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Rivolti al centro: da Jiaozi, la ravioleria cinese di Sara e Alberto

quartiere Porto

Scritto da Francesco Pattacini il 20 dicembre 2023

Sara e Alberto. Foto di Francesco Pattacini

Jiaozi è una ravioleria cinese in centro a Bologna, un ambiente caldo e amichevole, cucina a vista e sgabelli. Spunta con qualche tavolino sotto al portico Via San Felice, accanto al pub Beltaine insieme a cui, circa una volta al mese, organizzano una combo fra birre artigianali e i loro piatti.

Il menù è ristretto: ci sono quattro tipi di ravioli, a volte fa capolino una versione speciale con ingredienti di stagione, due tipi di noodles, un contorno, 4 salse, un dolce, tutto fatto in casa. Il vapore avvolge la cucina, il servizio viaggia spedito, i gusti sono ben delineati ma mai decisi o, meglio, parlano la lingua dell’equilibrio, quella quasi zen delle ricette casalinghe made in Wenzhou, in cui gli elementi coesistono per dare all’ingrediente principale lo spazio giusto. Il maiale, per i Ban Mian al ragù, sterzato dal mix di salse di soia e dal cipollotto fresco, o il gusto timido dei funghi che nel raviolo Shu, viene spinto da cavolo e carote.

Jiaozi è il progetto con cui Sara e Alberto, circa due anni fa, sono ripartiti praticamente da zero. Praticamente da zero perché Sara e la sua famiglia, fino al 2005, erano le mani dietro a RU YI, la prima – storica – rosticceria cinese a Casalecchio: «Durante la pandemia non ho fatto altro che cucinare», mi racconta Sara, quando ci incontriamo un lunedì di chiusura, mentre prepariamo i Ban Mian insieme (la ricetta e il racconto di queste preparazioni potete leggerlo su Grūmi) e qualche cliente fa capolino per sapere se è aperto. «Poi, a un pranzo di famiglia, Alberto mangiando i ravioli che avevo preparato insieme a mia madre ha buttato lì, come battuta, il fatto che avremmo dovuto aprire una ravioleria a Bologna».

«Io l’avevo detto veramente come scherzo perché erano veramente buonissimi», la interrompe Alberto ridendo, «ma a Sara e ai suoi genitori sono brillati gli occhi, l’hanno presa sul serio e, quindi, eccoci qui». Alberto è veneto, si è trasferito poi a Bologna per continuare a lavorare nel settore alberghiero dove ha conosciuto Sara: «Prima di conoscerla non avevo una grande passione per la cucina, sono sempre stato quello che mangiava. Sara mi ha permesso di approfondire la conoscenza della cultura cinese a cui è molto legata ovviamente e, poi, mi ha insegnato a fare la pasta, a lavorare con le macchine e, ora, è diventato qualcosa di naturale, qualcosa che mi rilassa e mi fa sentire di contribuire, nel mio piccolo, a questo progetto anche se io, magari, sto più al bancone».

Da quel pranzo comincia un periodo intenso fra la ricerca dello spazio dove aprire e long session di sperimentazione e perfezionamento delle ricette: «In quel periodo praticamente ogni giorno Sara e i suoi genitori mi davano dei ravioli da assaggiare e mi chiedevano quale fossero i migliori», ricorda Alberto. «A volte variavano gli ingredienti all’interno, altre volte un pizzico di sale, e a me parevano tutti molto simili, invece loro annotavano ogni differenza, cosa ci piaceva di più e cosa di meno, finché non siamo arrivati a trovare la versione che poi abbiamo portato nel ristorante che, del resto, continua a evolversi in miniera microscopica».

Sei mesi, e migliaia di ravioli, dopo, Jiaozi inaugura nel novembre 2021. I ritmi sono da subito frenetici, il menù è ancora da chiudere completamente, l’energia però rimane: «I primi tempi sono stati i più duri», dice Sara sorridendo ad Alberto, «praticamente chiudevamo il servizio del pranzo verso le 15, mandando via gli ultimi clienti, poi abbassavamo la serranda e riniziavamo con le preparazioni per averle pronte la sera stessa».  Sin da subito, però, il piano di Jaozi si direziona su un concetto fondamentale. Portare i gusti casalinghi della tradizione wenzhouanese, ma farlo in una modalità più attaccata al territorio che, contemporaneamente, dà spazio alla loro idea di cucina. Presentare pochi piatti gli permette di concentrarsi sulla qualità a partire dagli ingredienti, aggiungere piccole parti, togliere elementi, creare – di fatto – una nuova strada: «Quello che serviamo parte sicuramente dai gusti con cui sono cresciuta, dalla tradizione dei miei genitori, di ciò che ricordo della rosticceria in cui ho lavorato al loro fianco. Quella del Wenzhou è una cucina delicata, lontana dal piccante del Sichuan. I Ban Mian con il ragù di maiale, per esempio, sono una ricetta tipicamente casalinga, che mangi solitamente a casa e non nei ristoranti. Ci è stato chiaro sin da subito che quello che volevamo fare era questo. Qualcosa che fosse alla portata di tutti e che potesse contemporaneamente parlare della nostra idea». Così i tradizionali germogli di soia, diventano inizialmente pak choy e poi spinacino nei Ban Mian, il trito di pancetta una combinazione segreta fra grasso e proteine, i ravioli speciali un modo per parlare di stagionalità: «Abbiamo aggiornato leggermente le ricette, ad esempio, nei ravioli, per come li preparava mio padre, o come la tradizione cinese ci racconta, significa aggiungere il glutammato, tanta salsa di soia, magari spingere con conservanti. Per noi, che volevamo valorizzare la materia prima, è stato un lavoro di sottrazione, quindi preferire alimenti freschi che, già da soli, danno un gusto forte».

La formula funziona e in poco tempo Jiaozi allarga la squadra. La produzione, anche, si sposta a Casalecchio, nel vecchio ristorante trasformato ora in laboratorio. Si chiude, in qualche modo, un cerchio iniziato con l’arrivo a Bologna del padre Dai Rui e della madre Bao Xiuhua. Lì, fra quei muri familiari, Sara prepara e chiude ravioli, mentre Alberto ascolta musica e stende i noodles che verranno poi utilizzati al ristorante e cotti al momento. «Scegliere di spostarci nel laboratorio è stato fondamentale da ogni punto di vista», racconta Sara, «qui la cucina è piccola, ci stavamo a malapena. Abbattiamo tutti i prodotti e, così, possiamo anche vendere i ravioli surgelati che le persone posso portarli a casa e farne scorta». 

Chiedo a Sara, allora, cosa significhi per lei questo passaggio, soprattutto in riferimento al fatto che le persone portino a casa le loro creazioni e, ancora di più, i loro ricordi, la loro idea: «Per me i ravioli rappresentano la merenda notturna, lo spuntino di mezzanotte che rappresenta uno dei miei legami con la Cina. Sono nata e cresciuta in Italia ma quando torno in Cina uno dei miei momenti preferiti è, di notte, prendere lo scooter con mia zia e i miei cugini, andare in uno dei mercati notturni della zona e mangiare ravioli appena fatti. Mi piace pensare di poter trasmettere questa cosa alle persone, che anche loro, a chilometri di distanza possano avere questa sensazione casalinga, creare la loro, legarsi anche a questi piatti con cui sono cresciuta anch’io. La forza del cibo è proprio questa, poter portare nelle case anche la propria idea, la propria storia in luoghi dove prima non c’era questa abitudine».

Forse un po’ come nei suoi ravioli, Jiaozi è davvero rivolta verso al centro. A dare voce agli ingredienti, alle tradizioni, vecchie e nuove, di partenza o di arrivo. Come se in ogni piega, nei vortici con cui i noodles raccolgono il ragù casalingo, scrivessero una parte della loro storia.

Insieme a Sara e Alberto abbiamo cucinato i Ban Mian al ragù di maiale, la ricetta e la giornata di preparazione li trovi su Grūmi (https://grumi.substack.com/), la mia newsletter gratuita in cui parlo di cibo, preparazioni e le piccole storie che li circondano.