Maderna è figura tra le più versatili e intellettualmente eclettiche del secondo dopoguerra. Non a caso di lui fu detto che «morì certamente troppo presto. Ma dobbiamo considerare che la sua vita ha contato per tre vite». Un Maestro, in tutti i sensi, che ha dato spunto al tema del Festival Milano Musica di questo 2015 intitolato “Bruno Maderna e l’Umanesimo possibile”. Chi era Maderna? E cosa significa l’Umanesimo possibile? Ecco a voi una sorta di manuale per sapere di più su “Brunetto” Maderna.
CHI: Nacque a Venezia nel 1920. Come un famoso antecedente nella storia della musica – Mozart – fu allevato in ambiente musicale e iniziò a riscuotere successo sin da piccolo. A differenza di Mozart, però, non fu il padre (pianista errabondo) né tantomeno la madre (mancata nel 1923), a introdurlo nel mondo musicale: fu il nonno che, all’età di quattro anni, lo iscrisse alla scuola di violino di Chioggia. “Brunetto”, come veniva chiamato, dotato di evidenti doti musicali, iniziò così una vera carriera da enfant prodige: a sette anni fece la sua prima comparsa in pubblico, a otto fu chiamato a dirigere alla Scala e all’Arena di Verona…
DOVE: Veneziano di nascita, compì i primi studi principalmente nel nord Italia: Venezia, Verona, Milano (e in particolare Venezia e Milano furono due città cui rimase sempre molto legato e dove fu altrettanto operativo). Si diplomò in composizione a Roma nel 1940 per poi essere risucchiato dalla guerra; non si risparmiò nulla: combattimenti, campagna di Russia, Resistenza partigiana e campo di concentramento. In seguito iniziò la sua carriera vera e propria, difficile da racchiudere in una sola mansione, che lo portò a spostarsi di continuo, inizialmente in Europa e poi anche oltreoceano.
COSA: Fu conosciuto principalmente come direttore d’orchestra, lavoro grazie al quale girò il mondo, ma fu anche studioso di musica antica, tenne corsi ovunque a partire da Venezia, dove formò un grosso gruppo di musicisti tra cui Luigi Nono; fu chiamato a tenere seminari di composizione in Inghilterra, corsi di direzione d’orchestra a Salisburgo, fondò lo Studio di Fonologia presso la Rai di Milano con Luciano Berio, addirittura riuscì a dirigere un’opera alla Piccola Scala e un concerto alla Rai nella stessa sera; e sì, riusciva anche a trovare il tempo per comporre, anche se in questa veste non fu mai, suo malgrado, tenuto troppo in considerazione dai suoi contemporanei.
QUANDO E PERCHÉ: Gli ultimi due punti sono strettamente collegati: Maderna fu uno di quegli intellettuali che si trovò a dover far fronte alla totale distruzione dell’animo umano dopo le due guerre mondiali. La sensazione era quella di impotenza totale. Del secondo dopoguerra si conosce l’arte, la letteratura, ma della musica si sa sempre meno: in quell’epoca regnava la concezione che bisognasse ritrovare il “grado zero” del linguaggio musicale, ripulendolo di ogni influenza e tradizione. Insomma, cancellare il passato, che aveva portato allo sfacelo delle due guerre, per ricostruire un futuro nuovo, con nuove basi e nuovi orizzonti. Maderna fu totalmente controcorrente, consapevole che quest’idea di musica fosse più di parole che di suoni: pur rimanendo tra i più convinti protagonisti dell’avanguardia musicale di quegli anni (fu il primo a pensare un brano per strumento solista e nastro magnetico), non tagliò mai i ponti con il passato, troppo importante per essere dimenticato. Egli scrisse che «Ogni rivoluzione del pensiero e del sentire dell’uomo avviene per lente e profonde mutazioni in cui il precedente viene conglobato nel seguente in quanto ampliamento e, il più delle volte, come ripensamento, come intensificazione di comprensione e giudizio».
Ecco quindi che la sua musica non è uno sterile esercizio di logica e numeri, bensì una commistione di passato e futuro, volto sempre a stimolare e suscitare emozioni: parla all’essere umano, alle sue emozioni. Come scrive Adorno, «Il compositore si ostina a elaborare materiali della memoria carichi di storia e grondanti di vita e umanità, perché considera questa scelta come il migliore antidoto contro quella negazione della soggettività che ha rappresentato una delle insidie più pericolose delle avanguardie musicali». Egli ripone, nella sua musica come nella vita, un’estrema fiducia nel genere umano e in questo senso si può parlare di “Umanesimo possibile”. E al giorno d’oggi, esso ci lascia intravedere un’apertura. Un margine d’azione e di speranza che attraverso la sua opera investe i destini di tutta la musica contemporanea, animata da un’autentica vocazione alla sperimentazione e ricerca, come ben approfondito nel programma di sala di Milano Musica.