: purtroppo non c’è Alessandro, ma c’è Fabio che si fida così tanto di noi da lasciarci il banco, esausto, e così mesciamo alla grande. Entrambi hanno vini talmente buoni che è inutile perdere tempo con le definizioni e gli aggettivi: provateli e stop.
Prima di chiudere mi scuso con tutti i produttori dei quali non ho avuto il piacere di assaggiare i vini, sarà per il prossimo Live Wine (se mi faranno ancora entrare). Perché questo è certo: Live Wine è un salone indispensabile e organizzato come si deve, per cui ci vediamo l’anno prossimo.
Ah, dimenticavo: per il viaggio di ritorno (niente tram e niente ragazzine che fumano questa volta, c’era il guidatore designato con l’auto grande per le bottiglie) ho portato via un ottimo pinot noir Movia di Ales Kristancic (Dobrovo, Slovenia) che era stato tristemente abbandonato al suo destino sul banco. Grazie fratello sloveno: per il traffico della tangenziale est, una manna dal cielo.