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Una cosa che mi manca di Roma: i supplì

Sogni d'una notte di mezza quarantena, da realizzare quando il Coronavirus sarà un ricordo.

Scritto da Tony Davèro il 16 marzo 2020
Aggiornato il 18 marzo 2020

Supplì, Viale di San Francesco a Ripa 137

Che poi te li potresti pure fare a casa, qualcuno potrebbe dire. Vero, e mi ci sono pure messo qualche giorno fa a a recuperare le tradizioni culinarie casalinghe di una volta: sugo di carne a lunga cottura, pasta fatta in casa – delle simil tagliatelle più che accettabili, ma onestamente ancora da rivedere. Però mettiti lì a fare il ragù, a conservarlo, a fare il riso, tagliare la mozzarella, appallottolare, impanare e friggere. Va a finire che al termine della quarantena bisogna pure mettere mano al portafogli per una cucina nuova. E poi qui la questione è seria: intasi i supermercati e sottrai agli altri beni di prima necessità perché t’è venuta voglia all’improvviso di supplì?!

Eccola una cosa che mi manca: uscire di casa, con il mondo ancora sottosopra per qualche birra di troppo della sera prima, zero voglia di cucinare, zero soldi in tasca, un buco nello stomaco grosso quanto il Brennero da tappare con qualcosa di buono e anche caloroso come un abbraccio materno. Smozzicato a poco a poco perché ancora bollente, ascoltando le chiacchiere di quartiere sbiascicanti; oppure mangiato in due bocconi perché a temperatura perfetta. Quanto mi manchi supplì! Prometto che non bestemmierò più i chicchi di riso che cascano e impattaccano i pantaloni freschi di lavatrice, anzi ringrazierò per ogni macchia che verrà. Prometto che non urlerò più quando la mozzarella di consistenza lavica andrà a impattare con il mio palato, asportandolo e levandomi la sensibilità per tre giorni di fila, anzi ringrazierò per ogni grado centigrado che riuscirò a registrare prima di perdere conoscenza. Appena potrò uscire di nuovo i primi dieci euri andranno dritti in rosticceria o in pizzeria: promesso.